Referendum anti-trivelle
Tredici milioni di conservatori- progressisti
Ieri pensavamo, a proposito dell’esito del referendum anti-trivelle,
a come distinguere un conservatore da un progressista.
Diciamo
che il conservatore difende lo status
quo, teme il futuro, ha paura del cambiamento, non lo incoraggia e se proprio
deve, lo subisce. Il progressista, invece, guarda sempre avanti, non ha timore
del mutamento, al punto di promuoverlo sistematicamente, talvolta troppo, anche
ad ogni costo. Per dirla in chiave di psicologia politica: se il primo è portato a scambiare la prudenza
con il timore fino a preferire la sottomissione, il secondo è così ardito al punto di scambiare coraggio con la temerarietà, fino a rifiutare il principio di realtà.
Sulla
base di questa distinzione come definire 13 milioni di italiani che hanno votato
sì al referendum, conservatori o
progressisti?
Di
sicuro, “conservatori” dell’ambiente, secondo una vulgata, che, pur avendo sostenitori a destra (in genere i border line del radicalismo anti-moderno), ha profonde radici anti-capitaliste, perciò a sinistra, di derivazione utopistica piuttosto che marxiana (in senso stretto). Dal momento che Marx
e soprattutto Engels non rifiutavano modernità
e scienza (per non parlare poi, dell’entusiasmo costruttivista, fin troppo
ingenuo, dei diadochi socialdemocratici,
socialisti e comunisti).
Il
che spiega perché nel voto contro le trivelle, spicchi anche un’istanza utopica di sinistra, nel senso di
immaginare un mondo diverso (politicamente ed economicamente). Però, ecco il
punto, da perseguire a costo zero, senza perdere i vantaggi della società
avanzata. Nel senso, per dire una
banalità, che si vuole continuare a correre in automobile parlando al cellulare
ma al tempo stesso non si vuole pagare pegno (energetico). Pertanto quel voto è conservatore
rispetto allo stile di vita, perché pochi tra quei tredici milioni sarebbero
disposti a cambiarlo, ma utopico-progressista rispetto alla finalità sociale e politica. Quindi un
voto contraddittorio. Come dire, tredici milioni di conservatori-progressisti… Insomma, si vuole fare la rivoluzione con il permesso dei carabinieri della modernità.
Ovviamente,
sull’istanza utopica, si innestano - ecco tornare la chiave progressista - i
grandi discorsi, spesso campati in aria, sulle "energie alternative" (perché
eludono o minimizzano i costi sociali ed economici riorganizzativi) e le semplificazioni narrative sulle
mitiche potenzialità (collettive e ultrademocratiche) dello
strumento referendario su temi invece complessi di derivazione scientifica e tecnica.
Come concludere? Che in materia, a dispetto di quanto predica l'ecumenismo politico verde-rosso-bruno, il vero discrimine politico tra conservatori e progressisti potrebbe essere rappresentato, a destra si intende, dalla valorizzazione del concetto di “prezzo pagare” e di quantificazione del danno (antropologicamente e sociologicamente ineliminabile, se ci si vuole definire conservatori: qui sta la differenza tra l'imperfettismo di destra e il perfettismo di sinistra ), danno, dicevamo, che una società si propone di sopportare (il paretiano utile per la società), pur di conservare uno stile di vita moderno, apprezzato e condiviso dalla maggioranza dei cittadini, come del resto mostra il voto di domenica. Che però ha di nuovo certificato l'esistenza di un potenziale esercito di destra (coloro che hanno votato no direttamente o indirettamente, almeno in buon parte, non andando alle urne ), privo di generali politici.
Quantificare il danno accettabile. A dirlo sembra semplice, politicamente semplice. In fondo, si tratta di difendere lo status quo. Di "fare catenaccio" contro ogni forma di confuso estremismo, a cominciare da quello ecologista. Di dire, insomma, le cose come stanno. Di riaffermare il principio di realtà, interpretando, anche elettoralmente, un bisogno diffuso quanto inevaso di destra, di destra sistemica, ovviamente. Servirebbero però politici conservatori dotati di coraggio. Altra contraddizione… O magari solo intelligenti?
Come concludere? Che in materia, a dispetto di quanto predica l'ecumenismo politico verde-rosso-bruno, il vero discrimine politico tra conservatori e progressisti potrebbe essere rappresentato, a destra si intende, dalla valorizzazione del concetto di “prezzo pagare” e di quantificazione del danno (antropologicamente e sociologicamente ineliminabile, se ci si vuole definire conservatori: qui sta la differenza tra l'imperfettismo di destra e il perfettismo di sinistra ), danno, dicevamo, che una società si propone di sopportare (il paretiano utile per la società), pur di conservare uno stile di vita moderno, apprezzato e condiviso dalla maggioranza dei cittadini, come del resto mostra il voto di domenica. Che però ha di nuovo certificato l'esistenza di un potenziale esercito di destra (coloro che hanno votato no direttamente o indirettamente, almeno in buon parte, non andando alle urne ), privo di generali politici.
Quantificare il danno accettabile. A dirlo sembra semplice, politicamente semplice. In fondo, si tratta di difendere lo status quo. Di "fare catenaccio" contro ogni forma di confuso estremismo, a cominciare da quello ecologista. Di dire, insomma, le cose come stanno. Di riaffermare il principio di realtà, interpretando, anche elettoralmente, un bisogno diffuso quanto inevaso di destra, di destra sistemica, ovviamente. Servirebbero però politici conservatori dotati di coraggio. Altra contraddizione… O magari solo intelligenti?
Carlo Gambescia
Il successivo dibattito su Facebook
con Claudio Ughetto e Carlo Pompei
Claudio Ughetto Preferisco
la definizione di Ambrose Bierce: "Conservatore, uomo politico affezionato
ai mali del passato. Da non confondere col progressista, che invece vuole
sostituirli con mali nuovi"…
Carlo Pompei
Falcone Una opinione autorevole, prendiamone atto, ma non gli conferisco la
verità assoluta. Sono per pescare le sintesi…
Claudio Ughetto Come indirettamente discutevamo
una settimana fa sull'essere di destra o di sinistra, l'epoca è troppo
cambiata, come anche l'approccio culturale, per stagnarsi su simili categorie.
Carlo Gambescia Caro Claudio,
visto che mi si chiama in causa, o quasi (tra l'altro ancora aspetto una tua
riposta (via tag) sui miei quattro punti di qualche giorno fa (parlo della mia
pagina Fb). Intanto, Bierce, era un Mark Twain sfortunato, e forse per questo
più simpatico dell'originale.Però la definizione da te citata, a mia avviso si
attaglia più al reazionario che al conservatore. Ma non mi interessano, qui, le
battute. Quanto al destra e sinistra, si tratta di categorie già finite, stando
ai detrattori (legittimisti e socialisti utopisti) nel 1848... Anche per essi,
l'epoca già era troppo cambiata... E invece eccole qui, che vivono e lottano
insieme a noi. Confusione, molto pericolosa, invece continua farla chi si
ostina a negare la democrazia rappresentativa e liberale ( e il dividersi
eccetera ...). Tu parli di approccio culturale cambiato... No, qui, carissimo
permane una divisione unica, culturale e politica (che poi, di volta in volta
si è rispecchiata storicamente in istituzioni, eccetera) dal Socrate platonico
in poi: la conoscenza è virtù: sì o no? Cioè chi sa è anche buono? E si può
trasmettere la bontà, acquisibile per virtù? Per la destra no. E infatti
l'antropologia della destra - non mi riferisco ai fascio-socialisti, eccetera -
non crede nella tabula rasa, ma nella forza della tradizione ricevuta per
osmosi ambientale (di qualsiasi tipo) e nelle virtù innate, patrimonio di
pochi. Per la sinistra sì... L'uomo (antropologicamente) può essere costretto
ad essere libero, dal momento che - si cantilena - l'uomo più è istruito
(conoscenza) più è buono (virtuoso). Di qui, la tabula rasa delle tradizioni (
tutte; per questo, anche la tradizione moderna è a rischio), e sotto con
l'educazione coattiva: per poi ricominciare ogni volta da capo eccetera.... In
realtà, non mi stancherò mai di ripeterlo ( e qui il nostro cruccio di
intellettuali, non sempre compresi), l'uomo al capire preferisce il credere.
Quindi si continua ad essere di destra come pure di sinistra:
antropologicamente, cognitivamente e politicamente. Malgrado il tifo contrario
e interessato dei terzaviisti, che non sanno poi dove cazzo andare, salvo che
in braccio allo stato... Perché, alla fin fine, il principio di realtà non può
essere ignorato. E si vendica sempre. Un abbraccio.Un caro saluto al padrone di
casa!
Claudio Ughetto Carlo,
in realtà la stavo prendendo un po' per scherzo. Il tuo articolo è molto
condivisibile. Tra l'altro, ho scritto qualcosa sul buttarsi nelle braccia
dello stato proprio ieri, benché io sia meno convinto di te che buttarsi nelle
mani del liberismo più selvaggio sia la soluzione. La realtà è anche
rendersi conto che la possibilità di morire inquinati non è peregrina. "Le
conseguenze del mancato quorum mi hanno portato a una riflessione più ponderata
sulla natura di noi italiani. Alla fine dovremo decidere tra il qualunquismo
che ci permea, spacciato per anarchismo da quattro soldi, e la medesima
retorica statalista che portiamo in piazza ogni volta che ci svuotano il
portafoglio o ci riempiono i campi di immondizia. O tra la vita sana e avere il
centro storico con le auto in tripla fila per favorire i commercianti".
Carlo Gambescia Grazie Claudio.
Un solo punto: nel il mio "Liberalismo triste", non riduco il
liberalismo al solo liberismo, cosa che tra l'altro, mi ha attirato le critiche
dei liberali an-archici. Sul piano pratico, come ho scritto, si tratta di
mediare tra varie tendenze (an-archica, micro-archica, macro-archica), compito
questo del liberalismo archico, o triste, non ridens... Quindi si tratta, di
valutare caso per caso, seguendo il meccanismo della formazione dei prezzi,
come e dove intervenire con liberalizzazioni e privatizzazioni, tenendo
presente anche i cosiddetti fallimenti del mercato. Al "morire
inquinati", mi dispiace per te, do lo stesso significato, che attribuisco
al termine "liberalismo selvaggio": idee-forza, da comizio, usate da
certa sinistra arcaica e cripto- totalitaria, idee che confliggono con il
principio o "senso della realtà", per usare un termine del nostro
caro Berlin. Un abbraccio
Claudio Ughetto È proprio lì, il discorso, Carlo:
io mi sento profondamente liberale, ma la possibilità di morire inquinati c'è
eccome. E non la metto su un piano ideologico: l'URSS inquinava tanto quanto
gli States se non peggio (anzi, sicuramente peggio). Lasciamo poi perdere
Cuba, che ha solo il vantaggio di essere piccola: viaggiare con certi rottami
di auto non fa bene alla salute. Come scrivi tu,
si tratta insomma di valutare caso per caso, mettersi magari in testa che certe
scelte possono aprire nuovi mercati ecc. In questo, ti confesso, vedere con
quanta foga certi governi difendono l'uso del petrolio dove potrebbe essere
evitato mi fa pensare a una politica più "conservatrice" che
progressista. Ma forse qui stiamo dicendo qualcosa di simile da punti di vista
diversi. Per il resto,
chi "sa" non è per forza buono, ma confesso che con Trump andrei
soltanto a divertirmi in birreria. Però è vero che apri una questione
difficile, dove si palesa tutta la mia contraddizione tra una strenua difesa
della libertà e l'idea (snob e aristocratica, o per meglio dire manzoniana) che
il popolo si possa educare per ottenere una società migliore.
Mi devo
decidere, insomma...
Claudio Ughetto O
forse, andando nel profondo, qui si esplicita tutto il mio rapporto con la
classe lavoratrice, da cui provengo. Alla sinistra piace vederla come
portatrice del bene, io l'ho sempre vista come quella che vota Trump e
Berlusconi, oppure salta un referendum, perché è la prima a pensare in senso
utilitarista. Non l'ho mai
sopportata. Ora l'ho detto...
Carlo Gambescia Claudio,
capisco benissimo i tuoi dilemmi interiori e apprezzo la tua sincerità
(pubblica). Semplificando al massimo: nel mio articolo do questa risposta:
"dalla valorizzazione del concetto di 'prezzo pagare' e di quantificazione
del danno (antropologicamente e sociologicamente ineliminabile, se ci si vuole
definire conservatori: qui sta la differenza tra l'imperfettismo di destra e il
perfettismo di sinistra ), danno, dicevamo, che una società si propone di
sopportare (il paretiano utile per la società), pur di conservare uno stile di
vita moderno, apprezzato e condiviso dalla maggioranza dei cittadini, come del
resto mostra il voto di domenica" . Si tratta di sostituire il concetto di
danno sostenibile (in rapporto a ciò che perderemmo, in cambio, come sistema di
vita) al principio di precauzione (vietare tutto, a prescindere, perché si potrebbe
morire, come dici tu eccetera; però "alla lunga" come dice Keynes,
liberale macro-archico, questa di battuta gliela concedo, "saremo tutti
morti") : Vilfredo Pareto vs Hans Jonas.
Naturalmente, ripeto, ho semplificato. Forse troppo. Ma è di questo che si
dovrebbe ragionare (non con te ovviamente).
Claudio Ughetto Anche con me. Posso avere
dubbi e perplessità, che ti esprimo, però hai il pregio di stimolarmi a
pensare. Ogni mia evoluzione (o de-evoluzione) è il risultato di confronti con
pensatori che mi danno degli insight non pensando cose che già penso, ma
deviando su terreni comuni.
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