Oggi si celebra il settantesimo anniversario della Liberazione
Il 25 aprile di Giano Accame
Il 25 aprile di Giano Accame
Giano Accame (1928-2009), sedicenne a Salò. |
Che cosa avrebbe detto Giano Accame di questo 25 aprile. Conoscendolo, se ne sarebbe
uscito così: “Occhio, non celebrate troppo, perché il settantennio portò sfortuna
ai sovietici, nel 1987 festeggiarono, per poi chiudere i battenti della storia
appena quattro anni dopo…”.
Lo ricordo nel suo studio, in poltrona, sotto cascate di volumi, capo chino, matita in pugno, libro aperto sulle gambe. Un cervello al lavoro. Che spettacolo meraviglioso. A ottant’anni. Leggeva e studiava di tutto. E con perspicacia filtrava e traduceva per il buon selvaggio del postfascismo. Nelle note dei suoi libri c’era sempre spazio per la versione contraria: Una storia della Repubblica (Rizzoli 2000) è un capolavoro di equilibrio. Giano, un liberale mancato in camicia nera? L'incarnazione, intuita da Giolitti, dei "quattro schiaffi" nel paese dei "gobbi"? Del manganello (a termine) come continuazione dello Statuto Albertino con altri mezzi? Insomma, un fascista per caso? Chissà... Comunque sia, lui, il più liberale fra i tanti (per alcuni troppi) fascisti da me conosciuti ( molti dei quali trasmigrati armi e bagagli nel berlusconismo, per poi tornare scalzi e rabbiosi all'antico culto del Littorio), si è fatto seppellire in camicia nera. Prova di coerenza? O forse di non conformismo verso i postmissini belusconizzatisi a ritmi giapponesi? In ogni modo, il liberalsocialista Noventa avrebbe apprezzato.
Ma
torniamo al 25 aprile. Che cosa - battute a parte - avrebbe detto Giano? Anche perché, lui, il 25 aprile del 1945,
sedicenne, fresco di un solo giorno (l’ultimo) di Repubblica Sociale, si salvò per un pelo dalla fucilazione. Avrebbe aggiunto, che la celebrazione del 25
aprile è piena di buchi: non c’è patria, non c’è nazione, non c’è
unità politica, ma solo
quattro maestrini imbiancati che continuano a dividere l’Italia in
buoni e cattivi. Più che una celebrazione, uno sfogo nevrotico. Roba da pensionati ai giardinetti della politica, forse in alcuni casi da psichiatri, senza aggettivi.
Fortunatamente o meno, gli italiani neppure se ne accorgono.
Fortunatamente o meno, gli italiani neppure se ne accorgono.
Carlo Gambescia
Splendido ricordo di un uomo vero, Carlo!
RispondiEliminaGrazie. Mi manca. Un abbraccio.
RispondiEliminaCaro Carlo, tu hai ereditato il peso gravoso di gentiluomini come Accame, Gianfranceschi, Del Noce e pochi altri; uomini di pensiero che hanno tenuto in piedi una Destra che non c'è più. Lo sfascio - è il caso di dirlo - delle Istituzione "democratiche" dimostra una cosa sola: forse c'è un limitatore di dignità in Italia. Dopo qualche decennio così così, c'è la rovina progressiva degli uomini e poi, di conseguenza, dello Stato. Veneziani non regge il confronto con tali persone, vanesio e facile alla battuta triviale, non manca di acutezza ma pecca di profondità. Buttafuoco sta con i saraceni, una promessa mancata. Poi... a parte te non mi sovvengono nient'altri. Viventi, almeno. Il guaio, caro Carlo, è che per percorrere la Vita bisogna interrogarsi continuamente su chi siamo, e qualìè il nostro destino. Mantenersi puliti, mantenere la parola data, cercare sempre la verità ovunque alberghi, su tutte le cose. Cercare Dio non preconfezionato, diffidare di ogni forma di potere. Puntare ad un ideale, ad un sistema valoriale. Difficile? Impossibile per molti.
RispondiEliminaCaro Angelo, grazie per il bellissimo e interessante commento. Ti sarei grato se potessi postarlo, così com'è, sulla mia pagina Fb?. Preferirei risponderti da lì, per favorire un dibattito, come si dice, "più ampio" (così spero). Grazie!
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