Roma Caput Mundi della “Street Art”?
Stiamo freschi!
Piccola premessa. Quanto segue sotto, per capire che cosa sia la
“Street Art” o arte di strada:
Difficile decidere, ma da qualche parte bisogna pur cominciare e
abituati come siamo a ricevere gli input d’oltreoceano, una delle prime opere
street da visitare è sicuramente al Quadraro, a firma di un texano D.O.C. Ron
English. In via dei Pisoni, storica zona di Roma, che vanta celebri lotte
contro la prepotenza dei poteri forti, teatro di resistenza al
nazifascismo durante la deportazione, English (noto ai più per aver
realizzato Abraham Obama, il celebre murales di Boston realizzato durante le presidenziale
del 2008, in
cui i volti dei Presidenti Obama e Lincoln si sovrappongono) ha disegnato un
gigantesco Baby Hulk, The Temper Tot. Il soggetto ha il volto di un bimbo di
due anni e il corpo di Mister Universo ed è in 3D. Il contrasto tra la forza
della struttura e l’immaturità del bambino è un richiamo, un monito ai paesi
potenti con governi inadeguati. Accanto un inquietante Topolino con una
maschera antigas grazie alla quale è immune dall’avidità del mercato, i toni
usati sono quelli del pastello amati dai piccoli. La realizzazione del murales
sul Baby Hulk rientra in una partnership realizzata da diversi artisti uniti
dal progetto M.U.R.O. (museo a cielo aperto) capitanata da David Vecchiato, in
arte Diavù ed è stata documentata da SkyArte.
Cosa
aggiungere? Che la “Street Art”, a
prescindere dalle questioni estetiche (può o meno piacere), maleodora di totalitarismo: il Messico intollerante
e marxista dove la si sperimentò per la prima
volta, l’America di Roosevelt che riprese
l’idea a spese dello stato occhiuto e interventista; l’Italia fascista e la Russia comunista, rivolte a
celebrare il culto dei capi. Senza dimenticare la Cina maoista. Dulcis in
fundo, il Maggio ‘68 fucina di terroristi rossi e, per l'appunto, fabbrica di artisti di strada.
Che dire? Il terrorismo fu sconfitto, l'artista di strada no. Perché? Per una ragione semplicissima: quando un movimento non si trasforma in setta o abortisce ( o viene aiutato ad abortire), un movimento, anche
artistico (si pensi ai Futuristi finiti Accademici d’Italia), non può non trasformarsi in istituzione (lezione di sociologia number one), sicché, anche la "Street Art", che in fondo più che usare il mitra lo mimava, non poteva non finire in feluca. Pagata, però dai contribuenti borghesi, per farsi sputare in faccia, sempre per mimesi, ad alzo zero.
Si
dirà, è il liberalismo, bellezza. Puoi dire quello che vuoi, purché eccetera, eccetera. Giustissimo, siamo i primi, a lottare perché chiunque abbia idee e gusti differenti
dai nostri eccetera, eccetera. Però,
ecco il punto, non a spese delle stato. O del Comune. Che, come quello di Roma, tecnicamente fallito
per debiti e altre cosette, non potrebbe investire tempo, uomini e soldi per certe
iniziative. O no?
Carlo Gambescia
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