Federica Guidi si è dimessa
Corruzione degli antichi e
corruzione dei moderni
Le
dimissioni della Ministra (come si dice
oggi) Federica Guidi non saranno le prime né le
ultime. Inutile scandalizzarsi. Lotta politica democratica: palle (pardon) di merda in faccia, oggi a me, domani a te. È la corruzione del moderni. Che sembra dilagare, come si legge sempre più spesso. Ci spieghiamo
subito.
Quanto
più si celebra la separatezza sul piano personale tra vita pubblica e vita privata, tra funzionario politico e privato
cittadino, tanto più si moltiplicano i
casi di corruzione. Per quale ragione? Perché l’uomo non può essere diviso in due. È un fatto sociologico
(per alcuni studiosi perfino antropologico): l’uomo tende ad aiutare chi è prossimo,
privilegia il noto sull’ignoto, in vista di ottenere vantaggi per se stesso. Si
chiama egoismo sociale, talvolta perfino con risvolti sentimentali. Tentazione fortissima, ricorrente, spesso irresistibile.
Ovviamente, esistono dei limiti, funzionali alla persistenza nel tempo di una società: limiti che però possono essere gestiti storicamente in modo molto differente. Si pensi alla satrapie persiane, alla corruzione-dono tipica delle monarchie idrauliche orientali, ai maneggi in Senato del corpo dei Cavalieri nella Roma tardo repubblicana, ma anche al rapporto patronus-cliens, nonostante tutti virtuosismi tecnici dei giuristi romani. Il che però non significa, come insegna il grande Constant, che le società greca e romana fossero politicamente liberali (Strauss, non sarebbe d’accordo, ma questa è un’altra storia…). Tutt'altro. La democrazia degli antichi, quando e se sussisteva, era totalizzante: altro segno della indistinzione tra pubblico e privato.
Ovviamente, esistono dei limiti, funzionali alla persistenza nel tempo di una società: limiti che però possono essere gestiti storicamente in modo molto differente. Si pensi alla satrapie persiane, alla corruzione-dono tipica delle monarchie idrauliche orientali, ai maneggi in Senato del corpo dei Cavalieri nella Roma tardo repubblicana, ma anche al rapporto patronus-cliens, nonostante tutti virtuosismi tecnici dei giuristi romani. Il che però non significa, come insegna il grande Constant, che le società greca e romana fossero politicamente liberali (Strauss, non sarebbe d’accordo, ma questa è un’altra storia…). Tutt'altro. La democrazia degli antichi, quando e se sussisteva, era totalizzante: altro segno della indistinzione tra pubblico e privato.
Insomma,
la ricorrente tentazione di aiutare e favorire parenti, amanti, amici in
chiave tattica o strategica ha segnato
per secoli la storia dei regimi monarchici, aristocratici, arcaico-repubblicani e Papato. Certo, l’amministratore corrotto se scoperto veniva punito, anche ferocemente,
magari squartato (se non era nobile), però pubblico e privato tendevano a confondersi. Famosa è la diatriba, anche giuridica, spesso
però fonte di guerre dinastiche, sul
patrimonio reale, indiviso, tra personale e pubblico, incluse le persone e i beni sotto il
dominio del monarca.
Le cose sono andate così fino al primo
pubblico ufficiale della storia moderna:
Robespierre, detto appunto, “l’Incorruttibile”. Senza dimenticare i suoi accoliti, tutti funzionari giacobini al
servizio del bene pubblico formato ghigliottina.
Riassumendo,
gli antichi, almeno fino alla Rivoluzione francese, non si
sono interrogati più di tanto (nonostante, ripetiamo i virtuosismi tecnici dei
giuristi romani) sulla distinzione, in
particolare politica, pubblico-privato. Di
conseguenza si tendeva a chiudere un
occhio sulla corruzione. I moderni no. Perché?
In
primo luogo, come abbiamo detto, per la
distinzione filosofica, validissima per
altre ragioni (si pensi all’habeas corpus sacralizzato dal diritto anglo-sassone), tra uomo pubblico e privato. In secondo luogo, per i vasti processi di razionalizzazione, burocratizzazione, ben descritti da Weber, tipici della società moderna. La nascita dell’uomo-funzionario, anche
politico, che deve far prevalere sempre
la sua figura pubblica su quella privata, va contro la natura sociologica degli esseri umani, portati, se ci si passa la caduta di stile, a “inciuciare”: di qui,
il moltiplicarsi dei casi, anche alla luce del carattere mediatico-democratico delle società tardo-novecentesche, nonché di quel disincanto, o sensismo cinico
e passivo, colto così bene da Weber, Simmel e Sorokin.
Con ciò
non sosteniamo che la corruzione non debba essere punita secondo le norme in vigore, bensì che la
corruzione dei moderni, ricorda un poco, la virtuistica condanna della
prostituzione, considerata - ebbene sì, siamo politicamente scorretti - la tendenza dell’uomo alla fornicazione.
Che
sia il caso di legalizzare anche la corruzione?
Carlo Gambescia
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