venerdì 28 febbraio 2025

La destra che vince. Tutta colpa del wokismo della sinistra?

 


Sapete cari lettori qual è l’errore politico più grave che si possa commettere in questo momento? Quello di asserire che il contrattacco della destra, ormai sul piano mondiale, sia giustificato dagli errori “wokisti” della sinistra.

A dire il vero sarebbe più preciso usare il plurale: destre non destra, sinistre non sinistra. Nessun blocco politico, e meno che mai  qualsiasi distinzione tra una destra antiwoke e una sinistra woke. Si possono rilevare, al di là delle divisioni tecniche esterne in schieramenti parlamentari, solo tendenze interne a ogni sfera, divise a destra sulla linea tradizione-progresso, a sinistra su quella riforme-rivoluzione.

Accanto a queste linee principali se ne possono individuare di secondarie, interne ai due contesti: ad esempio c’è una destra fascista, tradizionalista, nazionalista, sovranista e così via. Come pure una sinistra anarchica, laburista, socialista, comunista, eccetera.

Però, una volta ammesse queste sfurmature, va anche riconosciuto che il woke rinvia addirittura a un’unità di fondo, a un modo comune, da parte di destra e sinistra, di concepire il ruolo dello stato e delle leggi.

L’anello di congiunzione tra destra e sinistra non è la sterile polemica tra woke e antiwoke, ma il welfare come fabbrica del consenso.

Semplificando: protezione in cambio di obbedienza. Un diritto protetto qui, un diritto protetto lì. E intanto il potere dello stato si estende favorendo un costoso individualismo protetto. Un esito – vero esempio di effetto perverso – che vede le varie minoranze sociali invece che concordi in lotta tra di loro per captare i favori dello stato. Una macchina infernale, che per autoalimentarsi, ha necessità di produrre e riprodurre l’ineguaglianza attraverso l’ eguaglianza. Dal momento che ci sarà sempre chi vanterà maggiori diritti alla riparazione di un altro.

Se la sinistra ha esagerato, cosa tra l’altro da dimostrare, l’esagerazione rinvia a uno statalismo condiviso anche dalla destra.

Per farla breve: se il wokismo, e la sua arma principale, quella della cultura della cancellazione, ad esempio verso le vestigia del fascismo, rinviano necessariamente a un inquadramento giuridico di tipo pubblico, come non definire wokismo, e di vecchia data, la cancellazione della cultura liberale, retrocessa d’ufficio a liberismo selvaggio? Tesi condivisa dalla sinistra e dalla destra. Di cui, tanto per far un nome, Giorgia Meloni è la sintesi vivente (dal protezionismo economico e sociale al disprezzo verso mercati e banche).

Esageriamo? Si pensi alla Costituzione italiana che pone limiti “sociali” al diritto di proprietà privata.

Si rifletta. L’introduzione dell’idea di una “ funzione sociale [della proprietà] e [ della necessità] di renderla accessibile a tutti” (art. 42, c. 2), “cancella” la storia del moderno capitalismo, che, fino allo sviluppo dei movimenti socialisti, non si era posto l’idea di rendere accessibile la proprietà a tutti. Per inciso: con principi costituzionali come quello sulla natura sociale della proprietà non vi sarebbe mai stata nessuna Rivoluzione industriale.

Idea, quest’ultima, ” condivisa, da una destra e da una sinistra che privilegiano l’idea dello stato Robin Hood. “Cancellando” quella di un libero mercato che invece lascia ai singoli decidere del proprio bene.

Il wokismo, che va recepito in maniera più ampia, non è di destra né di sinistra, ma rimanda all’idea di “damnatio memoriae”, antica quanto il mondo. Che può riguardare uomini e ideologie. E che, per l’attuazione, come detto, non può fare a meno dell’aiuto dello stato o comunque del potere politico.

Pertanto definire il sovranismo come una reazione al wokismo ( e viceversa) è una sciocchezza. Perché, non si tratta affatto di una reazione, ma del proseguimento a destra del wokismo, come “cancel culture” antiliberale, con gli stessi mezzi della sinistra: quelli dello stato.

Resta perciò un grave errore ignorare il ruolo del controllo sociale e il ruolo specifico dello stato nelle attività di legittimazione.

Attività, metapoliticamente obiettive, cioè fondate su costanti metapolitiche (ad esempio persistenza del potere, e sua razionalizzazione-giustificazione, dinamica tra forze centripete e centrifughe, di inclusione-esclusione, di consenso-dissenso). Attività che vanno al di là delle oziose contese destra-sinistra.

Concludendo, vorremo che fosse chiaro che la polemica contro il woke, che la destra ha trasformato in cavallo di battaglia per tenere in castigo la sinistra, non è altro che una variazione sul tema del welfare come fabbrica del consenso.

Cioè si continua ritenere, e per giunta da parte di alcuni presunti liberali, che lo stato sia la soluzione non il problema.

Carlo Gambescia

giovedì 27 febbraio 2025

Trump e il vitello(ne) d’oro

 


Con Trump è così. Ogni volta si scende più in basso. Si prenda, da ultimo, il video su “Gaza-Sharmel-Sheikh”, postato da Trump su Truth,  di cui  oggi si discute tanto (*).

Se Trump fosse uno sconosciuto si tratterebbe di una normalissima pubblicità commerciale, molto all’americana, ramo immobiliare, che dipinge il paradiso in terra: grattacieli, piscine, , dollari a gogò,  vip in mostra all’ora dell’apericena, odalische danzanti (con la barba: un’ apertura? O un brutto tiro dell' IA? ), eccetera, eccetera. In sintesi, vino, balli, donne e canti. Che c’è di più bello?

Certo, cose terra terra. Anche se a dire il vero il discorso è più complesso.

In realtà la volgarità come mancanza di educazione, finezza, decenza è negli occhi di chi guarda;  è cosa che  rinvia,  in quanto  tale,   ai costumi del tempo. Nel medioevo, tanto idealizzato dal pensiero reazionario, si ruttava a tavola, non esistevano o quasi posate, si mangiava tutti dallo stesso piatto, magari dopo essersi puliti il naso con le mani, o quando c’era, ma era roba da ricchi, con la tovaglia. Si leggano i seminali libri di Norbert Elias sulle origini delle buone maniere.

Le buone maniere, appunto. Sconosciute in Europa fino alla nascita della società di corte, secoli XVI-XVII, dove, in competizione per i favori del re, gli aristocratici si astenevano, autolimitandosi, da comportamenti sgraditi a corte.

Un altro colpo alla grossolanità medievale fu inferto dalla Riforma e dall’introduzione di costumi di vita sobri, caratterizzati, a differenza della società di corte, da un fortissimo senso del pudore. Mentre la società di corte, pur aumentando la qualità aveva ridotto, assaporandola, la quantità di cibo e sesso, la società protestante elevò la soglia del pudore, e non solo a tavola.

Il capitalismo si giovò molto di un individuo organizzato (come maniere e dall’ elevato senso del pudore), tutto casa e lavoro. Per contro la società di massa del XX secolo, come tutti i figli che perdono la strada di casa, puntò sulla quantità e sulla lotta al senso del pudore. E vinse facilmente. All’insegna del vino, balli, donne e canti, come prova il video di Trump. Si ritornò, alle grandi abbuffate medievali di carne. Però questa volta di carne in tutti i sensi.

Ci si chiederà il perché di questo lungo incipit. Presto detto, favorire la comprensione di un fatto importante: la società di massa è il contrario delle società di corte ( e viceversa), come pure del sobrio capitalismo protestante. Sotto questo aspetto Benjamin Franklin è l’opposto di Donald Trump. Volendo, ne potrebbe essere l’antidoto.

Ripetiamo, il video di Trump è un prodotto della società di massa: società che non può non vendere beni di massa, dalle ideologie alle ville al mare, ricorrendo a formule per alcuni semplici per altri semplicistiche (vino, balli, eccetera), in grado però di conquistare le masse. Il “wine and marble”, a prescindere da Trump, ha un’ enorme forza di persuasione interetnica. E può facilitare le relazioni tra le persone. Guai perciò demonizzarlo.

Detto questo, resta però da segnalare un aspetto sinistro, che ci riporta al lato più buio della politica di massa del Novecento: il culto della personalità.

Trump, nel video, oltre e mettere nome e faccia quasi ovunque, si presenta nella versione autocelebrativa di una colossale statua aurea, una specie di vitello(ne) d’oro, secondo certo stile architettonico dell’antica Roma, distinto da statue giganti di imperatori divinizzati, come Augusto, o di divinità pagane, come la Dea Fortuna

Trump introduce, e non sappiamo se in modo consapevole, in un normalissimo video di pubblicità immobiliare, tipico della società di massa, un forte elemento di paganità che rinvia al culto romano-imperiale, poi recuperato dalle religioni secolari totalitarie del XX secolo: il culto del capo come difensore dell’ideologia. Il grande dittatore come una specie di essere sovrumano.

Si noti però un punto: culto della personalità, sì, ma in senso puro. Ci spieghiamo. 

Trump in fondo è un sempliciotto con forte istinto carnivoro. Per capirsi: di lui si può pensare, come per Totò Riina, ma uno  così come fa? Fa. Perché, anche quando sembra vivere in uno stato letargico, come lo si sfiora, morde.

Insomma Trump, oltre alla cura del “suo”, non ha alcuna ideologia da difendere, se non quella del vino, balli, donne e canti. Ideologia dei consumi che, ripetiamo, in un contesto normale – senza Trump – non sarebbe altro che una normale manifestazione della caccia alla volpe dei desideri, fenomeno organico alla società di massa.

Il che significa che la società dei consumi, che può piacere o meno, non ha nulla a che vedere con la volontà totalitaria che si scorge dietro la statua d’oro di un Trump divinizzato.

Di un Trump, attenzione, in veste di politico.  Pertanto il fatto che creda o finisca per credere nella propria natura sovrumana è di una pericolosità assoluta.

Trump non è un qualsiasi cittadino. È il comandante in capo della prima potenza mondiale.

Gli basta premere un bottone.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.agi.it/estero/video/2025-02-26/video-virale-trump-gaza-30187846/ .

mercoledì 26 febbraio 2025

Pace e vischiosità della politica

 


Cominciamo dalla politica.

La politica è vischiosa. Nei due sensi del termine.

Per un verso perché ci si sporca le mani: c’è un “attaccaticcio” politico: per quanto si voglia evitare che i residui appiccicosi del male che si maneggia restino attaccati alle mani, qualcosa rimane sempre. Si va dall’uso dello spionaggio politico all’ omicidio politico motivato dalla ragion di stato. Impossibile parlare, a ogni livello, di mani perfettamente pulite. Fare politica significa sporcarsi le mani. I mezzi, prescindendo dai fini buoni o cattivi che siano, sono quel che sono. Può sembrare una banalità, ma è così. Qualcosa di sporco, come detto, resta sempre attaccato alle dita.

Per altro verso la vischiosità si presenta come resistenza al cambiamento: proprio perché vischiosa (l’ “attaccaticcio”, di cui sopra), la politica impedisce quella visuale perfetta delle cose. Si pensi a una specie di ideale regno dei fini in terra che permettere di distinguere, e nettamente, tra bene e male: lo spionaggio è male, l’omicidio politico è male, la pace è bene, eccetera, eccetera. Si va dall’evocazione di un atteggiamento diffuso, pubblico, che ricorda l’uomo assolutamente buono, come ad esempio l’ “idiota” di Dostoevskij, al moralista che nasconde dietro la difesa dei valori assoluti inconfessabili interessi privati.

Insomma mezzi e fini in politica si mescolano continuamente. Il che spiega la vischiosità costitutiva della politica.

La vischiosità dei comportamenti politici riporta alla condizione umana dell’imprevedibilità. E di qui alla pericolosità degli esseri umani in quanto imprevedibili, anche quando si impongono di fare il bene, soprattutto dell’altro.

Questo lungo incipit sulla vischiosità può essere utile per capire le continue contraddizioni tra parole e fatti in cui incorre la politica. E qui veniamo alla pace.

Si pensi ad esempio a tutto questo parlare di pace a proposito della guerra in Ucraina. Tutti vogliono la pace: ucraini, russi, americani, europei, cinesi, eccetera. Però di fatto, in particolare, i combattenti, quelli veri, sul campo, si guardano bene da deporre le armi solo per amore della pace. Per quale ragione?

In primo luogo, perché l’imperativo di una guerra è la vittoria. Il che significa che ogni mezzo è buono, a prescindere dai fini (buoni o cattivi), pur di vincere. Se pace deve essere, deve essere vittoriosa, o almeno sembrare tale.

In secondo luogo, come in ogni buon moralismo assoluto, ci si nasconde, neppure si stesse assistendo a una nuova messa in scena dell’ “Idiota” di Dostoevskij.  Ci si nasconde dicevamo, dietro una parola magica, ipnotica,  che, da sempre, attrae la maggioranza degli esseri umani, ma in senso lato, troppo  lato:  pace. 

La tensione tra pace vittoriosa e pace pura, rappresenta già in sé un elemento di vischiosità, che va a sommarsi alla vischiosità costitutiva tra mezzi e fini. Si pensi alle diatribe infinite sulle guerre giuste e ingiuste, sul diritto o meno di uccidere il tiranno, e così via. Chi ha torto? Chi ha ragione?

Però se tutto è relativo allora Ucraina e Russia, Stati Uniti ed Europa, pari sono? Di più: a causa della vischiosità politica che contamina ogni cosa, tra buoni e cattivi (semplificando) non esiste alcun confine ?

Diciamo che dal punto di vista dell’osservato, le parti in conflitto, se prese singolarmente, hanno tutte almeno una buona ragione, se invece prese nell’insieme, dal punto di vista dell’osservatore, si può subito intuire l’evoluzione della nebulosa come un tutto rispetto alle singole parti. Però non sempre la posizione di chi osserva è libera da pregiudizi, circa l’effettiva direzione della nebulosa.

Di qui l’importanza della storia, come criterio decisionale, quindi discriminante, riguardo ai valori.

Una volta messi sul piatto della bilancia della qualità della vita, i traguardi perseguiti in Occidente negli ultimi ottant’anni (scegliendo come anno base il 1945: l’anno delle rovine) comparandoli a quelli perseguiti nell’Oriente russo o cinese, cosa si scopre? Che il sistema di vita occidentale è nettamente superiore. Il che spiega perché giustamente molti paesi, come l’Ucraina, guardino a Occidente.

Che c’è di male? Nulla. Perché allora , se pace tra Russia e Ucraina deve essere, non squarciare il velo della vischiosità alla luce di ottant’anni di storia, di cui si deve essere orgogliosi? E che quindi non possono non contare al tavolo della pace? O addirittura ancora prima di aprire alle trattative?

Ricapitolando: la politica è vischiosa, ma il buon uso del sapere storico da parte del politico può stemperarla. Non per sempre ovviamente. Diciamo per quel che basta in un certo momento storico. Ora che leader come Trump e Putin non capiscano questo è solo frutto di ignoranza e prepotenza.

Un’ arroganza delle cattive ragioni. Rovinosa. Perché per dirla con un repubblicano di levatura, Lincoln (altro che Trump…), “ potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”.

Detto altrimenti: la ragione può cedere al sonno e generare mostri. Però non per sempre e per tutti.

Ovviamente il risveglio può essere duro: guerre, rivoluzioni, eccetera. Ecco allora il compito della buona politica: tenere sveglia la ragione. Cosa, come sembra, non facile.

Qui il problema.

Carlo Gambescia

martedì 25 febbraio 2025

La fine dell’ età dei contratti

 


Gli storici e i sociologi dei prossimi secoli, ammesso e non concesso che le tradizioni liberali sopravvivano, guarderanno al periodo tra il 1945 e il 2025, come all’ età aurea in cui l’idea di pace, dopo due guerre spaventose, fu qualcosa di più un’idea regolativa.

Si scriverà, con rimpianto, che si giunse al punto di mettere in discussione l' uso stesso  della forza nella risoluzione dei conflitti tra stati. Alla forza, come volontà di piegare uno stato ai voleri di un altro stato, si doveva sostituire l’addomesticamento della forza attraverso il contratto. Questo l’imperativo. E questo in larga parte fu.

Di qui però le critiche, tipiche delle età dei contratti (la storia ne offre diversi esempi, a cominciare da Babilonia), verso il realismo politico. I pochi studiosi della materia non furono mai ascoltati, perché, in netta controtendenza, ritenevano (orrore!) che alla spada sarebbe sempre toccata l’ultima parola.

In pratica furono ridotti al silenzio: o perché complici di dittature (si pensi a Schmitt), o perché liberali tristi (come Aron e Freund), quindi contrari a ogni visione idilliaca della natura umana.

Per ottant’anni, nonostante le guerre “minori”, la cultura dell’Occidente – questo leggeranno i posteri – separò, nella pratica e fin dove possibile, politica e forza, respingendo qualsiasi idea di conquista militare o di guerra di distruzione del nemico. 

L’ Occidente puntò su forme di razionalizzazione-giustificazione del presente di pace, come la teoria pacifista, che dipinge  l’uomo come un pacifico animale domestico. Perché aggredirsi se ci si può sedere intorno a un tavolo e così trovare un accordo? E si fu orgogliosi di tutto questo: perché alla spada si era sostituito il contratto. Ecco la filosofia, non priva di fascino, dell’età dei contratti.

Poi all’improvviso accadde qualcosa. La Russia invase l’Ucraina, e questo si poteva ancora capire, perché quelle popolazioni erano bellicose fin dal tempo degli Sciti, nomadi eurasiatici. Ciò che non si capì invece fu l’atteggiamento di Donald Trump, presidente americano, conservatore, imbevuto di cultura del contratto, che invece di contrastare la cultura della guerra la favorì. Scambiò l’Ucraina e l’Europa con il Canada e la Groenlandia, territori di cui si impossessò. Dopo di che rimase a guardare davanti alla conquista dell’ Europa da parte della Russia.

Inoltre alla prima occasione, Trump si lanciò sulla Cina. Subito attaccata alle spalle dalla Russia. L’età dei contratti si chiuse con un catastrofico conflitto mondiale. La guerra dei tre imperi. Effetto perverso delle azioni sociali. Si persegue la pace, e per un qualcosa di sghembo racchiuso nell’animo umano, si consegue la guerra.

Al’uomo pacificato dell’età dei contratti tutto questo può sembrare assurdo. Inoltre si dirà che con la fantastoria non si va da nessuna parte. Un puro gioco intellettuale. Giustissimo.

Però qualcosa sembra muoversi. Sull’invasione dell’Ucraina Trump ha sposato ufficialmente, addirittura in sede Onu, la versione di Putin. Inoltre il suo Segretario alla difesa, Peter Hegseth, ha dichiarato a Bruxelles che gli Stati Uniti non sono più il garante della sicurezza europea, ribaltando ottant’anni di cultura del contratto.

Ovviamente Trump non è un imperatore, anche se ne assume, e con immenso piacere, le pose. Anche perché la sua carica ha la durata di quattro anni, il suo è un tempo determinato. Non il principato augusteo. E qui va considerata anche la sua non più  giovane età.  Però intorno  alla sua figura si è comunque  formato  un nucleo di sodali e di assistenti, a cominciare dal vicepresidente Vance, pronti a proseguirne l'opera.

Inoltre Hegseth, un quarantenne, che, per la cronaca, ha inciso sul bicipide “Dio lo vuole”, potrebbe semplicemente aver bleffato per costringere l’Europa all’aumento della spesa per la sicurezza. Oppure no. Difficile dire. Lo scopriremo vivendo.

Nelle storie diplomatiche, ancora oggi, si parla di “rovesciamento delle alleanze” a proposito del ribaltamento politico che portò alla guerra dei Sette anni (1756-1763). Un capovolgimento che vide la Prussia allearsi con la Gran Bretagna e la Francia con l’Austria.

Bene, quel che ora sta accadendo, che vede Stati Uniti e Russia, marciare uniti ( e si spera, almeno non subito, colpire insieme), è qualcosa di simile, ma con portata, quanto alle possibili conseguenze, decisamente superiore. Diremmo addirittura epocale.

Esageriamo? Può darsi Però, man mano che i giorni passano dall’insediamento di Trump, ci guardiamo intorno e  come nella famosa canzone dei Creedence Clearwater Revival vediamo moltiplicarsi i brutti  segni dei tempi: "We  see the bad moon arising,/  we  see trouble on the way,/ we see earthquakes and lightnin', /we  see bad times today"...

I brutti presentimenti non sono degni di uno scienziato. Però, sul piano razionale della ricerca, la metapolitica insegna che ottant’anni di pace sono niente rispetto alla longevità, diciamo, della natura imprevedibile, quindi pericolosa, degli esseri umani.

Perciò l’età dei contratti potrebbe essere finita. E ciò che è più curioso, per opera di un uomo, come Trump, che proviene dalla cultura del contratto.

Si chiama anche eterogenesi dei fini.

Carlo Gambescia

lunedì 24 febbraio 2025

Elezioni tedesche e normalità liberale a rischio

 


 

Che AfD, l’ estrema destra, non abbia vinto è una buona notizia. Mentre la cattiva è che la Cdu-Csu, i democristiani, pur avendo vinto (primo partito), per governare hanno bisogno dei voti socialdemocratici (grandi sconfitti), nonché, per stare più tranquilli, dei verdi. Per la stessa ragione (voti insufficienti) sembra essere fuori gioco qualsiasi alleanza di sinistra inclusiva della Linke. Infine i liberali e gli ambigui socialisti nazionali di Sarah Wagenknecht non hanno superato la soglia del 5 per cento.

Comunque sia,  AfD, che ha raddoppiato i voti (dal 10 al 20 per cento, la Cdu-Csu è al 29 per cento circa ), rischia di condizionare culturamente, un quadro politico che si è spostato molto a destra. In teoria, Cdu-Csu e Afd avrebbero i voti per governare insieme, escludendo così le sinistre. Ma, come sembra, la Cdu-Csu esclude giustamente qualsiasi collaborazione con l’estrema destra. Quindi potrebbe nascere un governo che veda insieme democristiani, socialdemocratici e forse verdi.

Il vero punto della questione resta l’impressionante sgretolamento, e non solo in Germania, delle forze che rappresentano la “normalità liberale”. Cioè, per essere ancora più chiari, siamo davanti a un nuovo quadro politico: da una parte le forze pro sistema (mercato, stato di diritto, parlamentarismo, welfare), in passato divise in moderati e progressisti, dall’altra quelle antisistema ( meno mercato, meno diritti, maggioritarismo, sciovinismo welfarista), intorno alle quali si raggruppa l’estrema destra dai trascorsi fascisti unitamente ad altre forze populiste e razziste.

Sembra si sia dimenticata, un poco ovunque, la pericolosità di un ritorno a un passato fatto di barriere nazionaliste. 

Interessanti, anche per l’amaro sapore di déjà vu, certe dichiarazione da parte di politici e commentatori che ritengono qualsiasi risultato elettorale valido solo perché espressione del popolo. 

Cosa che non significa nulla, perché, come noto, Hitler andò al potere “anche” con il voto dei tedeschi. Cioè esiste un voto sistemico che stabilizza e un voto antisistemico che destabilizza, come anticipato, la normalità liberale.  Detto altrimenti:  un voto per Giorgio Washington non  equivale a un voto per Tamerlano.

Il principio della sovranità del popolo va temperato con il ricorso alla aurea regola che non si può concedere il libero  voto a chi, una volta vinte le elezioni, lo sopprimerebbe. In Germania vige tuttora il controllo di costituzionalità sui partiti, che si basa sull’articolo 21, comma 2 della Costituzione, che stabilisce che un partito può essere dichiarato incostituzionale se persegue obiettivi che mirano a sovvertire o abolire l’ordine democratico liberale e mettono in pericolo l’esistenza stessa della Repubblica (*).

Nonostante ciò l’AfD è giunto a un passo dal potere. Qualcosa non ha funzionato. Anche a causa di una teoria psico-pedagogica della politica. O se si preferisce dell’ “adattamento”. Ci spieghiamo meglio.

Si sostiene, e non del tutto a torto, che l’esclusione di un partito dalla normale dinamica liberale sia sempre un grave errore perché lo si spinge su posizioni estreme. Di qui l’ idea di coinvolgerlo, nella dinamica istituzionale, per favorirne l’ “adattamento”, la “normalizzazione”.

Resta però il pericolo che il progetto inclusivo produca un effetto boomerang, nel senso di una omologazione al contrario. Si pensi al fenomeno populista che si è risolto nella “populistizzazione” culturale dei partiti non populisti e al rafforzamento come in Germania, Francia, Italia di partiti dalle radici ideologiche antisistemiche, dunque precedenti all’avvento dei populismi. Portatori di un danno “biologico” pregresso, per parlare difficile.

Per capirsi: la psico-pedagogia politica per conseguire il suo scopo (l’adattamento), deve lavorare, per così dire su soggetti predisposti (all’adattamento), cioè, in chiave politica, soggetti indenni, che non hanno patito danno ideologico, grave quanto un danno biologico.

Ciò  significa, che sarebbe un grave errore includere AfD, che il danno biologico, per così dire, lo ha già subito, in schemi di governo. Al contrario, sebbene sia già tardi, si dovrebbe ragionare in termini di suo scioglimento. 

Non così tardi  come nel caso di Fratelli d’Italia. Perché, in effetti, per ragioni organizzative e di ordine pubblico, non si può sciogliere un partito che riceva più del 30 per cento dei voti. Ecco, magari va evitato, quando è sul nascere, che il male politico si diffonda. Serve però il bisturi del chirurgo.

La mancanza di fermezza liberale e un eccesso di psico-pedagogia politica, rendono le buone leggi, come quella tedesca del controllo di costituzionalità, perfettamente inutili.

Si pensi, altro esempio, al recente annullamento dei giudici costituzionali rumeni di un’elezione ( e delle procedure connesse) perché viziate da comprovate infiltrazioni straniere, nel caso specifico russe. Questi supremi magistrati sono stati ingiustamente criticati, come ci è capitato di leggere, perché colpevoli di un atto di servilismo verso il governo rumeno e l’Unione europea.

Cose da pazzi. La Russia cerca in tutti i modi, soprattutto illeciti , di spostare il quadro politico europeo su posizioni filorusse, e che si fa? Invece di sostenere i giudici, si risponde con erudite disquisizioni di galateo elettorale. Si difende un diritto di voto che una potenza straniera vuole invece strumentalizzare per favorire l’ascesa al potere di partiti fratelli, che una volta al potere, azzereranno proprio il diritto di voto.

Non si deve aver paura di opporsi a un “giochino” pseudo argomentativo, che risale all’Ottocento: quello dei reazionari, in genere proprietari terrieri, che teorizzavano, in privato ovviamente, da nostalgici dell’ Ancien régime, il diritto di voto contro il diritto di voto: un escamotage per andare al potere o comunque entrare in parlamento per recuperare i propri privilegi.

Concludendo, qual è la lezione tedesca? Di una Germania che arranca?

A brigante brigante e mezzo. Solo così potremo salvare la democrazia liberale.

 Carlo Gambescia

(*) Chi desideri approfondire l'argomento veda pure qui: https://gspi.unipr.it/sites/gspi/files/allegatiparagrafo/22-12-2015/fede_lo_scioglimento_dei_partiti_antisistema_in_unottica .

domenica 23 febbraio 2025

Trump, un corvo sull’Ucraina

 


Può darsi che abbia ragione la politologa francese Marie Mendras. Che su “Le Monde” sostiene che dietro la seconda aggressione, per ora verbale, all’Ucraina, opera di Trump, vi sia un Putin che bisognoso di una pausa, ovviamente alle sue condizioni, ha puntato sul cinismo del magnate americano, disposto ad allearsi con chiunque pur di poter presentare all’incasso la cambiale di un grosso successo internazionale (*).

È la tesi della debolezza costitutiva russa. Che ritiene, che alla lunga, se Occidente e  Ucraina continuassero a battersi, la Russia sarebbe costretta a ritirarsi dall’Ucraina. Sospendiamo il giudizio.

Ma c’è un’altra cosa interessante da dire. Stiamo scoprendo un Trump avido, oltre che imprevedibile, avventato, borioso. Sono qualità che possono anche perdere un uomo politico, figurarsi chiunque giochi al grande statista.

Quanto all’avidità, parla da solo l’accordo proposto da Trump all’Ucraina sulle terre rare, intesa che garantirebbe agli Stati Uniti l’accesso ai minerali preziosi del paese in cambio di aiuti militari ed economici forniti a Kiev. L’Ucraina accetterà? Sospendiamo il giudizio.

Quel che colpisce è la vista corta del Trump “uomo d’affari”. Come ne I corvi di Henry Becque, si avventa su un’ Ucraina in difficoltà, che invece una volta vittoriosa e libera, potrebbe restituire mille volte tanto.

E invece Trump si accontenta del classico uovo oggi. Fidandosi della parola di Putin. Trump crede che una volta normalizzata l’Ucraina (si legga: liquidato Zelensky, anche fisicamente), gli Stati Uniti potranno continuare a impadronirsi delle risorse ucraine, con l’improbabile permesso della Russia.

Le scelte di Trump hanno però provocato una forte reazione, assai poco materialistica (a breve diremo perché), in Francia e Gran Bretagna, reazione che però Marie Mendras sopravvaluta.

Perché per continuare a restare al fianco dell’Ucraina, sostituendosi agli Stati Uniti, servono ingenti risorse, soprattutto in prospettiva. Risorse che al momento l’intera Ue non possiede. Di qui l’inevitabilità di un gigantesco riorientamento dell’economia europea in chiave bellica. Perché, si badi bene, dire che l’Europa farà da sola significa modificare le nostre vite, dai consumi all’etica civile. Cosa non facile e che non si può realizzare dall’oggi al domani.

Si deve anche tenere conto della presenza politicamente trasversale di una fastidiosa quinta colonna pacifista che ora scorge in Trump e Putin uomini di pace. Oltre ovviamente alla sistematica disinformazione russa che inquina quotidianamente il dibattito politico.

Dicevamo reazione poco materialistica. Perché? Per la semplice ragione che in questo momento così complicato per l’economia sarebbe primario interesse dell’Ue evitare un lungo e costoso conflitto con la Russia. E invece sembra aver vinto l’idealismo.

Può bastare? E soprattutto può durare? Riteniamo di no. È vero che le scelte di Trump, a proposito di terre rare, che ricordano le politiche hitleriane di rapina dei popoli slavi, hanno sollevato una giusta ondata di sdegno. Però come sembra solo a livello politico e in modo particolare in Francia e Gran Bretagna e come sembra anche in Canada, Germania e in qualche altro paese europeo. I sondaggi però ci dicono che gli elettori sono divisi, e che più trascorre il tempo, più si guarda all’Ucraina come a un fardello sempre più gravoso da sopportare.

Ovviamente l’alternativa al richiamo dell’ideale e alla conseguente edificazione di una specie di economia di guerra, è rappresentata dall’abbandono dell’Ucraina al suo triste destino. Anche perché, una volta venuto meno l’ombrello americano, non esistono terze opzioni. O di qua o di là. O Con l’Ucraina o con l’ “inizio” di nuova alleanza mondiale tra Stati Uniti e Russia.

Un associarsi servile, si badi non agli Stati Uniti della Dichiarazione d’Indipendenza, ma ai torvi Stati Uniti di Trump, Musk, Bannon. A tale proposito si legga cosa ha dichiarato Giorgia Meloni, con la consueta faccia di bronzo: che l’ “Ucraina è un paese aggredito” e che bisognerà lavorare “insieme” per costruire una pace “giusta e duratura”, solo grazie a leadership “forti” come quella di Donald Trump che “non si allontanerà” dall’Europa a differenza di quello che “si augurano i nostri avversari” (**).

Povera Ucraina. Un doppiogiochismo rivoltante.

Chi non ricorda invece il celebre discorso, dinanzi alle travolgenti vittorie hitleriane, nel quale Churchill, chiedendo agli inglesi di resistere, dichiarava di non avere “nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore”. Ora la situazione è peggiore. Perché mancano, come ammette anche Starmer, un Churchill e un Roosevelt. Inoltre, cosa ancora più grave, è come se Roosevelt si fosse alleato con Hitler.

Siamo davanti a una specie di rovesciamento mondiale delle alleanze. Una parte dell’Occidente, quella più potente, si è chiamata fuori, e in nome di un venefico impasto, di cinismo, avidità, boria sembra pronta ad allearsi con i nemici dell’Occidente. Mentre ciò che resta dell’Occidente, la sua parte europea, sembra essere una democrazia liberale fragile, indecisa, divisa.

Sotto quest’ultimo aspetto la decisione di voler restare al fianco dell’Ucraina se per un verso fa onore a Macron e Starmer, per l’altro solleva non pochi interrogativi su come verrà gestita concretamente, considerate le risorse limitate, soprattutto militari.

Fin qui la nostra analisi dell’obiettiva situazione.

In realtà la forza di volontà, se corroborata da un potenziale patrimonio ideale, culturale e tecnologico, in cui si crede fermamente, può molto.

Soprattutto una volta compreso che l’espansionismo russo non è stato inventato da Putin, ma è un’idea che viene da lontano e che affonda le radici nella tradizione politica di Bisanzio: Mosca la Terza Roma, dopo Roma e Costantinopoli. Un’idea che nasce dopo la caduta di Costantinopoli (1453) e che sopravviverà a Putin, come è sopravvissuta al regime zarista e sovietico.

Sotto questo aspetto l’Ucraina non è che il bivacco di una lunga marcia che, come si augurano i russi, può condurre all’unificazione tra l’appendice dell’Eurasia, l’Europa, e la Russia asiatica che giunge fino allo Stretto di Bering.

Trump, che ancora crede che le acque dell’Atlantico e del Pacifico difendano, da sole, gli Stati Uniti, non si rende conto, nella sua ignoranza della storia, che consegnare l’Ucraina alla Russia ne moltiplica l’appetito. Una “fame” che rinvia a un preciso progetto transtorico eurasiatico che mette in discussione l’idea di Occidente nel nome di un astuto divide et impera.

Qualcuno spieghi a Trump che la prima regola in guerra è quella di seminare divisioni nel campo nemico e favorire l’armonia nel proprio.

Cosa che alla Russia sta riuscendo molto bene. E con il permesso di Trump. Si chiama anche suicidio politico. Dell’Europa come degli Stati Uniti.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.lemonde.fr/idees/article/2025/02/22/marie-mendras-politiste-les-demandes-extravagantes-de-vladimir-poutine-devoilent-les-vulnerabilites-de-la-machine-de-guerre-russe_6558640_3232.html .

(**) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/02/22/-meloni-italia-sta-meglio-noi-aumentiamo-le-liberta-_43e47ef8-e2bb-491f-ad6b-5e54cfceb0dd.html .

sabato 22 febbraio 2025

Giorgia Meloni e l'aiutino

 


Secondo alcuni osservatori, sulla questione Ucraina, la sinistra dovrebbe facilitare l’avvicinamento di Giorgia Meloni alle posizioni di Macron e Starmer.  E così favorire  il conseguente allontanamento da Trump e dalla destra con propensioni autocratiche, autarchiche, populiste.  Insomma fascistoidi.

Il ragionamento è questo: dal momento che Trump vuole la disgregazione europea ogni attacco non giustificato alla Meloni sarebbe un attacco alla possibilità di far nascere un fronte franco- britannico-italiano (ma in realtà aperto a tutti), di tipo riformista, schierato dalla parte dell’Ucraina, dell’Ue, delle democrazie liberali, finalmente capace di resistere all’onda d’urto trumpista. Di qui la necessità di un aiutino,  nel senso di non attaccare sempre  a spron battuto.

Purtroppo è un dato di fatto che la sinistra, Partito democratico compreso, esageri nelle sue critiche al governo Meloni, soprattutto, quando si illude di combattere il populismo del governo con il populismo dell’opposizione. Anche perché, quando si  mostrano le carte, non si può non osservare che la sinistra, piaccia o meno, si ritrova magicamente allineata a Trump, giudicato, nonostante tutto, un uomo di pace. Non solo: con lo stesso colpo di bacchetta magica, Putin, come accaduto, viene tramutato in vittima dell’ aggressore ucraino.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo: il pacifismo è un morbo politico che non perdona. Volere la pace a tutti i costi (pacifismo) è cosa ben diversa dall’accettare realisticamente che talvolta la pace va difesa con la guerra ( pacirealismo).

Di conseguenza, nel caso ucraino, cosa del resto evidente, il pacifismo diventa il potente alleato di una intesa  ancora più pericolosa : quella tra Mosca e Washington, tra Mosca, dove comanda un autocrate, e Washington, dove c’è chi aspira fortemente a diventarlo.

Perciò è vero che la sinistra agisce in modo politicamente irresponsabile. Però, a sua volta, Giorgia Meloni è politicamente matura per favorire la nascita di una destra responsabile? Capace di tenersi alla larga da certa politica paranoide ben rappresentata (purtroppo) da Trump e Putin.

Per dirla in altro modo: La destra meloniana ha regolato i conti con il fascismo? E in particolare, con il fascismo potenziale, diremmo “climatico”, racchiuso nel concetto di tentazione fascista (*)? Una forma mentis e un modus operandi esplosivi, in contrasto con la normalità liberale, che si ritrova pari pari in Trump, Musk e ieri, ultimo ma non ultimo, Bannon. Si badi, non si tratta del saluto a braccio teso, epifenomeno di cui si discute fin troppo.

Di costoro si leggano invece i discorsi e si osservino i comportamenti: sono di una spietatezza e di un’ arroganza assolute.

Facciamo un passo indietro. Il culto e la pratica della violenza sono parte integrante della tentazione fascista. Si guarda alla violenza come a uno dei fini della politica: per far tacere l’avversario, spaventarlo, umiliarlo, o addirittura annichilirlo, togliendolo di mezzo fisicamente.

Per contro, dal punto di vista liberale la violenza non è che un mezzo al quale ricorrere il meno possibile. Il principio della violenza come fine rappresenta l’essenza stessa, perfino spudoratamente teorizzata, del nazifascismo. E la si può teorizzare, come prova la letteratura prefascista, anche in giacca e cravatta. La tentazione fascista, come clima, attinse alle torbide acque del decadentismo politico. Quindi è giusto condannare i saluti romani, ma è ancora più giusto concentrarsi sulla forma mentis o sul modus operandi.

Sotto quest’ultimo profilo il trattamento di Zelenski ricorda quello riservato al povero Benes, umiliato a Monaco nel 1938 da Hitler e Mussolini, che però si dipingevano come “uomini di pace”.

Per capirsi, per spietatezza e arroganza, la spartizione della Cecoslovacchia ricorda la prossima spartizione dell’Ucraina. Allora, non servì a nulla. L’anno successivo la Germania nazista, dopo aver patteggiato con la Russia sovietica, accordo allora presentato, da nazisti e sovietici, come un altro passo verso la pace, invase la Polonia.

Ora Giorgia Meloni è consapevole di questi corsi e ricorsi (per semplificare)? Esiste quella maturità liberale capace di consentire il passaggio da una destra irresponsabile a una destra responsabile? Per dirla altrimenti, dall’odio verso il sistema liberal-democratico all’ apprezzamento della normalità liberale?

Non crediamo. E lo andiamo scrivendo quasi tutti i giorni, da tre anni a questa parte. Quindi non va assolutamente aiutata

Se Giorgia Meloni accetta il metodo liberale – si badi, il metodo, quindi la forma non la sostanza – lo fa per ragioni tattiche, non strategiche. Certo, Giorgia Meloni è molto abile nella dissimulazione, nel vittimismo, nel doppio gioco, però i suoi silenzi sulle menzogne di Trump e Putin su Zelensky sono indicativi che non è affatto immune dal male sottile della tentazione fascista.

Ricapitolando, la sinistra è tuttora, vittima delle sue contraddizioni: parla di pace però finisce per andare a braccetto con Trump e Putin. Corsi ricorsi: perché (allora) morire per Danzica? Perché (oggi) morire per Kiev?

La destra meloniana conferma di essere ancora prigioniera delle sue contraddizioni ( anche qui: corsi e ricorsi): presenta Trump e Putin come uomini di pace, commettendo lo stesso errore di Monaco 1938. Inoltre, si faccia attenzione: per Zelensky i rituali di degradazione finale sono appena iniziati. Ai quali – siamo pronti a scommettere – a breve si unirà anche la insensibile Meloni.

Esageriamo? Si pensi a qualcosa che è ancora peggio di un saluto romano: Giorgia Meloni non si è fatta forse fotografare con Milei e motosega di servizio? La stessa motosega che tanto attrae Musk.

La carica di violenza che racchiude l’idea stessa di motosega per uso politico rinvia direttamente alla violenza populista di certo gretto fascismo borghese a caccia di rendite e non di profitti. Insomma, di guadagni sicuri grazie all’ abuso di posizione (politica) dominante. Si pensi al ricatto di Trump sulle “terre rare” ucraine o alla speculazione di Milei sulla criptovaluta $Libra. Ma quali liberali! Ma quali capitalisti! Leggano Schumpeter. E soprattutto vadano a letto presto dopo aver assunto una pallina di ZzzQuil Natura...

In realtà la motosega con il liberalismo non ha nulla a che fare.

Come del resto Giorgia Meloni. Di qui l’impossibilità di qualsiasi sua evoluzione. Quindi, ripetiamo, nessun aiutino.

Del resto come si può aiutare chi non vuole essere aiutato? O peggio ancora fa finta di chiedere aiuto?

Carlo Gambescia

(*) Argomento approfondito qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=tentazione+fascista .

venerdì 21 febbraio 2025

L'Europa può fare a meno degli Stati Uniti?

 


Si sospettavano alcuni cambiamenti di postura nella politica estera trumpiana, ma non in tempi così rapidi e dai contenuti così corrosivi

In meno di un mese per gli Stati Uniti, il nemico, la Russia, è divenuto amico, e l’amico, l’Ucraina, nemico. Trump ha dichiarato Kiev stato aggressore, si immagini il tripudio di Mosca, pretendendo che i tradizionali alleati, l’Europa in primis, si allineino, senza battere ciglio. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Soltanto che  per ragioni di orgoglio e  di storia l'Europa  non  può piegarsi dinanzi a un politico paranoide.

Però a  questo punto la vera domanda che ogni serio ricercatore deve porsi è quanto può durare, come idea e come pratica, un Occidente euro-americano privo di un alleato fondamentale come gli Stati Uniti. Insomma l’Europa può fare a meno degli Stati Uniti?

Si dirà, che le nostre preoccupazioni sono assurde, perché gli Stati Uniti sono tuttora una democrazia, un paese in cui si vota liberamente e regolarmente, e che perciò tra quattro anni gli elettori potrebbero mandare a casa Trump. Che tra l’altro, come notava ieri un lettore ha settantotto anni. Non è un ragazzino...

Insomma la “normalità” liberale” risucchierebbe, senza alcun problema digestivo, la svolta illiberale del magnate newyorkese. Di conseguenza con un presidente democratico o repubblicano vecchio stile, gli Stati Uniti tornerebbero ad essere quella certezza liberale, dai particolari contenuti economici e militari. Contenuti ( libertà  di mercato, stato di diritto,  Nato)  che hanno motivato, più che adeguatamente,  il Mondo Libero dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Diciamo che si tratta di un’ipotesi onesta che tuttavia non coglie un fatto fondamentale: che per la prima volta dalla vittoria del 1945 il mondo si trova davanti un autentico eversore dell’ordine liberale. In Trump, come scrivevamo ieri (*), sembra prevalere un approccio alla politica più vicino a quello di Hitler che di Churchill.

Pertanto recuperare Trump alla democrazia liberal-democratica non è cosa facile né sicura. Alla stessa stregua di quel mondo, popolato di estremisti, che interagisce con lui, a livello di collaboratori, finanziatori, elettori.

Ma vediamo meglio: abbandonare Trump al suo destino che signfica? Cosa comporta per l’Europa?

Scorgiamo tre strade.

1) L’Europa può fare finta di nulla. In fondo c’è un importante precedente: quello della repressione sovietica dei moti ungheresi nel 1956. I russi  reprimevano e  massacravano e gli europei fischiettavano” Pippo non lo sa”, girandosi dall'altra parte.

2) L’Europa può rilanciare una specie di politica del tira e molla, alternare dinieghi e atti, mostrandosi ora arrendevole ora intransigente Una politica che però prolunga solo l’agonia di Kiev. E che  in questo modo salva il faccione di Mamma Europa. Che invece meriterebbe di essere presa a schiaffi.

3) L’Europa può impegnarsi, ma in proprio, fornendo all’ Ucrania tutto ciò che può servire per respingere i russi: armi, truppe, intelligence. L’Europa, Nato o meno, si sostituirebbe agli Stati Uniti.

 Che fare? Quale strada scegliere? L’Europa al momento è sfiancata dalla ricerca, che dura almeno da un decennio, di un doppio equilibrio esterno, tra potenze, e interno, tra stati. Far combaciare i lembi di questo duplice contrasto non è cosa facile. Anche perché, culturalmente parlando, l’Europa nel suo insieme sembra essere sempre più vittima dell’ipnosi pacifista. Detto altrimenti: non riesce più a pensare la guerra (**).

Inoltre, le cose rischiano di farsi ancora più complicate a causa del pericolo – incombente – che non pochi stati europei cadano nelle mani di una destra che non ha mai veramente fatto i conti con il fascismo e che in alcuni casi è finanziata addirittura dalla Russia.

Il problema è che questa Europa, divisa e disastrata non può fare a meno degli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti possono fare a meno dell’Europa. Il che spiega la linea dura di Trump. Che ritiene di detenere il coltello dalla parte del manico.

Riassumendo, l’Europa, senza Stati Uniti ha tre possibilità, l’indifferenza, il tira  e molla, lo sforzo militare.

L’indifferenza e il tira e molla sono le due facce della medaglia celebrativa delle fine dell’ Occidente. Mentre l’intensificazione dello sforzo militare guarda in prospettiva al recupero di un’Europa egemone capace però di tornare a dialogare con una America dopo Trump. Bonificata insomma. Per alcuni osservatori, considerate le caratteristiche strutturali del fenomeno Trump (populismo, fascismo, mazionalismo) si tratterebbe però di un’utopia.

Sul punto esiste un altro problema: l’intensificazione dello sforzo militare richiede tempo e scelte strutturali. Per sostituire, al minimo sindacale, il partner americano potrebbe non bastare un lustro. Mentre Kiev ha necessità di aiuti immediati e soprattutto che non si interrompa il flusso.

Come si può intuire sul piano delle scelte concrete non esiste la soluzione miracolosa perché indifferenza e tirare a campare favoriscono l’egemonia russa sull’Europa. Per contro, lo sforzo militare implica un enorme e costoso riorientamento organizzativo e industriale.

Ovviamente, per chiunque condivida i valori liberali, la sfera europea della tradizione occidentale va difesa a ogni costo. Per contro, per le masse, in larga parte prive di sentimenti liberali, è la pace che va difesa a ogni costo. Pertanto il rischio è che la gente comune non comprenda, e che perciò l’ élite liberale resti prima inascoltata, poi isolata, infine condannata alla sconfitta totale.

Per capirsi, affiancare l’Ucraina in questo momento, assume lo stesso valore eroico e rischioso della carica della cavalleria italiana di Isbuchenskij, 23 agosto 1942. Allora, pur riportando notevoli perdite, gli italiani ebbero la meglio sul nemico russo. Ci auguriamo perciò che Macron, Starmer, eccetera, sappiano bene ciò che fanno. Perché 30 mila soldati francesi in Ucraina sono una goccia nel mare. Pertanto o si fanno le cose come vanno fatte  o meglio restare a casa, evitando coinvolgimenti tira e molla. Infine per Giorgia Meloni, appollaiata sulla spalla destra di Trump il problema non sussiste.

Insomma, qualcosa si muove, non tutto è perduto, però ci vuole coraggio e intelligenza degli eventi. Altri, più bravi di noi, come l’amico professor Molina, la chiamano immaginazione del disastro.

 

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/ .

(**) Approfondiamo il concetto qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/02/loccidente-e-lincapacita-di-pensare-la.html

giovedì 20 febbraio 2025

Trump straparla

 


Trump ha insultato Zelensky. Straparla. Del resto Trump ha insultato per anni Barack Obama asserendo che non era nato negli Stati Uniti e che perciò poteva essere un pericoloso agente islamista:  una specie di terrorista dormiente infiltratosi alla Casa Bianca.

Perciò che prima o poi se la prendesse anche con Zelensky era cosa scontata. Il grande Jannacci, per citare da “Silvano” , gli consiglierebbe di “sfoderare scuse plausibili e di scacciare il bisogno del passero”…

Battute a parte, la reazione di Zelensky è stata esemplare, elegante, da statista: “Trump vive in un bolla di disinformazione russa”. Dopo di che ha ribadito, distinguendo con sagacia tra proprietà e dipendenti, la sua fiducia verso la macchina della diplomazia statunitense.

Un passo indietro. Obama, pur non essendo obbligato a farlo, esibì il suo certificato di nascita, prima l’ estratto, poi l’integrale. Niente. Probabilmente Trump crede tuttora che Obama sia un infiltrato. Come pure crede che gli abbiano sfilato illegalmente la vittoria nel 2020, e così via.

Ora, che, in occasione dei funerali di Carter, Obama non abbia preso Trump a calci nel sedere è un fatto che rimanda alla sua fortissima capacità di autocontrollo (infatti, nei video della cerimonia gli sorride amabilmente). Una caretteristica più volte mostrata nel corso dei due mandati.  Senza dimenticare  il grande rispetto che Obama nutre per le istituzioni. Cosa che Trump neppure si sogna.

Cosa vogliamo dire? Che Trump, che non solo ha insultato Zelensky ma ha detto le solite bugie ( che Zelensky avrebbe iniziato la guerra, che si è pappato i soldi americani, che non è stato eletto democraticamente), difficilmente sarà messo a tappeto a colpi di fact-checking.

Detto altrimenti, se si crede che per liberarsi di Trump, basterà schierare Karl Popper, il rischio è quello di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Smentirlo, anche in modo rigoroso, non serve a nulla. Andrebbe comunque avanti come un treno. E per una semplice ragione: il consenso politico a Trump, come fu per altri pericolosi agitatori carismatici del secolo scorso, nasce dallo sciamanico appello, in cui Trump è abilissimo, non alla parte razionale degli elettori ma a quella irrazionale. Perciò più si fanno le pulci alle sue asserzioni, e le si scopre false, più i suoi elettori, anche potenziali, non ascoltano e gridano al complotto, rispondendo in modo irrazionale. Guai a toccare loro il pupazzetto a molla con il ciuffone.

Trump perciò è in una botte di ferro. E' il resto del pianeta che non lo è. Un premio che Trump non meritava. Perché consapevolmente o meno, ha rotto il patto liberale, che, semplificando, vieta di calunniare un avversario, di mentire sul suo conto, eccetera.

Ovviamente, la vittoria della comunicazione digitale e il trionfo dei social hanno favorito tutto questo. Diciamo pure che la rivoluzione dei nuovi media ha potenziato il ruolo della menzogna in politica.

Su basi antiche però. Il Mein Kampf, sebbene racchiuda una montagna di bugie, è letto addirittura con rispetto e creduto forse da almeno un paio di miliardi di persone.

Come sosteneva Pareto resta insito nell’essere umano un residuo o istinto delle combinazioni. Cioè vi si ritrova quell’atavico gusto di mettere insieme spiegazioni misteriose con risposte misteriose. Se a fin di bene, siamo nell’ambito delle grandi religioni; se invece per altri scopi, magari illeciti, si ricade nel pericoloso giroconto della menzogna politica, che inevitabilmente rinvia alla terribile caccia al capro espiatorio.

Dicevamo del patto liberale. Parliamo di un appello alla ragione (quindi un fine). Perciò di non comunicabilità con tutto ciò che non è ragione (quindi mezzo). Come, per l’appunto, la politica intesa come trionfo della menzogna. E qui si torna a Trump che ha costruito una brillante carriera politica sull’uso sistematico della menzogna contro avversari e nemici.

Attenzione, anche Machiavelli parla dell’uso politico della menzogna. Però una cosa è considerare la menzogna come uno strumento, un mezzo, tra gli altri, della politica, un’ altra farne un fine per un suo uso sistematico, totalmente sganciato dalla realtà delle cose. Come per la panzana sull’atto di nascita di Obama, che probabilmente Trump continua a ritenere falso…

La perdita di contatto con la realtà, stando ai manuali psichiatrici, rinvia alla paranoia. Cioè a un soggetto che nutre sospetti, sfiducia e timore verso gli altri, irritabile, arrabbiato, depresso, in costante stato di allarme fisico e mentale, assolutamente incapace di porsi il problema dell’altrui prospettiva delle cose.

Si pensi a un soggetto instabile che chiede continua conferma a se stesso che la realtà sia come lui la vede. Di qui l’importanza della menzogna, come strumento di conferma, ma anche dell’automenzogna e degli stereotipi. Cioè, come dicevamo, ci si autoconvince che Obama sia un infiltrato islamista, anche perché il colore della pelle di Obama ci dice che non può non essere così.

Per dirla brutalmente, ciò significa che un politico paranoide ha scalato la Casa Bianca. E per la seconda volta. Qui il problema.

Come liberarsi di Trump? Difficile dire. Come gli si fa sparire quel “bisogno del passero”?  Quel  fare il prepotente  che gli ronza dentro il cervello? Anche per Basaglia potrebbe essere un problema. Di regola, come insegna la metapolitica, l’agitatore carismatico e paranoide si incarta da solo. Come Hitler e Mussolini ad esempio. Però dopo averne combinate di tutti i colori. Probabilmente non lo si doveva assecondare fin dall’inizio. Sul punto però l’Europa si è mostrata divisa. E ora Trump ha già azzannato Zelinsky. Per salvare Kiev potrebbe essere troppo tardi

Però una cosa è certa: basta con il fact-checking alle sue dichiarazioni. Come se Trump fosse una questione di filosofia della scienza. Purtroppo la conoscenza non è virtù. Se per lo scienziato due più due fa quattro, per il demagogo fa cinque, sei, sette e così via.

Gli esseri umani al conoscere preferiscono il credere. Di conseguenza, una volta rotto il patto liberale, scocca l’ora del demagogo, di colui che straparla.

Nel nostro caso le lancette ci dicono che è il momento di Trump. Quindi delle due l’una: o dirle più grosse di lui, cedendo però al populismo, oppure attendere che la “nuttata” passi, cercando di limitare i danni.

Ammesso e non concesso che si possano limitare.

Carlo Gambescia

mercoledì 19 febbraio 2025

Riyad. Gli ucraini devono rassegnarsi… Nessuna pietà per i giusti

 




Le analisi dei principi non portano molto lontano. Però aiutano a capire.

Se, ad esempio, sul suolo ucraino fossero presenti ingenti forze militari europee, Trump non si permetterebbe di estromettere l’Europa e l’Ucraina di Volodymyr Zelensky da quelle che sono definite ipocritamente trattative di Riyad per mettere fine alla guerra in Ucraina.

E qui veniamo ai principi. Gli strumenti per capire a cosa puntano gli attori politici.

Biden difendeva il principio che vieta la violazione della sovranità di uno stato da parte di una altro stato. Di qui la definizione dei russi come aggressori.

Trump invece crede fermamente nel principio della politica delle sfere di influenza. Di qui la tacita (per ora) definizione dell’Ucraina come stato separatista.

Biden era un idealista, Trump un realista. L’Europa, a sua volta, sarebbe idealista, ma non ha la forza per var valere le sue ragioni. Forza che invece aveva Biden.

Trump, infine, è un realista e un “forzista” (non abbiamo trovato termine migliore). Cioè possiede la forza per portare a effetto le sue decisioni, sbagliate o giuste che siano.

Putin è un realista, ma meno “forzista” degli Stati Uniti. Infine Kiev, nonostante l’abnegazione mostrata, non ha forza propria. Cioè dipende dagli alleati. Di qui, quella costitutiva debolezza, che spiega il brutale trattamento che l’Ucraina sta subendo a Riyad da parte di americani e russi.

Cosa può fare l’Europa? Potrebbe mettersi di traverso, cercando di guadagnare tempo, per riarmarsi e così rimettere in equilibrio le forze in campo.

Insomma muoversi in direzione di un rinnovato “forzismo”. È all’altezza di questo compito? No. E per due ragioni: sorpassate divisioni interne e pacifismo debilitante.

Pertanto sembra segnata la sorte dell’Ucraina, e in particolare di Volodymyr Zelensky, che rappresenta l’anima della resistenza ucraina. Che rischia grosso. Infatti potrebbe essere addirittura eliminato fisicamente. Come usa fare Putin – fine costituzionalista, come ora vedremo – con i suoi nemici, interni ed esterni. Quindi altro che le bacchettate sulle mani evocate da Lavrov,  maligna figura che sembra uscita  dalla penna di Charles Dickens.

Un capolavoro di realismo forzista, quasi a livello iconico, è rappresentato, come si fosse a teatro, dalla faccia bronzea di un Putin, autocrate a tutti gli effetti, al potere dal 2000, che però accusa Zelensky, eletto nel 2019, di aver violato la costituzione ucraina per il rinvio delle elezioni del 2024. Altrettanto meritevole di un Oscar all’ipocrisia è il silenzio americano su un’ uscita del genere. Ulteriore riprova dell’accettazione da parte di russi e americani del principio della divisione del mondo, fin dove possibile, in sfere d’influenza.

In qualche misura Washington e Mosca ragionano come i vincitori convenuti a Yalta nel febbraio del 1945 per decidere dei destini del mondo e in particolare dell’Europa. Stalin e Roosevelt, come oggi Trump e Putin, andavano molto d’accordo Churchill era più sospettoso, anche se alla fine dovette cedere. Sicché l’Europa fu divisa in due sfere di influenza. Per la cronaca (storica), gli Ucraini, già ribellatisi a Lenin, rimasero, prigionieri di Stalin, dietro la cortina di ferro.

Con gli esempi storici si può andare ancora più lontano, fino a risalire al discorso, sempre in termini di realismo forzista, riportato da Tucidide, che gli ateniesi fecero agli abitanti di Melo. In sintesi: “ Anche se non avete alcuna intenzione di attaccarci, non possiamo ammettere la vostra indipendenza, perché sarebbe di cattivo esempio per le altre città”.

Insomma, gli ucraini devono rassegnarsi… Nessuna pietà per giusti. Si chiama lezione della forza. O la forza c’è o non c’è. Purtroppo non basta essere dalla parte della ragione. Tutto qui. Che malinconia.

 

Carlo Gambescia

martedì 18 febbraio 2025

Vertice di Parigi. Altro flop europeo

 


A Parigi, come prevedibile, nulla di fatto. Un flop. Ne è prova l’anodina dichiarazione finale, condivisa dai capi dei governi di Francia, Italia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca, Polonia e Olanda, convenuti a Parigi, su invito di Macron e alla presenza dei vertici Ue e della Nato.

Sembra ci sia accordo su tre punti a dir poco astratti: a) la necessità di condividere le scelte con gli Stati Uniti; b) l’esigenza di garantire una pace giusta e 3) di proteggere l’Ucraina. Di truppe europee sul terreno neppure a parlarne (*).

A quanto pare si sono dichiarati favorevoli solo Gran Bretagna e Francia. Inoltre non si capisce bene l’eventuale collegamento, ammesso che esista, tra truppe Nato e truppe, diciamo, europee. Anche perché un vero e proprio esercito Ue non esiste ancora.

Perché un flop  prevedibile? Per due ragioni: 1) al momento, militarmente parlando, non tanto per le potenzialità dell’industria bellica, quanto per questioni organizzative (esiste la Nato, ma non una Nato, per così dire europea), l’Europa non spaventa nessuno. Anche singolarmente, paesi come la Gran Bretagna e la Francia, non hanno le risorse materiali per intervenire in modo durevole e convincente (e vincente) in Ucraina; 2) sulla questione militare l’Europa è disunita. Inoltre va considerato che a Parigi, Italia a parte, erano presenti paesi dalle posizioni abbastanza vicine sulla necessità che l’Ucraina continui a esistere come paese sovrano. E per fortuna, viene da dire...

Del resto all’interno delle istituzioni Ue, come si denota dall’astuta dichiarazione della regina del doppiogioco, Giorgia Meloni, decidere per una stretta militare sarebbe ancora più complicato. Dal momento che l’unanimità, criterio base nelle decisioni europee, impedirebbe qualsiasi rapida soluzione.

Il che spiega l’improvviso e peloso europeismo istituzionale della Meloni. Come pure spiega il tentativo extra-istituzionale dell’incontro parigino di Macron: per fare più in fretta o comunque inviare a Trump e Putin, un segnale che c’è vita su Marte.

Purtroppo, soprattutto in politica, le buone intenzioni, con riguardo ai fini, non servono a nulla, se l’azione che ci si propone di compiere è priva di mezzi sufficienti per portarla a effetto. Ammesso e non concesso che l’Europa riesca a sedersi intorno allo stesso tavolo con Putin, Trump, Zelensky, la sua pistola sarà comunque scarica. Come dire? Forza deterrente pari a zero.

Il che spiega l’atteggiamento prepotente di Trump e Putin nei riguardi di un’ Europa che ritengono debole e incapace di andare oltre le dichiarazioni di intenti. Come pure la sfrontatezza di un Vance, che a Monaco, presentandosi come campione di libertà, ha però rilanciato le stesse accuse reazionarie di Putin contro l’Europa.

Di conseguenza come non giudicare penosa l’evocazione europea della presunta necessità, già respinta dagli Stati Uniti, di scelte condivise?
 

In politica la minaccia è fondamentale, ma per minacciare si deve essere credibili. E l’Europa non è credibile. Quindi, ripetiamo, non fa paura a nessuno.

Su queste basi oggettive il margine di manovra europeo è quasi pari a zero. Anche perché la Nato, senza un impegno diretto degli Stati Uniti rischia il naufragio politico e militare. Certo, si può sperare che Trump faccia un passo indietro. O che Kiev travolga con un attacco improvviso le forze russe. E così via…

In realtà, come insegna la saggezza, popolare chi di speranza vive, disperato muore.

Il flop di Parigi, e quello, qualche giorno fa, di Monaco, conferiscono alla situazione quell’aria di cupezza che pervade certi momenti tragici della storia quando, rispetto all’evoluzione negativa dei fatti, l’uomo non può che assistere impotente alla propria o altrui rovina.

Che poi il senso di impotenza abbia origine in errori passati che si potevano evitare, eccetera, eccetera, nulla toglie nulla aggiunge alla gravità di una situazione. Anche perché non è certo questo il momento della caccia al colpevole, sebbene l’ incapacità europea di “pensare la guerra” abbia le sue radici in una visione utopica. pacifista e socialista del futuro dell’umanità.

Servono munizioni, armi e soldati. Non chiacchiere umanitarie.  E in tempi brevissimi. Ma come? Se l’Europa manifesta, ancora un volta, tutta la debolezza di un  baloccarsi, volente o nolente, con le dichiarazioni d’intenti?

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/02/17/leuropa-si-spacca-sullinvio-di-truppe-in-ucraina.-telefonata-macron-trump_4b0641d7-ce74-4cf9-b44e-75295ecb79b0.html .

lunedì 17 febbraio 2025

Trump e l’inutilità del male

 


Si pensi alle decisioni prese da Trump. Sembra avviarsi sulla strada del male. Ovviamente non in senso teologico.

Trump rischia di stravolgere la storia di chiunque si trovi sulla strada di Washington, dagli stessi cittadini americani che non la pensano come lui ai migranti che hanno l’unica colpa di cercare come i famosi Pellegrini una vita migliore.

Il male come atto autolesivo e lesivo. Autolesivo per i governanti, lesivo per i governati. Un inutile suicidio collettivo.

Si rifletta sulla scelta trumpiana di isolare gli Stati Uniti o comunque di separare il destino politico di Washington da quello dell’Europa. Insomma di fare in modo che gli Stati Uniti procedano in perfetta solitudine, magari quando necessario con l’aiutino di altri stati, come l’Italia ad esempio, ideologicamente affini. Chiamandoli a sé, si badi, in funzione non di efficaci mediatori ma di semplici esecutori.

Purtroppo, sotto questo aspetto, la scelta di Trump, prova per l’ennesima volta, quanto la storia, come ricostruzione del passato, non sia maestra di vita. Inoltre certifica anche un’altra cosa, importantissima: che gli esseri umani, soprattutto nella sfera della politica, un ambito che dalla lezione della storia avrebbe tanto da imparare, sono dominati più dalle passioni che dagli interessi.

A riprova di questa nostra affermazione si pensi alla natura autolesionistica di certi atti sconsiderati, proprio sotto l’aspetto di quel calcolo degli interessi, che, come spesso si dice, caratterizzerebbe il comportamento umano: dal cameriere che ruba sul resto, rischiando il licenziamento, quindi di finire al verde, al Presidente Trump che ruba ciò che resta dell’Idea atlantica, rischiando di favorire i nemici dell’Occidente, e quindi anche degli Stati Uniti.

Cosa insegna la storia americana? Che è bene per gli Stati Uniti rafforzare i legami con l’Europa, politici, culturali, economici. Soprattutto la storia del Novecento insegna che l’isolazionismo non paga. Il ripiegamento interno americano, tra le due guerre, favorì l’ascesa dei fascismi e il consolidamento del comunismo sovietico.

Per contro, dopo il 1945 e più o meno fino al primo mandato di Trump, i rapporti tra Stati Uniti ed Europa sono stati più che accettabili. Tutti i presidenti che si sono succeduti, con l’interludio del primo mandato di Trump, non hanno mai messo in discussione, al di là di alcune lievi frizioni (ai tempi di Nixon, Reagan, Bush figlio), l’importanza della comunità atlantica. Washington guardava con favore all’alleato europeo. Forse qualche volta a fare i capricci era l’Europa: si pensi all’antiamericanismo di Charles de Gaulle. Oppure alle proteste contro la Nato, che vedevano, non solo in Italia, comunisti e fascisti in perfetta sintonia.

Da ultimo, l’ interludio Biden ha visto Europa, Nato e Stati Uniti magnificamente schierati insieme in difesa dell’Ucraina aggredita da Mosca.

Trump è contro tutto questo. Per capirsi: è come se durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti fossero rimasti indifferenti fino all’ultimo all'  aggressione nazifascista in Europa.

E forse le cose sarebbe andate così se il Giappone, terza pedina del Tripartito, non avesse attaccato Pearl Harbour e Hitler e Mussolini dichiarato guerra agli Stati Uniti quattro giorni dopo, l’11 dicembre 1941. E qui va detto che l’allora presidente Franklin Delano Roosevelt, un democratico, pur non essendo della stessa stoffa di Trump, non era in linea di principio un interventista.

Sembra impossibile che Trump non conosca la storia del Novecento americano e nulla sappia del gigantesco errore di impedire l’ascesa di Hitler nella Germania degli anni Trenta. Sia come sia, questa torsione cognitiva lo porta a commettere lo stesso errore verso l’espansionismo di Mosca e l’ascesa dell’estrema destra europea, passata molto in fretta dal culto di Putin a quello di Trump. Anche se in realtà la destra europea apprezza sempre l’uomo forte, a prescindere dal colore politico o dalla nazionalità. Quindi può tranquillamente tenere il piede in due staffe.

Trump si lascia trascinare dal suo odio atavico per la sinistra, e in particolare per l’establishment americano ed europeo, che come da leggenda complottista, egli vede stracolmo di pericolosi intellettuali comunisti e politici “wokisti”. Ammesso non concesso che il wokismo sia pericoloso non lo sarà mai quanto una riedizione del nazifascismo. Pensare - ci si perdoni il parallelo improprio  -  in caso di vittoria totale "wokista"  a sei milioni di " maschi patriarcalisti"  gassati  è  ridicolo. 

Trump non ragiona, non calcola, odia. Si potrebbe fare un parallelo con Roosevelt che a Churchill preferiva Stalin. A un ironico conservatore europeo, preferiva un gretto contadino georgiano. Dal momento che Roosevelt, con ingenuità inconsueta nel politico navigato, riteneva il primo falso, il secondo sincero.

Un uso razionale della storia ( l’ esperienza della tremenda avventura hitleriana) e il calcolo ( a chi conviene la caduta della Gibilterra europea?) avrebbero dovuto spingere Trump verso l’Europa: questa importante appendice del continente eurasiatico. E invece l’odio per i Churchill di sinistra lo spinge a favorire gli Stalin di destra.

Trump ha scelto il male. Però un male inutile. A quale scopo  si rischia di infierire sull’Europa, sugli Stati Uniti, sugli equilibri mondiali? Per favorire Mosca che il male lo pratica in modo sistematico, quindi utile. O peggio ancora per incoraggiare la vittoria di un’estrema destra europea che lo ricambierà, alla prima occasione, con il tradimento, proprio perché nazionalista.

Il nazionalismo come Saturno divora i suoi figli. Trump, che ora divora, rischia di essere divorato.

Un male inutile e suicida.

Carlo Gambescia