Il nuovo film di
Moretti, dedicato alla madre
E chi se ne frega
Del resto, come sanno i celebranti, l’uomo è avaro. E forse questo è il trait d’union con il suo
grande nemico: Alberto Sordi, che almeno
faceva ridere. Anche se - va detto - Moretti e Sordi sono italicamente complementari: da un lato, l’Italia del maestrino dolente, dall’altra, quella dell’ opportunista insolvente (sì, venezianeggiamo,
nessuno è perfetto, però senza attico, organico o meno, a Campo de' Fiori).
Perciò non andremo a vedere il “nuovo capolavoro”: un film, come si legge, che va a completare “la morettiana trilogia del lutto”
(da pronunciare alla Fantozzi), dopo la “Stanza del figlio” e “Caos calmo”. Insomma, roba da prendersi a martellate gli attributi sulla famosa incudine…
A
buttarla sul colto: un cinema spinoziano, arido, senza speranza, con attori
manichini, che procede per assiomi ego-centrati su una mente gnostica. L'unica cosa consolante è che Moretti ne ha girati solo dodici.
La pellicola, come preannunciano i media “compagni” (politicamente
e amicalmente), potrebbe essere premiata a Cannes da altre giurie “compagne” (come sopra). Il top dell'autoreferenzialità, tipo "gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte della dinastia della dinastia dei Ming". Tradotto dal francobattiatese: se la cantano e se la suonano da soli. Insomma, per dirla alla buona, piangono il morto per fregare il vivo. Quindi che si può fare? Come difendersi? Disertare il botteghino, of course. Colpire Moretti nella tasca. Tirchio com'è...
Carlo Gambescia
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