Vienna “Al Brennero 250 poliziotti, se
serve anche l’esercito”
L’Austria ha ragione,
sociologicamente
ragione
L’Austria
chiude le frontiere. La “civilissima”
Austria - “civilissima”, perché cosmopolita secondo la vulgata di certo illuminismo estremo - sbatte la porta in faccia a chi
bussa e chiede aiuto.
Perché?
Cosa dire? Che,
come ogni sociologo sa (o dovrebbe sapere), siamo di nuovo dinanzi al contrasto tra società e
istituzioni, contrasto verso il quale la cultura cosmopolita, può ben poco. Anzi, se iniettata in dose massicce nel corpo sociale, come oggi accade, può provocare, se ci si passa la brutta metafora medica, gravi reazioni anafilattiche Ci spieghiamo.
Le
società nascono e si sviluppano sempre contro qualcuno o qualcosa intorno a un nucleo di istituzioni condivise.
E il diverso (come potenziale nemico interno) e l’estraneo (come potenziale nemico
esterno) ne hanno fatto sempre le spese.
Piaccia o meno, è così. Possono mutare le dimensioni delle unità politiche
ma il conflitto è ineliminabile.
Per
quanto riguarda l’Europa le forme istituzionali o politiche possono essere
studiate anche da un altro punto di vista, ovviamente complementare a quello del conflitto. Vediamole insieme.
La città-stato, come forma politica micro, era fondata su un’idea di cittadinanza
esclusiva, lo straniero, se pure accolto restava tale, il nemico interno
eliminato o espulso; Roma, pur essendo
fondata su un’idea simile di cittadinanza (micro), sviluppò una forma politica
imperiale (prima macro, la
Repubblica , poi super-macro, l’Impero), allargando gradualmente
la cittadinanza a tutto l’impero (certo, ci vollero secoli). Si può dire che la “forma-impero” (super-macro),
prevalente nel medioevo, si propose in qualche misura di recepire e rinnovare la tradizione imperiale, richiamandosi a Roma e mescolando valori laici e religiosi. Le
forme politiche della Signoria, del Principato e del Comune, in qualche misura,
rappresentarono, anche quando coagulatesi intorno a famiglie aristocratiche o borghesi, un ritorno alla forma città-stato, al micro, insomma. Per contro, con le forme dello stato-assoluto e soprattutto dello
stato-nazione, la nazionalità progressivamente venne eretta a principio fondante
del macro. All’antica città (micro), si sostituì la nazione moderna (macro).
Sullo
sfondo di questo sviluppo istituzionale, si muovono le società, o meglio il sociale (una vera e propria seconda natura per gli uomini), segnato da popoli, che pur essendo differenti per cultura e tradizioni, hanno sempre guardato "naturalmente" alla forma città-stato: forma che rappresenta il grado uno dello sviluppo istituzionale (prima ancora ci
sono la Tribù e l’Orda, il grado zero).
Pertanto
la natura sociale spinge verso la città-stato, la natura istituzionale verso la
stato-nazione. Da un lato il micro, dall’altro il macro. E la forma impero?
Come visto, rappresenta il super-macro: un passo ulteriore, dal punto di vista istituzionale.
Quanto alla cultura, la modernità ha introdotto una cesura tra i processi sociali (verso il micro) e i processi istituzionali (verso il macro). Per un verso (la cultura), l’illuminismo - la tradizione culturale dei moderni, semplificando al massimo - si è imposta, nelle sue forme estreme, di invertire la tendenza di fondo verso la città-stato (il micro degli antichi), propugnando quel cosmopolitismo cui accennavamo all’inizio, rivolto però in direzione del superamento dello stato-nazione (il macro dei moderni), per l’altro, nell’impossibilità di poter gestire, anche sul piano organizzativo, in un mondo globalizzato, la forza della città-stato (il micro degli antichi), la cultura illuministica, certa cultura illuministica, si è inventata nuove forme di super-macro. E qui si pensi al disegno europeo, che non è altro che una laicizzazione e democratizzazione della forma impero, che però, secondo le intenzioni di certo iper-illuminismo non sarebbe che una forma intermedia di transizione verso il super-stato universale delle nazioni: una specie di stato-mondo o mondiale. Un’utopia.
Quanto alla cultura, la modernità ha introdotto una cesura tra i processi sociali (verso il micro) e i processi istituzionali (verso il macro). Per un verso (la cultura), l’illuminismo - la tradizione culturale dei moderni, semplificando al massimo - si è imposta, nelle sue forme estreme, di invertire la tendenza di fondo verso la città-stato (il micro degli antichi), propugnando quel cosmopolitismo cui accennavamo all’inizio, rivolto però in direzione del superamento dello stato-nazione (il macro dei moderni), per l’altro, nell’impossibilità di poter gestire, anche sul piano organizzativo, in un mondo globalizzato, la forza della città-stato (il micro degli antichi), la cultura illuministica, certa cultura illuministica, si è inventata nuove forme di super-macro. E qui si pensi al disegno europeo, che non è altro che una laicizzazione e democratizzazione della forma impero, che però, secondo le intenzioni di certo iper-illuminismo non sarebbe che una forma intermedia di transizione verso il super-stato universale delle nazioni: una specie di stato-mondo o mondiale. Un’utopia.
Pertanto
se la tendenza sociologica di fondo è
verso il micro (quindi di stati negli stati: qui si pensi al tessuto
istituzionale ricostruttivo del micro, portato avanti dalle comunità di “migranti”),
o comunque verso una dialettica conflittuale micro-macro, resta comprensibile come lo stato-nazione
(il macro) non possa non rispondere chiudendosi, respingendo le irrealistiche istanze della
cultura (cosmopolitica) ed entrando in conflitto con
quelle istituzionali europee, super-macro
(in atto), e al tempo stesso con quelle micro (in potenza) dei "migranti". Inoltre,
questo processo conflittuale di chiusura è reso ancora più rischioso dal metodo democratico, che essendo fonte di
legittimazione politica e di consenso istituzionale, rischia di rendere inevitabile la
chiusura verso l’esterno, proprio in nome di una dialettica macro contro micro, imposta dall’ elettorato stesso, ancorato al macro, come surrogato storico del micro.
Ora,
non sosteniamo che il chiudersi sia la soluzione di ogni problema, né che il cosmopolitismo sia la fonte di tutti i mali. Come nelle forme allergiche, per riproporre la metafora medica, il cosmopolitismo rinvia a un problema di dosaggio e di prudenti prove antiallergiche. Però la chiusura resta una
risposta naturale (in senso sociale), come dire al di là del bene e del male, di un organismo sociale, nel quadro di una dialettica reale: quella del conflitto sociologico micro-macro. Soprattutto quando le strutture istituzionali
(il super-macro europeo) e culturali (l’illuminismo) restano inerti, come l’Unione Europea, o chiedono
troppo, come certo cosmopolitismo. Quindi la ex "civilissima" Austria va se non giustificata, almeno compresa. Sociologicamente
compresa.
Carlo Gambescia
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