giovedì 17 ottobre 2024

Barbero, il populista cognitivo va in pensione…

 

La notizia buona è che Alessandro Barbero ha scoperto la burocrazia universitaria (*) . Ora che va in pensione. Bah…

Quella cattiva, che d’ora in poi, godendo di tempo libero, sarà ancora più invasivo come divulgatore storico. Se il pensionato standard si accontenta di osservare i lavori stradali, il pensionato fuori misura diciamo, si dedicherà, alla storia dei lavori stradali narrata al popolo. Insomma siamo fritti.

Oltre al vederlo piroettare su YouTube, di Barbero, abbiamo letto un romanzo, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, così così (una mezza salgarata), e teniamo, a distanza di sicurezza, sullo scaffale, il Dizionario del Medioevo , scritto con Chiara Frugoni, un lavoro mediocre, semplice per gli studiosi, semplicistico per i non addetti.

Si dirà, pochino per giudicare… Diciamo che abbiamo un certo fiuto. Inoltre il lettore penserà: Gambescia è invidioso, lui i libri li vende con il contagocce, Barbero a palate.

Non è così. Se Barbero ha questa capacità di farsi capire dal popolo, siamo contenti per lui. Però si fa capire troppo. La sua “missione”, proprio perché divulgativa, nel senso dell’accessibilità a tutti, rischia di vendere e trasmettere illusioni. In particolare quelle che la storia non abbia segreti e, cosa peggiore, che sia sempre uguale a se stessa.

Il problema non è il mezzo ma il fine. Per capirsi: il problema non è Barbero, ma il concetto Barbero. Detto altrimenti il concetto di divulgazione. Di una certa divulgazione. E spieghiamo perché.

Il sapere divulgativo è un non sapere. Perché il sapere è difficile, e non è per tutti: servono doti intellettuali, volontà di applicarsi, e soprattutto la consapevolezza che le cose sono difficili da capire e che non ci sarà mai una risposta a tutto.

In linea di massima, la divulgazione è l’esatto contrario della scienza: semplifica. Cosa che vale per il divulgatore, per il divulgato e per il fruitore di divulgazione. La semplificazione, anche se ben fatta, è tale: facilita. Penalizzando lo sviluppo, quando ci sono, delle facoltà intellettuali, il duro lavoro applicativo e soprattutto il senso di complessità delle cose.

Perché la realtà, a partire da quella storica, è complessa. Qui il punto fondamentale. La divulgazione è una forma di populismo cognitivo: fornisce riposte semplici a problemi complessi. E in qualche misura Barbero, volente o nolente, è il Salvini della situazione.

Alziamo il tiro cognitivo. Alla base del sapere divulgativo storico c’è l’analogia, cioè la relazione di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi dei fatti storici, in misura tale da favorire la deduzione mentale elementare di un certo grado di somiglianza tra due fatti anche storicamente lontani tra loro.

Per capirsi, l’analogia buona (che del resto è una normale tecnica cognitiva) è quella che fa capire, in termini di regolarità metapolitiche, che alcuni processi si ripetono (conflitto e cooperazione, ad esempio), ma con contenuti diversi. Per contro l’analogia cattiva, insiste sulla ripetizione dei processi e dei contenuti. Di qui Cesare uguale Napoleone, Augusto uguale De Gaulle, Cola di Rienzo uguale Mussolini, Luigi XIV uguale Hitler, Ivan il terribile uguale Stalin.

Ora, la retorica di un Barbero è più ricca, però nel fruitore della divulgazione, che non è un altro storico come Barbero, la cattiva analogia viene immediatamente promossa a verità storica e sociologica.

Pertanto la divulgazione fa più male che bene. Non sempre però. Ad esempio il lavoro di Mieli sui Rai Storia è eccellente: storici in studio, lessico mai banalizzato e soprattutto bibliografie, minime ma bibliografie.

Il distacco, tra la storia seria è la divulgazione è proprio nella bibliografia. Diciamo nel concetto di bibliografia. Che serve per capire come su un determinato argomento la storiografia (che poi è il mondo degli addetti ai lavori), non abbia mai in serbo risposte semplici e univoche. La bibliografia, se non si è dotati di anima scientifica a prima vista appare come un ponte tibetano sospeso sull’abisso. Può sgomentare. Ma non coloro che non si accontentano di risposte semplicistiche. In una parola: populiste, cognitivamente populiste.

È vero che Barbero talvolta indica cose da leggere, eccetera, però il suo punto di partenza è sempre la risposta semplice. Il che non incuriosisce e non aiuta l’approfondimento.

Si dirà, ma allora Piero Angela, il re, e giustamente, dei divulgatori scientifici? Angela è sempre stato un divulgatore, sui generis, una specie di Mieli in ambito scientifico. Si leggano le sue innumerevoli interviste. Ha sempre dichiarato che le cose sono complesse e che non esistono risposte semplici. Angela non lo si può definire un populista cognitivo. Magari gli si può rimproverare qualche piccolo cedimento, ma solo ogni tanto.

Insomma la divulgazione sta alla società di massa come il sapere scientifico alla società di élite. La vera divulgazione è quella che mette in collegamento le due società, mantenendo ferme distanze e differenze.

Come? Mettendo il lettore davanti al ponte tibetano della bibliografia. Cosa che chi scrive scoprì all’università (allora la pseudocultura delle slide fortunatamente non esisteva). La bibliografia, come il dio manzoniano, affanna e consola. E soprattutto ripetiamo ci mette davanti alla complessità del sapere storico. E di ogni altra forma di sapere.

Bisogna sempre accostarsi con rispetto. Guai ai facili giudizi. Quelli purtroppo toccano ai politici. Ma questa è un’altra storia.

Concludendo, abbiamo citato, di Barbero, il Dizionario del Medioevo. Contiene ricche illustrazioni, non poche per una pubblicazione economica, ma neppure una linea di bibliografia…

Carlo Gambescia

(*) I non abbonati a “La Stampa” leggano qui: https://www.rainews.it/tgr/piemonte/articoli/2024/10/e-alessandro-barbero-va-in-pensione-addio-universita-del-piemonte-orientale-6246fba4-8e86-4ba2-89ff-266c3977f6c3.html

mercoledì 16 ottobre 2024

Il Governo dei rapinatori di banche

 


Un esempio di incultura economica? Si legga la seguente dichiarazione di Giorgia Meloni a proposito dell’una tantum sulle banche (e sembra) assicurazioni, una volta accantonata, ma solo sul piano evocativo, la tassa sui “sovraprofitti” bancari.

“3,5 miliardi provenienti da banche e assicurazioni saranno destinati alla Sanità e ai più fragili per garantire servizi migliori e più vicini alle esigenze di tutti”.

Cioè si rapinano le banche (produttive) per buttare soldi nella fornace dell’assistenzialismo (improduttivo).

La spesa totale (2022-23) per la sanità ammonta a circa 130 miliardi (parliamo di settecentomila dipendenti), il deficit annuo (2022) a quasi di 1 miliardo e mezzo. Come si può intuire una goccia nell’oceano. Del resto il rapporto tra la spesa per il personale e investimenti fissi lordi (impianti e macchinari) è ridicolo. Il 3-5 per cento della spesa totale (che va via quasi tutta in stipendi), tra i tre e cinque miliardi (*)

Insegnano gli economisti, quelli seri, che, anche lo stato, come un’impresa, deve essere attento al rapporto costi-ricavi. E da che mondo è mondo, se i costi superano i ricavi, lo stato, come qualsiasi impresa rischia di fallire.

Questo in teoria. Perché lo stato a differenza dell’imprenditore privato può evitare il fallimento, o comunque rimandarlo, ricorrendo all’uso della forza. Tre sono le modalità storiche: 1) conquistando, quindi rapinando, altre nazioni; 2) stampando moneta, impoverendo così, quindi di nuovo con la rapina, non i cittadini di altre nazioni, ma i propri; 3) tosando i cittadini, in particolare i ceti produttivi, che una volta rapinati, perdono, in vista di altre rapine, qualsiasi volontà di produrre profitti.

Giorgia Meloni, e le altre destre di governo, compresa Forza Italia, che diceva di essere dalla parte delle imprese, hanno scelto l’opzione numero tre. Ovviamente, le guerre di conquista, nell’Europa unita, sono anacronistiche ( Russia a parte). Mentre l’inflazione è un’arma elusiva, serve solo a spostare verso l’alto l’asticella dei prezzi, diminuendo però il potere d’acquisto. A poco a poco si diventa tutti più poveri.

Pertanto il ricorso alla modalità della rapina in banca era scontato. 

Dicevamo dell’incultura economica della destra di governo.Come sanno gli economisti, ogni euro, frutto della rapina, avrà un effetto distorsivo, perché ricadrà sui costi delle banche, che a loro volta, ricadranno sui contribuenti. I tributi non sono mai economicamente neutrali. Perché vanno colpire dal lato della domanda i consumi e da quello dell’offerta il credito. Un disastro annunciato. Detto in soldoni, sarà più difficile ottenere un prestito.

Agli economisti, i “faciloni” di destra rispondono, come potrebbe rispondere l’uomo della strada, che di economia non sa nulla: “Le banche ne hanno tanti di soldi, perciò euro più euro in meno”… No comment. P.S. La sinistra risponde in modo simile. L’incultura è generalizzata.

Quanto alle banche, va detto che dopo una timida protesta, più che altro una specie di gol della bandiera, sul termine sovraprofitti (in effetti ignoto alla letteratura economica), poi tramutato lessicalmente in contributo straordinario, sembra di “solidarietà”, hanno ceduto, come la Chiesa francese prerivoluzionaria.

Cosa accadde? Che a Luigi XVI, affamato di soldi, la chiesa rispose di non essere disposta a pagare nuove tasse. Avrebbe invece accettato il versamento  di un contributo straordinario, magari di anno di anno se  necessario, fissato però dalla chiesa stessa, e non dal monarca: una specie di gentile dono. Come fini? I rivoluzionari dell’89 misero in vendita tutti i beni della Chiesa, e tramutarono alto e basso clero in dipendenti pubblici.

La debolezza non paga mai.

Carlo Gambescia

(*) Qui per un quadro contabile generale: https://www.corteconti.it/HOME/StampaMedia/Notizie/DettaglioNotizia?Id=22081094-73a1-49b2-8ed0-81e4b4ad57a9 .

martedì 15 ottobre 2024

Gli Hotspot in Albania rendono liberi…

 


Ieri un amico al nostro sdegno per la deportazione dei migranti in Albania in campi di concentramento variamente denominati (*), all’insegna di un vigliacco, e molto italiano, “occhio non vede, cuore non duole”, ci ha fatto polemicamente notare – a noi che difendiamo Israele – che Gerusalemme si comporta così con i palestinesi, “imprigionati” nella striscia di Gaza.

Va subito detto che comparazioni del genere sono pericolose perché mettono sullo stesso piano, e polemicamente, situazioni storiche, culturali e geopolitiche profondamente diverse. Sulle quali già ci siano dilungati (**).

Per farla breve, i palestinesi di Gaza, sono fagocitati da una macchina terroristica (Hamas), che fabbrica solo violenza. Invece il migrante, per principio, non è un terrorista né un criminale. Qui la differenza fondamentale.

Ovviamente, sulla base delle concezioni ideologiche sposate, si può far risalire o meno le origini della violenza ai palestinesi o agli israeliani. Non è mai difficile trovare, come capita nei tribunali, il dettaglio legale a difesa degli uni o degli altri. 

Però – attenzione – già la scelta di un’impostazione avvocatesca, apparentemente legale, implica una scelta di campo, perché mette sullo stesso piano il terrorismo palestinese con l’autodifesa di Israele: colpevoli e vittime. Cosa che non è assolutamente. Perché se  lo stato di Israele non si difendesse sarebbe immediatamente cancellato dalla faccia della terra.

Insomma, dietro  ogni  petulante  causidico si nasconde un Ponzio Pilato. 

Per contro il migrante, già costretto a un viaggio rischioso a causa di severissime normative sull’ingresso, al suo “arrivo” in Italia, per così dire, viene deportato in Albania. Da una parte c’è il terrorismo di Hamas, dall’altra poveri innocenti che cercano solo una vita migliore.

Si noti però un dettaglio. Per giustificare la deportazione e la detenzione preventiva del migrante  lo si dipinge come un individuo pericoloso, già colpevole (altro che presunzione di innocenza...), secondo una retorica dell’intransigenza verso le differenze di cultura e religione tipiche dell’estrema destra che ora governa l’Italia.

Cioè si crea a tavolino lo stereotipo del migrante-criminale, dal quale la società deve difendersi. A dire il vero esiste un doppio registro: 1) la pubblicistica organica alla destra accentua gli elementi di pericolosità del migrante  e di riflesso  la necessità di  proteggere gli italiani; 2) la politica governativa presenta l’imprigionamento (in Italia o all’estero) come una misura per proteggere il migrante. 

Una vera  e propria manovra a tenaglia. Se non che, e qui l’argomentazione si fa paradossale, si sostiene, come per l’addomesticamento degli animali, che “la paura delle sbarre” farà desistere il migrante dal partire, liberandolo dalle grinfie degli scafisti. 

In questo modo, rinchiudendo il migrante in Albania, si impedisce che il migrante affoghi e, testuale,  si "combatte la tratta".  Certo, gli si salverebbe la vita...  Dimenticando un piccolo particolare:  che gli schiavi venivano prelevati con la  violenza e  tradotti sulle navi contro la loro  volontà.

Aprire le frontiere, no? Un' accoglienza normale, no? Liberoscambio di uomini e beni, no? Ubi bene, ibi patria, no?

Il migrante dovrebbe invece addirittura ringraziare.  Certo, perché Giorgia Meloni combatte la tratta.   Poi pensa lei, a deportarli, i migranti, come un tempo gli schiavi sulle navi dei negrieri, in Albania.  Ma si vergogni!

Per giunta, perché ora fa comodo, la destra si nasconde dietro il placet europeo: “ Siamo bravi. Lo dice anche Ursula von der Leyen”. Come se il parere positivo dell’Ue, fosse al di là del bene e del male, giustificando qualsiasi cosa.

Un’ ipocrisia totale. Ripugnante. Che, concettualmente e simbolicamente, ricorda la scritta “Il lavoro rende liberi”, posta all’ingresso dei campi di sterminio nazisti. 

Certo, si sfiancava l’odiato ebreo fino a farlo morire in catene o nelle camere a gas. Lo si rendeva libero… Per l’eternità. Sotto questo aspetto che c’entrano i figli di Israele con i nipotini di Mussolini, alleato di Hitler, che oggi governano l’Italia?

Concludendo, gli Hotspot in Albania rendono liberi. Così sostiene Giorgia Meloni.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=israele .

(**) Si legga qui: “Le strutture principali sono tre. La prima è un hotspot, ossia un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti. Si trova a Shengjin, una città di mare circa un’ora di macchina a nord della capitale Tirana. […] Gjader, una frazione del comune di Lezhë nell’entroterra rurale del paese, dove sono stati costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. C’è anche un carcere, organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti” (https://www.ilpost.it/2024/10/11/centri-migranti-albania-pronti/ ).

lunedì 14 ottobre 2024

I Mille (Unifil) al contrario…

 


Chiunque desideri ricevere informazioni storiche e “formali” sulla missione italiana in Libano nel quadro Unifil può leggere qui: https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/unifil/index.html

Possiano essere (brutalmente)  sinceri?  Un mare di chiacchiere. Sconsigliamo vivamente.

Perché la considerazione da fare è un’altra. Di sostanza. I nostri  mille soldati, più o meno, hanno fallito in pieno la missione, perché Hezbollah non ha mai smesso di bombardare Israele. E Israele ovviamente di rispondere.

Il titolo, che si può leggere sulla prima pagina di molti giornali: “Israele attacca l’Onu in Libano” – come per dire, “sono ‘Loro’ gli zozzoni “ – è una menzogna degna del famoso falso dei Protocolli dei Savi di Sion. Robaccia antisemita.

Per la semplice ragione che non si tiene conto ( o non si vuole) delle attività terroristiche di Hezbollah, che da anni, alla luce del sole, utilizza le basi Onu come macro-scudi umani. Anche perché,  al momento, ciò che resta  dell’ esercito libanese, pseudoesercito che dovrebbe collaborare con Unifil,  è  controllato da Hezbollah.

Le forze armate libanesi (parola grossa) sono una specie di corpo dei vigili urbani. Con il il terrorista Hezabollah che parcheggia i razzi i terza fila, davanti a tutti ( caschi blu compresi), il vigile libanese in divisa militare, (quando c’è), non si permette neppure il famoso “Dica” del pizzardone romano.

Allora quale potrebbe essere il titolo vero? “Israele squarcia il velo della menzogna Onu e attacca Hezbollah in Libano”.

Quanto ai nostri mille  soldati, l’unica cosa da fare è ritirarli. E invece Giorgia Meloni, Crosetto e Tajani si sono travestiti da uscieri del Palazzo Onu.

Ritirarli. Perché? Molto semplice. I "nostri",  come accaduto finora, non potranno assolvere nessuna missione di pace fino a quando Hezbollah, il vero cancro che corrode il Libano, una specie di controstato terrorista, non verrà messo in condizione di non nuocere.

L’Italia se la sente di “attuare”? No. E allora si ritiri. Perché, restando in Libano, perde tempo, denari e favorisce obiettivamente, nascondendo la testa nella sabbia, i terroristi Hezbollah.

Diciamo che se i Mille, quelli veri di Garibaldi, i “garibaldini” non avevano paura di sparare contro i  borbonici, non meno reazionari degli Hezbollah, i mille italiani Unifil, se ci si passa l’espressione, se la fanno sotto, politicamente sotto, perché le responsabilità sono di Roma (i generali  eseguono). Sicché  finora si è  permesso ai borbonici islamisti, che spadroneggiano in Libano, di continuare a  fare il bello e il cattivo tempo.

Basta! E ora di finirla con questa pagliacciata. I nostri soldati sono l’esatto contrario dei veri  Mille. Che tornino subito in Italia.

Carlo Gambescia

domenica 13 ottobre 2024

Giorgia Meloni, la più “dossierata” dagli italiani

 


Quando il primo cittadino, diciamo “prima”, della Repubblica, dopo Mattarella e La Russa, cioè Giorgia Meloni, rilascia una dichiarazione del genere c’è veramente di che preoccuparsi per le cattive mani in cui è finita la Repubblica. Si legga qui:

Io sono la persona più dossierata d’Italia. Nel dramma c’è la buona notizia: la mia vita è stata proprio passata allo scanner e non si è trovato niente. E forse questa è anche la ragione per la quale io sono così dossierata […]. Io mi sono data una spiegazione, poi chiaramente poi spero che una spiegazione ce la dia la magistratura ad un certo punto. In questa Nazione ci sono probabilmente gruppi di pressione che non accettano di avere al governo qualcuno che pressioni non se ne fa fare, che non si può ricattare. E allora, magari tentano di toglierselo di torno con altri strumenti. Temo che non riusciranno […]. [Si pensi ai] ladri che entrano dentro casa, rubano i gioielli e li vendono al ricettatore. Io penso che stia accadendo la stessa cosa con il mercato delle informazioni. Penso che ci siano dei funzionari, dei dipendenti pubblici e privati, che prendono illegalmente delle informazioni e le vendono sul mercato. A chi ? Questa è la risposta che stiamo aspettando” (*).

Insomma, è nata una stella: abbiamo la Cuccarini 2 (per inciso sono anche amiche, due destroidi…), solo che Giorgia Meloni, non sappiamo se più amata come la Cuccarini "cucinizzata" Scavolini,  asserisce di essere la più dossierata dagli italiani.

Ora, a parte che i politici spiati, sono pochissimi, rispetto a tutti  i vip, dall’economia allo spettacolo, “spiati” e dossierati”. E che la presunta “spia”, un bancario meridionale, se ci si passa l’espressione, assomiglia al solito mitomane in cerca di pubblicità suo malgrado.

Ora, a parte questo, il vero problema è l’atteggiamento mentale di Giorgia Meloni. La forma mentis.  Come dire?  Il trappolone mentale che scatta da solo: un combinato disposto tra  Robespierre, il giacobino, dalla ghigliottina facile, fanatico della propria incorruttibilità, e un filosofo, il Marcuse della Destra (così la definizione di Almirante), Julius Evola, che scorgeva complotti e forze del male ovunque.

L’accoppiamento poco giudizioso (dal punto di vista liberal-democratico) Robespierre-Evola fa veramente paura. Si unisca -parliamo sempre della Meloni – un egocentrismo smisurato alla Mussolini: quel terribile “io, io, io, io, io”, che di solito le persone ignoranti e con poca voglia di apprendere, ma con tanta fame di arrivare lo stesso, sbattono continuamente in faccia all’interlocutore, quando si cerca di spiegare, che l’esperienza personale, disgiunta dalla cultura, ad esempio storica, importantissima in politica, non aiuta a migliorare le cose, per così dire.

Giorgia Meloni è politicamente pericolosa. Perché con quel pedigree mentale può essere capace di tutto. Non vede avversari vede nemici. E per giunta nascosti nell'ombra. Si rileggano le pagine di Guglielmo Ferrero, grande dimenticato, sulla paura come principale nutrimento psicologico del tiranno e della tirannia (**).

Un’ultima cosa. Sapete, cari lettori, cosa risponderebbe Gorgia Meloni? Che il nostro articolo comprova la sua tesi. Insomma, che chi scrive è amico del giaguaro, cioè  un "infame" al servizio dei “gruppi di pressione” invisibili.

Insomma, cosa del resto nota a chiunque l’abbia frequentata: chi non è con me è contro di me.

Per farla breve, vera ciliegina sulla torta, Giorgia Meloni si sente simile pure a Gesù Cristo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/10/12/meloni-la-mia-vita-allo-scanner-non-sono-ricattabile_c1c2fd94-41a2-469a-ac60-498afb86d8f6.html .

 

(**)  Qui: https://www.amazon.it/Colloqui-Guglielmo-Ferrero-Seguiti-Discorsi/dp/8876069216  .

sabato 12 ottobre 2024

Israele, Onu e “stati canaglia”

 



Oggi desideriamo tornare sulla questione Israele-Unifil, anzi Onu. Però partendo da lontano. Come scoprirà il lettore, il ragionamento che segue è una lunga premessa a conclusioni che si ridurranno a poche righe. Premessa però indispensabile se si vuole andare alla radice delle questioni.

Non abbiamo mai creduto nell’esercizio della ragione scollegato dall’uso della forza. Il diritto, e in particolare il diritto internazionale, questa magnifica creazione dell’Occidente, da solo non basta. Almeno non per tutti gli uomini.

In ogni società storica è sempre esistita una minoranza di violenti, disadattati, incoercibili. Va però anche ricordato che l’uso della forza – in questo caso si parla però di violenza – non sempre è stato posto al servizio di un ordine politico legittimo.

La forza, nel senso di obbligare l’altro a comportarsi in un certo modo, è un puro e semplice strumento, che può avere scopi e finalità molto differenti fra di loro.

Tra la violenza usata da Al Capone e l’uso delle forza da parte della polizia per combattere un gangster esiste una notevole differenza. Percepita immediatamente dal 99 per cento dei cittadini. Il lettore si annoti il termime: “percepita”.

Il che, comunque sia, significa che quanto più un ordine politico è ritenuto legittimo dai suoi membri, tanto più è accettato l’uso legalizzato della forza. La percezione implica una precedente fase di  interiorizzazione, che a sua  volta rinvia alla dinamica della socializzazione. Parliamo perciò  di processi sociali lunghi.

Ora qual è la percezione mondiale dell’Onu e dei caschi blu (per usare un temine chiaro a tutti)? Molto varia e complessa. Non c’è unanimità di giudizio, per alcuni i caschi blu sono soldati di pace, per altri soldati e basta. Quindi, in quest’ultimo caso, nemici o amici in base alle opportunità politiche del momento. Inoltre, poiché di regola, i caschi blu rifuggono dall’uso della forza, nel senso che “si interpongono” tra le parti in conflitto, sono spesso giudicati da tutti come ingombranti se non addirittura inutili.

L’Onu, per contare veramente, dovrebbe trasformarsi nell’emanazione, non come oggi di un precario equilibrio, per giunta di facciata, tra le principali potenze mondiali, ma di uno stato mondiale, dotato di esercito, forze di polizia, codici penali, magistratura. Solo a quel punto avrebbe senso la definizione di “stato canaglia”, da mettere nella condizione di non nuocere, come un qualsiasi gangster.

La prova che invece le cose non funzionano è data proprio dal fatto che l’accusa di “stato canaglia” è usata come una specie di risorsa politica e propagandistica. Un’ accusa che le parti in lotta, nelle varie parti del mondo si scambiano reciprocamente.

Il che, come nel caso di Israele, è fonte di ingiustizia, perché la definizione di “stato canaglia” estesa a Gerusalemme, come purtroppo si legge, è pura propaganda antisemita. L’uso della forza da parte di Israele, che ha subito un’ aggressione da parte di forze terroristiche, è moralmente giusto e legittimo e legale dal punto di vista del diritto all’ autodifesa.

Pertanto ad essere dalla parte del torto è Unifil, che di fatto protegge un’organizzazione terroristica, che usa Unifil, come una specie di macro-scudo umano per le sue installazioni militari segrete, impedendo a Israele di esercitare un suo giusto diritto. Insomma, piaccia o meno, Unifil è al servizio della propaganda antisemita e dei nemici di Israele.

E coloro che protestano, a partire dall’Italia, per la fermezza con cui si batte Israele, sono oggettivamente alleati con Hezbollah.

Si dirà, e concludiamo, perché allora non costruire uno stato mondiale?

A parte il fatto che le società sono sempre frutto di un ordine spontaneo, diciamo che fino a quando non cambierà la percezione degli uomini verso l’idea di comunità mondiale istituzionalizzata, una specie di superstato, sarà molto difficile collegare ragione e forza. I pessimi risultati delle costruzioni sulla sabbia, come l’Onu, sono sotto gli occhi di tutti.

Una via per preparare un terreno del genere può essere quella dell’interazione economica, della libera creazione di un mercato mondiale, frutto benefico del libero scambio – insomma di un ordine spontaneo – tra miliardi di uomini e donne di tutto il pianeta.

Purtroppo, il ritorno del nazionalismo, pardon oggi si chiama sovranismo, non sembra promettere nulla di buono. Perciò, in un mondo in cui la forza, anzi la violenza, addirittura sotto l’ipocrita protezione dei caschi blu, come in Libano, sembra prevalere sulla ragione, bene fa Israele a farsi rispettare.

Carlo Gambescia

venerdì 11 ottobre 2024

Meloni, Crosetto Tajani, il ruggito del topo

 


La guerra è una cosa seria. Soprattutto quando è guerra contro il terrorismo: nemico invisibile o quasi, che per principio colpisce i civili e si serve dei civili come scudi umani. Israele deve difendersi, pena la cancellazione dalla faccia della terra, e non può andare tanto per il sottile.

A Unifil, già avvisata, sarebbe bastato riposizionarsi. E poi dov’era Unifil, quando Hezbollah, il vero padrone, sovrano, del Libano, costruiva tunnel sporchi di sangue dei civili israeliani a pochi metri dalle sue basi?

Sotto il profilo formale Israele avrebbe addirittura commesso un crimine di guerra. Una torretta Unifil saltata e due feriti?

A dirlo sono Crosetto, Tajani e Giorgia Meloni. Dalla reazione spropositata, sembra quasi che non aspettassero altro. Proprio come Mussolini che nel 1923 si lasciò andare a prepotenze contro la Grecia: il famigerato bombardamento di Corfù (ci riprovò poi nel 1940-1941, ma furono sonore legnate).

Ovviamente, l’Italia, questa volta, non ha sparato un colpo. Però il tono è mussoliniano. Crosetto ha dichiarato “di non prendere ordini da Israele”. Si rifletta, ben altro è il tono usato dai ministri del governo Meloni con la Russia, con la Cina e con gli Stati Uniti.

Si potrebbe parlare di ruggito del topo. Una brutta Italia forte con i deboli, debole con i forti.

Fortunatamente Israele non è debole e non ha paura di nessuno. Tanto meno di un’Italia carogna – per dire le cose come stanno – che, evocando un giorno sì l’altro pure una pace che non dipende da Gerusalemme, già contribuisce di fatto al pericoloso isolamento internazionale di Israele. E in un momento che non è certamente facile per la Stella di David. E ora che fa l’Italia?. Grida al crimine di guerra per il micro-attacco alle mammolette Unifil. Tra di loro vi sono soldati italiani?  Sono i rischi del mestiere.

La spropositata reazione italiana ha radici non nel diritto, che è una scusa, ma nell’antisemitismo. Basta fare un giro sui social per scoprire la pesante ironia della destra extraparlamentare sulla kippah di Giuli, come prima si ironizzava su quella di Fini.

Giuli e Fini, esponenti della destra parlamentare. Accusati di tradimento dai  duri e puri, che ora sono diventati tutti pacifisti (quando si dice il caso...). 

Che cosa avrebbero tradito? I principi dell’antisemitismo. Ovviamente, dall’interno di Fratelli d’Italia non trapela nulla, ma questa ironia pesa. E lo si può intuire dalle reazioni, ripetiamo spropositate di Crosetto e Giorgia Meloni, finalmente messi nella condizione di riequilibrare il rapporto tra l’estrema destra parlamentare e la destra extraparlamentare…

Tajani, con un passato da monarchico, nonostante la complicità dei Savoia sulle leggi razziali del 1938, si è pedissequamente riallineato (in attesa di cosa deciderà al riguardo la famiglia Berlusconi). Salvini, per ora tace, probabilmente preferisce usare cinicamente il filosemitismo e l’antisemitismo, come risorse politiche per differenziarsi di volta dalla scelte del governo di cui fa comunque parte.

Un quadro politico veramente inquietante. Anche perché la sinistra gravita tra una posizione filopalestinese, il neutralismo e un tiepido, molto tiepido, appoggio a Israele.

Quanto agli italiani, un sondaggio (ISPI-IPSOS) comprova che un italiano su due ritiene la risposta militare di Israele sproporzionata rispetto al suo diritto di difesa. E solo un italiano su cinque giustifica Gerusalemme. Tre su dieci sono pro Palestina. Infine sette italiani su dieci sono favorevoli alla mediazione (*).

Perciò, come si può intuire, tra il governo di estrema destra e gli italiani esiste una sintonia quasi perfetta. Tutti antisemiti? Partiti e cittadini? Difficile dire. Però, un governo, e in particolare Fratelli d’Italia, che non ha ma fatto i conti con l’ideologia fascista, non ha le carte in regola. E la reazione di ieri lo prova.

Un’ ultima cosa. Israele come detto, non è debole e non ha paura di nessuno. E cosa più importante ha una memoria di ferro. E non dimenticherà l’affronto italiano.

Si dirà che non abbiamo commentato gli aspetti formali della questione: le violazioni giuridiche, eccetera, eccetera. Sono cose che lasciamo agli avvocati della politica.

Ripetiamo, la guerra è una cosa seria. Israele deve vincere. Punto.

I conti, eventualmente, si faranno alla fine. Anche con l’Italia, che ancora una volta ha provato di non aver nulla dimenticato, nulla imparato. 

Che vergogna.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://asvis.it/notizie/2-21780/cosa-pensano-gli-italiani-della-guerra-in-medio-oriente- .