martedì 15 ottobre 2024

Gli Hotspot in Albania rendono liberi…

 


Ieri un amico al nostro sdegno per la deportazione dei migranti in Albania in campi di concentramento variamente denominati (*), all’insegna di un vigliacco, e molto italiano, “occhio non vede, cuore non duole”, ci ha fatto polemicamente notare – a noi che difendiamo Israele – che Gerusalemme si comporta così con i palestinesi, “imprigionati” nella striscia di Gaza.

Va subito detto che comparazioni del genere sono pericolose perché mettono sullo stesso piano, e polemicamente, situazioni storiche, culturali e geopolitiche profondamente diverse. Sulle quali già ci siano dilungati (**).

Per farla breve, i palestinesi di Gaza, sono fagocitati da una macchina terroristica (Hamas), che fabbrica solo violenza. Invece il migrante, per principio, non è un terrorista né un criminale. Qui la differenza fondamentale.

Ovviamente, sulla base delle concezioni ideologiche sposate, si può far risalire o meno le origini della violenza ai palestinesi o agli israeliani. Non è mai difficile trovare, come capita nei tribunali, il dettaglio legale a difesa degli uni o degli altri. 

Però – attenzione – già la scelta di un’impostazione avvocatesca, apparentemente legale, implica una scelta di campo, perché mette sullo stesso piano il terrorismo palestinese con l’autodifesa di Israele: colpevoli e vittime. Cosa che non è assolutamente. Perché se  lo stato di Israele non si difendesse sarebbe immediatamente cancellato dalla faccia della terra.

Insomma, dietro  ogni  petulante  causidico si nasconde un Ponzio Pilato. 

Per contro il migrante, già costretto a un viaggio rischioso a causa di severissime normative sull’ingresso, al suo “arrivo” in Italia, per così dire, viene deportato in Albania. Da una parte c’è il terrorismo di Hamas, dall’altra poveri innocenti che cercano solo una vita migliore.

Si noti però un dettaglio. Per giustificare la deportazione e la detenzione preventiva del migrante  lo si dipinge come un individuo pericoloso, già colpevole (altro che presunzione di innocenza...), secondo una retorica dell’intransigenza verso le differenze di cultura e religione tipiche dell’estrema destra che ora governa l’Italia.

Cioè si crea a tavolino lo stereotipo del migrante-criminale, dal quale la società deve difendersi. A dire il vero esiste un doppio registro: 1) la pubblicistica organica alla destra accentua gli elementi di pericolosità del migrante  e di riflesso  la necessità di  proteggere gli italiani; 2) la politica governativa presenta l’imprigionamento (in Italia o all’estero) come una misura per proteggere il migrante. 

Una vera  e propria manovra a tenaglia. Se non che, e qui l’argomentazione si fa paradossale, si sostiene, come per l’addomesticamento degli animali, che “la paura delle sbarre” farà desistere il migrante dal partire, liberandolo dalle grinfie degli scafisti. 

In questo modo, rinchiudendo il migrante in Albania, si impedisce che il migrante affoghi e, testuale,  si "combatte la tratta".  Certo, gli si salverebbe la vita...  Dimenticando un piccolo particolare:  che gli schiavi venivano prelevati con la  violenza e  tradotti sulle navi contro la loro  volontà.

Aprire le frontiere, no? Un' accoglienza normale, no? Liberoscambio di uomini e beni, no? Ubi bene, ibi patria, no?

Il migrante dovrebbe invece addirittura ringraziare.  Certo, perché Giorgia Meloni combatte la tratta.   Poi pensa lei, a deportarli, i migranti, come un tempo gli schiavi sulle navi dei negrieri, in Albania.  Ma si vergogni!

Per giunta, perché ora fa comodo, la destra si nasconde dietro il placet europeo: “ Siamo bravi. Lo dice anche Ursula von der Leyen”. Come se il parere positivo dell’Ue, fosse al di là del bene e del male, giustificando qualsiasi cosa.

Un’ ipocrisia totale. Ripugnante. Che, concettualmente e simbolicamente, ricorda la scritta “Il lavoro rende liberi”, posta all’ingresso dei campi di sterminio nazisti. 

Certo, si sfiancava l’odiato ebreo fino a farlo morire in catene o nelle camere a gas. Lo si rendeva libero… Per l’eternità. Sotto questo aspetto che c’entrano i figli di Israele con i nipotini di Mussolini, alleato di Hitler, che oggi governano l’Italia?

Concludendo, gli Hotspot in Albania rendono liberi. Così sostiene Giorgia Meloni.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=israele .

(**) Si legga qui: “Le strutture principali sono tre. La prima è un hotspot, ossia un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti. Si trova a Shengjin, una città di mare circa un’ora di macchina a nord della capitale Tirana. […] Gjader, una frazione del comune di Lezhë nell’entroterra rurale del paese, dove sono stati costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. C’è anche un carcere, organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti” (https://www.ilpost.it/2024/10/11/centri-migranti-albania-pronti/ ).

lunedì 14 ottobre 2024

I Mille (Unifil) al contrario…

 


Chiunque desideri ricevere informazioni storiche e “formali” sulla missione italiana in Libano nel quadro Unifil può leggere qui: https://www.difesa.it/operazionimilitari/op-intern-corso/unifil/index.html

Possiano essere (brutalmente)  sinceri?  Un mare di chiacchiere. Sconsigliamo vivamente.

Perché la considerazione da fare è un’altra. Di sostanza. I nostri  mille soldati, più o meno, hanno fallito in pieno la missione, perché Hezbollah non ha mai smesso di bombardare Israele. E Israele ovviamente di rispondere.

Il titolo, che si può leggere sulla prima pagina di molti giornali: “Israele attacca l’Onu in Libano” – come per dire, “sono ‘Loro’ gli zozzoni “ – è una menzogna degna del famoso falso dei Protocolli dei Savi di Sion. Robaccia antisemita.

Per la semplice ragione che non si tiene conto ( o non si vuole) delle attività terroristiche di Hezbollah, che da anni, alla luce del sole, utilizza le basi Onu come macro-scudi umani. Anche perché,  al momento, ciò che resta  dell’ esercito libanese, pseudoesercito che dovrebbe collaborare con Unifil,  è  controllato da Hezbollah.

Le forze armate libanesi (parola grossa) sono una specie di corpo dei vigili urbani. Con il il terrorista Hezabollah che parcheggia i razzi i terza fila, davanti a tutti ( caschi blu compresi), il vigile libanese in divisa militare, (quando c’è), non si permette neppure il famoso “Dica” del pizzardone romano.

Allora quale potrebbe essere il titolo vero? “Israele squarcia il velo della menzogna Onu e attacca Hezbollah in Libano”.

Quanto ai nostri mille  soldati, l’unica cosa da fare è ritirarli. E invece Giorgia Meloni, Crosetto e Tajani si sono travestiti da uscieri del Palazzo Onu.

Ritirarli. Perché? Molto semplice. I "nostri",  come accaduto finora, non potranno assolvere nessuna missione di pace fino a quando Hezbollah, il vero cancro che corrode il Libano, una specie di controstato terrorista, non verrà messo in condizione di non nuocere.

L’Italia se la sente di “attuare”? No. E allora si ritiri. Perché, restando in Libano, perde tempo, denari e favorisce obiettivamente, nascondendo la testa nella sabbia, i terroristi Hezbollah.

Diciamo che se i Mille, quelli veri di Garibaldi, i “garibaldini” non avevano paura di sparare contro i  borbonici, non meno reazionari degli Hezbollah, i mille italiani Unifil, se ci si passa l’espressione, se la fanno sotto, politicamente sotto, perché le responsabilità sono di Roma (i generali  eseguono). Sicché  finora si è  permesso ai borbonici islamisti, che spadroneggiano in Libano, di continuare a  fare il bello e il cattivo tempo.

Basta! E ora di finirla con questa pagliacciata. I nostri soldati sono l’esatto contrario dei veri  Mille. Che tornino subito in Italia.

Carlo Gambescia

domenica 13 ottobre 2024

Giorgia Meloni, la più “dossierata” dagli italiani

 


Quando il primo cittadino, diciamo “prima”, della Repubblica, dopo Mattarella e La Russa, cioè Giorgia Meloni, rilascia una dichiarazione del genere c’è veramente di che preoccuparsi per le cattive mani in cui è finita la Repubblica. Si legga qui:

Io sono la persona più dossierata d’Italia. Nel dramma c’è la buona notizia: la mia vita è stata proprio passata allo scanner e non si è trovato niente. E forse questa è anche la ragione per la quale io sono così dossierata […]. Io mi sono data una spiegazione, poi chiaramente poi spero che una spiegazione ce la dia la magistratura ad un certo punto. In questa Nazione ci sono probabilmente gruppi di pressione che non accettano di avere al governo qualcuno che pressioni non se ne fa fare, che non si può ricattare. E allora, magari tentano di toglierselo di torno con altri strumenti. Temo che non riusciranno […]. [Si pensi ai] ladri che entrano dentro casa, rubano i gioielli e li vendono al ricettatore. Io penso che stia accadendo la stessa cosa con il mercato delle informazioni. Penso che ci siano dei funzionari, dei dipendenti pubblici e privati, che prendono illegalmente delle informazioni e le vendono sul mercato. A chi ? Questa è la risposta che stiamo aspettando” (*).

Insomma, è nata una stella: abbiamo la Cuccarini 2 (per inciso sono anche amiche, due destroidi…), solo che Giorgia Meloni, non sappiamo se più amata come la Cuccarini "cucinizzata" Scavolini,  asserisce di essere la più dossierata dagli italiani.

Ora, a parte che i politici spiati, sono pochissimi, rispetto a tutti  i vip, dall’economia allo spettacolo, “spiati” e dossierati”. E che la presunta “spia”, un bancario meridionale, se ci si passa l’espressione, assomiglia al solito mitomane in cerca di pubblicità suo malgrado.

Ora, a parte questo, il vero problema è l’atteggiamento mentale di Giorgia Meloni. La forma mentis.  Come dire?  Il trappolone mentale che scatta da solo: un combinato disposto tra  Robespierre, il giacobino, dalla ghigliottina facile, fanatico della propria incorruttibilità, e un filosofo, il Marcuse della Destra (così la definizione di Almirante), Julius Evola, che scorgeva complotti e forze del male ovunque.

L’accoppiamento poco giudizioso (dal punto di vista liberal-democratico) Robespierre-Evola fa veramente paura. Si unisca -parliamo sempre della Meloni – un egocentrismo smisurato alla Mussolini: quel terribile “io, io, io, io, io”, che di solito le persone ignoranti e con poca voglia di apprendere, ma con tanta fame di arrivare lo stesso, sbattono continuamente in faccia all’interlocutore, quando si cerca di spiegare, che l’esperienza personale, disgiunta dalla cultura, ad esempio storica, importantissima in politica, non aiuta a migliorare le cose, per così dire.

Giorgia Meloni è politicamente pericolosa. Perché con quel pedigree mentale può essere capace di tutto. Non vede avversari vede nemici. E per giunta nascosti nell'ombra. Si rileggano le pagine di Guglielmo Ferrero, grande dimenticato, sulla paura come principale nutrimento psicologico del tiranno e della tirannia (**).

Un’ultima cosa. Sapete, cari lettori, cosa risponderebbe Gorgia Meloni? Che il nostro articolo comprova la sua tesi. Insomma, che chi scrive è amico del giaguaro, cioè  un "infame" al servizio dei “gruppi di pressione” invisibili.

Insomma, cosa del resto nota a chiunque l’abbia frequentata: chi non è con me è contro di me.

Per farla breve, vera ciliegina sulla torta, Giorgia Meloni si sente simile pure a Gesù Cristo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/10/12/meloni-la-mia-vita-allo-scanner-non-sono-ricattabile_c1c2fd94-41a2-469a-ac60-498afb86d8f6.html .

 

(**)  Qui: https://www.amazon.it/Colloqui-Guglielmo-Ferrero-Seguiti-Discorsi/dp/8876069216  .

sabato 12 ottobre 2024

Israele, Onu e “stati canaglia”

 



Oggi desideriamo tornare sulla questione Israele-Unifil, anzi Onu. Però partendo da lontano. Come scoprirà il lettore, il ragionamento che segue è una lunga premessa a conclusioni che si ridurranno a poche righe. Premessa però indispensabile se si vuole andare alla radice delle questioni.

Non abbiamo mai creduto nell’esercizio della ragione scollegato dall’uso della forza. Il diritto, e in particolare il diritto internazionale, questa magnifica creazione dell’Occidente, da solo non basta. Almeno non per tutti gli uomini.

In ogni società storica è sempre esistita una minoranza di violenti, disadattati, incoercibili. Va però anche ricordato che l’uso della forza – in questo caso si parla però di violenza – non sempre è stato posto al servizio di un ordine politico legittimo.

La forza, nel senso di obbligare l’altro a comportarsi in un certo modo, è un puro e semplice strumento, che può avere scopi e finalità molto differenti fra di loro.

Tra la violenza usata da Al Capone e l’uso delle forza da parte della polizia per combattere un gangster esiste una notevole differenza. Percepita immediatamente dal 99 per cento dei cittadini. Il lettore si annoti il termime: “percepita”.

Il che, comunque sia, significa che quanto più un ordine politico è ritenuto legittimo dai suoi membri, tanto più è accettato l’uso legalizzato della forza. La percezione implica una precedente fase di  interiorizzazione, che a sua  volta rinvia alla dinamica della socializzazione. Parliamo perciò  di processi sociali lunghi.

Ora qual è la percezione mondiale dell’Onu e dei caschi blu (per usare un temine chiaro a tutti)? Molto varia e complessa. Non c’è unanimità di giudizio, per alcuni i caschi blu sono soldati di pace, per altri soldati e basta. Quindi, in quest’ultimo caso, nemici o amici in base alle opportunità politiche del momento. Inoltre, poiché di regola, i caschi blu rifuggono dall’uso della forza, nel senso che “si interpongono” tra le parti in conflitto, sono spesso giudicati da tutti come ingombranti se non addirittura inutili.

L’Onu, per contare veramente, dovrebbe trasformarsi nell’emanazione, non come oggi di un precario equilibrio, per giunta di facciata, tra le principali potenze mondiali, ma di uno stato mondiale, dotato di esercito, forze di polizia, codici penali, magistratura. Solo a quel punto avrebbe senso la definizione di “stato canaglia”, da mettere nella condizione di non nuocere, come un qualsiasi gangster.

La prova che invece le cose non funzionano è data proprio dal fatto che l’accusa di “stato canaglia” è usata come una specie di risorsa politica e propagandistica. Un’ accusa che le parti in lotta, nelle varie parti del mondo si scambiano reciprocamente.

Il che, come nel caso di Israele, è fonte di ingiustizia, perché la definizione di “stato canaglia” estesa a Gerusalemme, come purtroppo si legge, è pura propaganda antisemita. L’uso della forza da parte di Israele, che ha subito un’ aggressione da parte di forze terroristiche, è moralmente giusto e legittimo e legale dal punto di vista del diritto all’ autodifesa.

Pertanto ad essere dalla parte del torto è Unifil, che di fatto protegge un’organizzazione terroristica, che usa Unifil, come una specie di macro-scudo umano per le sue installazioni militari segrete, impedendo a Israele di esercitare un suo giusto diritto. Insomma, piaccia o meno, Unifil è al servizio della propaganda antisemita e dei nemici di Israele.

E coloro che protestano, a partire dall’Italia, per la fermezza con cui si batte Israele, sono oggettivamente alleati con Hezbollah.

Si dirà, e concludiamo, perché allora non costruire uno stato mondiale?

A parte il fatto che le società sono sempre frutto di un ordine spontaneo, diciamo che fino a quando non cambierà la percezione degli uomini verso l’idea di comunità mondiale istituzionalizzata, una specie di superstato, sarà molto difficile collegare ragione e forza. I pessimi risultati delle costruzioni sulla sabbia, come l’Onu, sono sotto gli occhi di tutti.

Una via per preparare un terreno del genere può essere quella dell’interazione economica, della libera creazione di un mercato mondiale, frutto benefico del libero scambio – insomma di un ordine spontaneo – tra miliardi di uomini e donne di tutto il pianeta.

Purtroppo, il ritorno del nazionalismo, pardon oggi si chiama sovranismo, non sembra promettere nulla di buono. Perciò, in un mondo in cui la forza, anzi la violenza, addirittura sotto l’ipocrita protezione dei caschi blu, come in Libano, sembra prevalere sulla ragione, bene fa Israele a farsi rispettare.

Carlo Gambescia

venerdì 11 ottobre 2024

Meloni, Crosetto Tajani, il ruggito del topo

 


La guerra è una cosa seria. Soprattutto quando è guerra contro il terrorismo: nemico invisibile o quasi, che per principio colpisce i civili e si serve dei civili come scudi umani. Israele deve difendersi, pena la cancellazione dalla faccia della terra, e non può andare tanto per il sottile.

A Unifil, già avvisata, sarebbe bastato riposizionarsi. E poi dov’era Unifil, quando Hezbollah, il vero padrone, sovrano, del Libano, costruiva tunnel sporchi di sangue dei civili israeliani a pochi metri dalle sue basi?

Sotto il profilo formale Israele avrebbe addirittura commesso un crimine di guerra. Una torretta Unifil saltata e due feriti?

A dirlo sono Crosetto, Tajani e Giorgia Meloni. Dalla reazione spropositata, sembra quasi che non aspettassero altro. Proprio come Mussolini che nel 1923 si lasciò andare a prepotenze contro la Grecia: il famigerato bombardamento di Corfù (ci riprovò poi nel 1940-1941, ma furono sonore legnate).

Ovviamente, l’Italia, questa volta, non ha sparato un colpo. Però il tono è mussoliniano. Crosetto ha dichiarato “di non prendere ordini da Israele”. Si rifletta, ben altro è il tono usato dai ministri del governo Meloni con la Russia, con la Cina e con gli Stati Uniti.

Si potrebbe parlare di ruggito del topo. Una brutta Italia forte con i deboli, debole con i forti.

Fortunatamente Israele non è debole e non ha paura di nessuno. Tanto meno di un’Italia carogna – per dire le cose come stanno – che, evocando un giorno sì l’altro pure una pace che non dipende da Gerusalemme, già contribuisce di fatto al pericoloso isolamento internazionale di Israele. E in un momento che non è certamente facile per la Stella di David. E ora che fa l’Italia?. Grida al crimine di guerra per il micro-attacco alle mammolette Unifil. Tra di loro vi sono soldati italiani?  Sono i rischi del mestiere.

La spropositata reazione italiana ha radici non nel diritto, che è una scusa, ma nell’antisemitismo. Basta fare un giro sui social per scoprire la pesante ironia della destra extraparlamentare sulla kippah di Giuli, come prima si ironizzava su quella di Fini.

Giuli e Fini, esponenti della destra parlamentare. Accusati di tradimento dai  duri e puri, che ora sono diventati tutti pacifisti (quando si dice il caso...). 

Che cosa avrebbero tradito? I principi dell’antisemitismo. Ovviamente, dall’interno di Fratelli d’Italia non trapela nulla, ma questa ironia pesa. E lo si può intuire dalle reazioni, ripetiamo spropositate di Crosetto e Giorgia Meloni, finalmente messi nella condizione di riequilibrare il rapporto tra l’estrema destra parlamentare e la destra extraparlamentare…

Tajani, con un passato da monarchico, nonostante la complicità dei Savoia sulle leggi razziali del 1938, si è pedissequamente riallineato (in attesa di cosa deciderà al riguardo la famiglia Berlusconi). Salvini, per ora tace, probabilmente preferisce usare cinicamente il filosemitismo e l’antisemitismo, come risorse politiche per differenziarsi di volta dalla scelte del governo di cui fa comunque parte.

Un quadro politico veramente inquietante. Anche perché la sinistra gravita tra una posizione filopalestinese, il neutralismo e un tiepido, molto tiepido, appoggio a Israele.

Quanto agli italiani, un sondaggio (ISPI-IPSOS) comprova che un italiano su due ritiene la risposta militare di Israele sproporzionata rispetto al suo diritto di difesa. E solo un italiano su cinque giustifica Gerusalemme. Tre su dieci sono pro Palestina. Infine sette italiani su dieci sono favorevoli alla mediazione (*).

Perciò, come si può intuire, tra il governo di estrema destra e gli italiani esiste una sintonia quasi perfetta. Tutti antisemiti? Partiti e cittadini? Difficile dire. Però, un governo, e in particolare Fratelli d’Italia, che non ha ma fatto i conti con l’ideologia fascista, non ha le carte in regola. E la reazione di ieri lo prova.

Un’ ultima cosa. Israele come detto, non è debole e non ha paura di nessuno. E cosa più importante ha una memoria di ferro. E non dimenticherà l’affronto italiano.

Si dirà che non abbiamo commentato gli aspetti formali della questione: le violazioni giuridiche, eccetera, eccetera. Sono cose che lasciamo agli avvocati della politica.

Ripetiamo, la guerra è una cosa seria. Israele deve vincere. Punto.

I conti, eventualmente, si faranno alla fine. Anche con l’Italia, che ancora una volta ha provato di non aver nulla dimenticato, nulla imparato. 

Che vergogna.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://asvis.it/notizie/2-21780/cosa-pensano-gli-italiani-della-guerra-in-medio-oriente- .

giovedì 10 ottobre 2024

Meglio un parlamento che ride e deride di nessun parlamento

 


Mattia Feltri si rende conto dell’aiutino offerto ai fascisti?

Veniamo subito ai fatti. Nel “Buongiorno” di questa mattina sembra mettere  sullo stesso piano lo stile criptico del Ministro della Cultura e la risposta derisoria di Gaetano Amato, parlamentare di Cinque  che evoca  la “supercazzola” di Alessandro Giuli.

Qui la domanda è alla Marzullo: è meglio fingere di sapere (Giuli, poi spiegheremo perché)? O ridere del proprio non sapere (Amato)?

Feltri, ne approfitta, e gli perdoniamo la solita citazione su quanto erano colti Togliatti e Croce, che  dibattevano in latino, per parlare male di un aspetto delle istituzioni parlamentari: quello della selezione delle élites. Oggi precipitata così in basso… Insomma, “Non dura, non dura minga…”.

In realtà si tratta di un problema molto più generale. Connaturato al parlamentarismo.

In Italia la storia della democrazia rappresentativa, fin da quando i primi socialisti vennero eletti alla camera, verso la fine dell’Ottocento, ha visto combattersi due tendenze: da un parte si proclamava lo scollamento tra paese reale ( gli elettori) e paese legale (gli eletti), dall’altro, per così dire l’ “incollamento” più verso il  basso che verso l'alto.

Tra i primi c’erano coloro che votavano per i socialisti, tra i secondi i nemici del suffragio universale. Sullo sfondo un’Italia, di eletti ed elettori, che da allora non è mai del tutto cambiata, se non nella distribuzione del reddito e del tempo libero.

Cosa vogliamo dire? Che, dall’Unità ad oggi, come mostrano gli storici, la percentuale dei laureati in parlamento ha sempre ruotato intorno al 2, 2 e mezzo, su 3. Con punte più elevate nel Senato per nomina reale (fino al 1946).

Va osservato che nel frattempo la cultura da elitaria si è fatta di massa. Però, nonostante l’alfabetizzazione pressoché totale della popolazione, il latino, non lo si capiva cento anni fa e non lo si capisce neppure oggi. Anche in parlamento. E quindi è inutile evocare Croce e Togliatti.

Mattia Feltri sogna il mondo perfetto. E sulla base di queste coordinate idealizzanti traccia linee immaginarie di un Parnaso parlamentare mai esistito. Come le vecchie zie di Longanesi.

Però, fino a un certo punto. Perché, sotto sotto, difende Giuli, deriso, come nel 1922 si deridevano, anche giustamente, i fascisti ex combattenti, che proprio perché tali, avevano goduto all’università di una specie di “scivolo” patriottico per i reduci di guerra. E c’era chi rideva, e fragorosomente, della laurea in legge ( e degli strafalcioni) di Farinacci e di altri camerati, passati direttamente dalle elementari all’università.

Per Giuli si potrebbe parlare di “scivolo” governativo. Ma non è neppure questo il punto. Giuli, pur essendo a suo modo acculturato rispetto alla media dei “buca…sasso… buca con acqua...”, commette il solito errore del miracolato. Con una aggravante: come molti intellettuali del suo ambiente, “esule in patria” non si accontenta di vincere, vuole stravincere puntando sui paroloni (“tanto sono tutti ignoranti o minorati, eccetera, eccetera”). Diciamo “nobile nella sconfitta”, meno nobile nella vittoria.

La pensa ancora come i contrari al suffragio universale. Tratta il parlamentare medio come una merda (pardon). Che poi è lo stesso errore in cui incorre Mattia Feltri.

In ogni caso, Giuli prova di non essere migliore di coloro che l’hanno deriso. Quel che stiamo per dire, può apparire presuntuoso, ma non meno utile per capire, anche più in generale, quanto sia superficiale e confusionario il raffazzonato mondo culturale da cui proviene Giuli.

Non è stato notato che il Ministro della cultura parla di “ontologia intonata alla rivoluzione permanente”. Qualsiasi professore di filosofia di scuola media (non parliamo di Togliatti e di Croce) inarcherebbe subito il sopracciglio. E ce ne sono tuttora anche in parlamento. Ma tacciono.

Perché? Innanzitutto, spieghiamo la castroneria. L’ontologia come dice l’etimologia della parola stessa, è un discorso sull’ Essere, non sul Divenire. Ergo: l’ Essere non è il Divenire. A non è B. Quindi non si può fissare (ontologia) ciò che è non è possibile fissare (rivoluzione permanente). Un laureando in lettere dovrebbe conoscere il principio aristotelico di non contraddizione.

Ma per quale ragione non se n’è parlato ? Perché resta più facile da capire per tutti (quindi anche all’esterno, tra la gente), la metafora della supercazzola usata da Gaetano Amato, deputato di Cinque Stelle.

Ecco il vero punto, la colpa non è del parlamento, o della cattiva selezione delle élites, ma della cultura di massa. Segno distintivo, da almeno un secolo della nostra società. Con la quale la politica deve comunque rapportarsi.

Croce, sapeva scherzare, e farsi capire da tutti. Quando i fascisti, gli entrarono in casa, disse che aveva ricevuto la visita dello Stato Etico… Togliatti non era da meno. Si ricordi la polemica, contro Vittorini, che “se n’ è ghiuto”…

Ma non è neppure cosa di cultura di massa. O almeno non del tutto.

Il problema, ripetiamo, non è il parlamento della Seconda o Terza Repubblica italiana, ma  il  rapporto odio-amore tra eletti ed elettori che ha sempre caratterizzato fin dall’inizio la storia dei parlamenti liberali. Si leggano le cronache politiche del Settecento britannico, piene zeppe di insulti e accuse, le più varie: e quella non era ancora una società di massa.

L’elettore, di suo, non ama l’eletto. L’equilibrio è difficile: si va dall’amore folle, all’odio delle piazze. Dentro l’elettore c’è l'invidia, l’ egoismo, il malanimo, il risentimento.  Spesso ricambiato. 

Il parlamento, sotto il profilo esistenziale, è una specie di camera di compensazione delle passioni, spesso le più cattive. E una risata è sempre meglio di una pistolettata.

Pertanto, battute sdramatizzanti come la supercazzola, vanno accettate. Senza idealizzazioni. O lagne. Il buon tempo antico non è mai esistito. Bisogna esserne consapevoli. Soprattutto quando questo atteggiamento da laudator temporis acti, come nel caso di Mattia Feltri (che capisce il latino), rischia di favorire una parte politica, quella da cui proviene Giuli, che fece strame del parlamento. E che ancora non ha chiarito nulla.

Insomma, il principio da osservare è molto semplice: meglio un parlamento che ride e deride di nessun parlamento.

Carlo Gambescia

mercoledì 9 ottobre 2024

Che c’ entra Fratelli d’Italia con Rosario Romeo e Adriano Olivetti?

 


Condividiamo la risposta di Giordano Bruno Guerri alla domanda di Corrado Augias (“Lei si sente fascista?): “Più studio il fascismo più mi sento libertario” (*).

Guerri non è un intellettuale banale o conformista. Può essere collocato a destra, ma con cautela. Innanzitutto, perché resta, al di là delle sue varie attività, uno storico indipendente, e per questo giustamente lontano dai birignao accademici. Va però anche detto che il libertarismo in Italia è merce rara, e soprattutto di importazione. E di confusione: Luciano Lanna, direttore responsabile del “Secolo d’Italia” negli anni Duemila, per spianare ideologicamente la strada a Gianfranco Fini, scrisse addirittura un libro sul “fascista libertario”, confondendo Marinetti e D’Annunzio con Bastiat e Spencer.

Perciò Guerri dovrebbe chiarire, spiegare meglio cosa sia per lui il libertarismo. Perché, per dirla alla buona, sembra in fissa per “D’Annunzio”. Libertario di lusso, diciamo, tra gli “stucchi”, per non infierire troppo. Di certo non un Thoreau italiano padre nobile della casetta prefabbricata il legno.

Comunque sia, il libertarismo, in qualche misura riporta al liberalismo. Il tronco è quello: la natura necessaria, come l’ossigeno nell’aria, della libertà individuale. Che il libertarismo rivendica a tutto tondo contro ogni tipo di istituzione, politica, sociale, economica. Però se si va a sfogliare il catalogo di Liberilibri, casa editrice benemerita diciamo, il libertarismo italiano latita, non per colpa dell’editore, il bravissimo Aldo Canovari, scomparso alcuni anni fa, ma per l’assenza di nomi autoctoni importanti, a parte forse Leoni e Ricossa. Purtroppo il problema è che i tardi epigoni, anche italiani, di questo o quel pensatore di area anglofona ( un mondo in cui il libertarismo ha invece salde radici), dal punto di vista della qualità, nulla tolgono nulla aggiungono.

Scriviamo queste cose, perché oggi, quasi fossero d’accordo, su “La Verità e su “Libero”, sono usciti due pezzi, rispettivamente di Marcello Veneziani e Annalisa Terranova:  una rilettura da destra delle figure di Rosario Romeo e Adriano Olivetti. Non siamo ancora all’appello dei caduti, tipo “Camerata Romeo: Presente!”, però…

Romeo fu un grandissimo storico di Cavour, al quale dedicò una biografia tuttora fondamentale. Ma fu anche l’ acuto studioso dell’Italia economica post-unitaria. Siamo davanti a un liberale archico, un realista politico alla Aron. Altissimo livello.

Olivetti, va invece ricordato come uno dei pochi veri imprenditori schumpeteriani, qui in Italia, attentissimo all’innovazione e alla ricaduta sociale e politica delle scelte economiche. Lo si potrebbe definire un liberal-socialista.

La prima cosa che ci siamo chiesti è molto semplice. Che c’entra una una destra, come quella di Fratelli d’Italia, che non ha mai fatto seriamente i conti con il fascismo, con Romeo e Olivetti? Nulla. Certo, possono essere usati, come da copione meloniano, per attaccare la sinistra, che li avrebbe isolati, eccetera, eccetera. Se ci si passa l’espressione, per buttarla in caciara.

Però, se ci atteniamo ai fatti, Romeo, con Croce, vide nel fascismo una incurabile malattia morale, e Olivetti, sulla scia del padre, Camillo, fondatore “della ditta” e socialista riformista, fu antifascista punto e basta

Non si può neppure parlare, sempre per Romeo e Olivetti, di nazionalismo, o sovranismo, parola di moda.

Romeo fu un severissimo giudice dell’avventurismo fascista e per contro un ammiratore della politica estera di raccoglimento politico ed economico dell’ Italia Liberale. Accettava il ruolo dell’interventismo pubblico ma solo nelle fasi iniziali dello sviluppo economico. In qualche misura fu un liberale alla Friedrich List, ma fermamente contrario all’autarchia e alle avventure imperialistiche e imperiali di Crispi e Mussolini.

Olivetti, teorizzò addirittura una specie di pacifica federazione mondiale, andando oltre il concetto di stato nazionale. Scorgeva nell’individuo la persona e riteneva giusto privilegiare l’uomo sociale, come sistema di relazioni (famiglia, comune, impresa, eccetera), rispetto all’uomo economico (votato, secondo alcuni, esclusivamente al profitto). E soprattutto non vedeva nello stato, a differenza del fascismo e di ogni altra forma di statalismo, anche comunista, un’ entità che doveva sempre precedere l’individuo, schiacciandolo.

Per farla breve, diffidenza verso lo stato (Olivetti) o fiducia a termine (Romeo). Quindi quali farfalle andiamo a cercare sotto l’Arco di Tito? (citazione d’autore…).

Concludendo, è vero che non esiste copyright sui pensatori, liberali o meno, perciò Guerri, Veneziani, Terranova, possono tranquillamente giocare alle figurine libertarie e liberali, però è altrettanto vero che il gioco è bello quando dura poco.

E per una semplice ragione, e non parliamo tanto dello smaliziato Guerri: il rischio di cadere nel ridicolo è sempre in agguato.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.la7.it/la-torre-di-babele/video/lei-si-sente-fascista-la-domanda-di-augias-a-giordano-bruno-guerri-30-09-2024-560267 . Nella foto di copertina, da sinistra a destra,  Rosario Romeo e  Adriano Olivetti.