venerdì 17 gennaio 2025

David Lynch o Peter Greenaway?

 


Diciamo subito una cosa antipatica. David Lynch, ora scomparso, fece bene a scegliere il cinema e la televisione perché la sua opera pittorica, come prova il quadro in copertina, era ed è inguardabile (*). Certo, se poi vi si filosofeggia sopra, tutto è possibile…

Però, a dire il vero, anche la sua opera cinematografica non ha mai destato più di tanto il nostro interesse. Altro giudizio in controtendenza. Sì, guardabile, però con troppi canditi.

Nei suoi film si esagera con i richiami simbolici: troppo di tutto, come quei panettoni con troppi canditi, che alla fine disgustano e rovinano il Natale.

Ovviamente parliamo di un rispettabilissimo cineasta, dedito alle pellicole d’autore, però con concessioni come “Twin Peaks”, capolavoro quanto si voglia nel suo genere, ma inizialmente prodotto alimentare. Nell’opera di Lynch, probabilmente perché regista americano, e che quindi doveva fare i conti con Hollywood, si scopre un lato alla Buffalo Bill, che potemmo definire da rodeo onirico. Che pur essendo onirico resta rodeo. E la  critica alla  dialettica negativa  dell'illuminismo?  La si lascia a Marzullo.

Come comproviamo la nostra tesi? Citando, per contrasto, un altro regista, altrettanto amante delle belle arti, ma anche scrittore prolifico e non banale, poco tradotto in Italia. Chi? Peter Greenaway, però britannico, quindi meno coinvolto nei rodei, di quattro anni più vecchio di Lynch (1942 vs 1946), vivente. Il che spiega pure la vittoria al botteghino per 2 a 0  di Lynch e la buonissima stampa su di lui.

Crediamo sia impossibile trovare nell’opera di Lynch un capolavoro come “Il ventre dell’architetto” (“The Belly of an Architect”), girato da Greenawey, nel 1987, in una Roma, senza isole pedonali, al tempo stesso reinventata ma autentica, vera, polverosa, pesante e corrotta sotto le luci cinefile e notturne di un Pantheon torreggiante che oppone gli antichi ai moderni, mai visto prima.

Un film sulla decadenza, che abbraccia per immagini, trama, recitazione, musiche (di Wim Mertens, compositore di bravura non comune), la crisi dell’idea illuminista di purezza e perfezione, che Greenawey coglie nell’illuminismo negativo dell’Altare della Patria romano, che dovrebbe ospitare una mostra curata dall’architetto, il cui ventre è nel titolo del film. Una mostra su Boullée, anch’egli profeta criptoilluminista di una grandiosità urbanistica che affascinerà persino Hitler.

Greenaway scolpisce per immagini il rovesciamento di una grandezza che non c’è mai stata, o che è sfuggita di mano agli assegnatari storici.  Una pericolosa "fame" di grandezza che va da Boullée a Speer? Forse.

Senza esagerare in canditi, che pure non mancano, resta memorabile la chiusa del film. Che consacra il suicidio dell’architetto, Stourley Kracklite, interpretato da un ben diretto Brian Dennehy (lo scerifffo di “Rambo”), che, nonostante la tentazione dell’oro, desidera ancora pianificare grandiose città. E senza badare a spese. Ma come? Se utile e funzionale sembrano ora prevalere? L’Occidente come Crasso, prigioniero dei Parti, sarà costretto a soffocare nel suo oro, versatogli in gola dai carcerieri? No comment.

Basta. Ammalato, tradito, anche dai suoi finanziatori, Kracklite, si lancia dalla terrazza delle Quadrighe, volo finale senza angeli, che simboleggia la capitolazione della ragione davanti agli effetti perversi e imprevisti del suo bisecolare e non facile esercizio. Suicidio dell’Occidente? Il rischio c’è.

Probabilmente sbagliamo, però a Lynch continuano a preferire Greenaway.

Carlo Gambescia

(*) Qui una scelta: https://knightfoundation.org/articles/david-lynch-unified-field-pafa/ .

giovedì 16 gennaio 2025

Valditara e la scuola sovranista: dalla geostoria alla geopolitica

 


Molto interessante l’ intervista al “Giornale” di Giuseppe Valditara, Ministro dell’istruzione e del merito (*). O meglio, la definiremmo chiarificatrice. Dal momento che Valditara non si stanca mai di ribadire di essere un ministro super partes. Sebbene abbia all’attivo un libro intitolato Sovranismo. Una speranza per la democrazia (Book Time, 2018).

E si vede. Perché delinea una riforma della scuola di primo ciclo (elementari e medie inferiori) in perfetta linea con altre sue innovazioni di indottrinamento nazionalista come il Liceo del Made in Italy.

Perché non va la sua riforma? Qualsiasi uomo di cultura superiore, e il ministro è professore di diritto romano, non può ignorare i pericoli del nazionalismo, lo si chiami o meno sovranismo per ripulirlo: il vero cancro che ha divorato la storia del Novecento.

Non aver capito questo significa candidarsi a ripetere gli stessi errori delle generazioni del 1914 e del 1945. E soprattutto non saper distinguere tra la fisiologia e la patologia storica. Tra la formazione degli stati nazionali, si pensi ai “risorgimenti” belga, greco, italiano, eccetera, dell’Ottocento, e il nazionalismo aggressivo, che ha condotto a due guerre mondiali, e per venire ai nostri giorni, all’ invasione russa dell'Ucraina.

Ci limitiamo a un punto centrale, diciamo ideologico della riforma, probabilmente sfuggito anche ai critici più severi. Valditara propone la sostituzione della geostoria, oggi insegnata nelle scuole, con la storia come grande narrazione epica dell’Italia e dell’Occidente.

In realtà la geostoria, come osmosi tra storia e geografia, una brillante ricetta storiografica, che risale all’ École des Annales (Bloch, Febvre, Braudel), rappresentò una sana reazione intellettuale al virus nazionalista, prima e dopo la Seconda guerra mondiale (**).

Si pensi a una grande storia sociale dell’umanità, che trova la sua ragione nell’apprezzamento di un mondo geograficamente e culturalmente plurimo ma al tempo stesso in costante comunicazione economica, culturale e politica. Una storia corale, segnata dall’idea della cooperazione, spesso neppure intenzionale, tra gli uomini. Di qui l’inutilità, che non significa inevitabilità, delle guerre, quindi del conflitto.

La geostoria veicola l’idea del superamento delle barriere tra gli uomini. Della geografia come ponte tra gli uomini. E questo perché privilegia il flusso culturale e non il riflusso nazionalista. Come invece impone l’ approccio del ministro Valditara, da lui esteso non solo all’Italia ma all’idea stessa di un Occidente fortezza , ben lontana dall’idea di un Occidente liberal-democratico, come libero mercato aperto al mondo.

Il che non significa, sul piano politico, che la liberal-democrazia non debba essere difesa, se serve anche con le armi, ma che una cosa è il pacifico spirito di nazionalità, al servizio degli scambi economici e culturali, un’ altra il nazionalismo aggressivo apportatore di guerre e distruzioni.

L’autodistruttiva stupidità nazionalista delle destre (si pensi al Dio, Patria e Famiglia di Gorgia Meloni, all’America first 2.0 di Donald Trump, al neo nazionalismo panrusso di Putin) consiste nel voler inculcare nei bambini delle scuole elementari e nei ragazzi delle medie inferiori le stesse idee di potenza, estendendole all’intera storia dell’ Occidente euro-americano, che condussero a due terribili guerre mondiali.

Si badi bene, il rifiuto della geostoria non rinvia automaticamente a un’ innocua storia epica delle nazioni e degli imperi, come asserisce Valditara.

Tutt’altra cosa. Una volta rotti i ponti della geografia degli scambi, l’accantonamento della geostoria rischia di rimandare alla geopolitica, pseudoscienza prediletta da fascisti, nazisti e dai seguaci, anche attuali, della politica di potenza. E che vede, ripetiamo, nella geografia non un ponte ma una barriera.

Insomma, la geografia può essere ponte e può essere barriera. In ultima istanza sta all’uomo decidere. Però più si insiste sull’idea geografica di barriera più cresce il pericolo di una geopolitica di guerre e distruzioni

Di conseguenza le idee nazionaliste di Valditara non aiutano.

In sintesi, nella sua riforma, il netto rifiuto della geostoria, quale introduzione ai rapporti pacifici tra i popoli, quantomeno come idea regolativa, rischia inevitabilmente di tradursi nella valorizzazione delle geopolitica, vista come preambolo teorico alle necessarie guerre tra i popoli.

Perché una cosa è dire che le guerre talvolta sono inevitabili, qui la grande lezione della geostoria, e qui si pensi alla titanica lotta tra liberal-democrazie e nazi-fascismo; un’altra preparare il terreno a svolte geopolitiche che scorgono nella guerra e nei conflitti fenomeni necessari se non addirittura vitali.

Pertanto delle due l’una: o Valditara mente, o non si rende conto di quel che dice.

Nel primo caso è pericoloso, nel secondo incosciente.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ilgiornale.it/news/politica/pi-storia-dellitalia-senza-ideologia-2423058.html.

(**) Tra i suoi collaboratori spicca il nome di Ernesto Galli della Loggia, autore nel 1980 di un magnifico libro di geostoria: Il mondo contemproaneo (il Mulino). Ne è passata di acqua sotto i ponti…

mercoledì 15 gennaio 2025

Sullo “scudo penale” per i poliziotti

 


La cosa non sembra interessare più di tanto l’opinione pubblica. In particolare il comune cittadino. Il che non significa che non stia accadendo qualcosa di grave. Con possibili conseguenze sgradevoli per tutti i cittadini.

Si pensi a un anziano alla guida, con occhiali, che di sera, per sua sventura, sotto la pioggia, non veda la paletta della polizia, magari in borghese, e per questo preso a pistolettate. O per chi,colpito da improvvisa sfortuna, una volta sceso dall’auto, venga freddato perché ha portato la mano versa la tasca interna della giacca per tirare fuori i documenti. Sono cose che potrebbero capitare.

La destra dice che lo “scudo penale” per il poliziotto che spara e uccide è un’ invenzione dei giornali di sinistra. Chi scrive non è di sinistra (a dire il vero neppure di destra). Però non può non invitare i lettori a riflettere sulla questione. Si legga qui intanto:

Secondo fonti del governo (…) non si tratterebbe, di una ‘scriminante’ o di una causa di non punibilità, né si interverrebbe sul diritto sostanziale, ma sul codice di procedura penale (…) immaginando forme di non immediata iscrizione nel registro degli indagati quando è evidente che l’appartenente alle forze dell’ordine ha usato l’arma di ordinanza nell’esercizio delle sue funzioni” (*).

E chi deve stabilire l’evidenza? Se non un magistrato? Qui la necessità, come prevede l’attuale normativa, dell’ iscrizione al registro degli indagati. A tutela stessa dell’indagato. Cioè del poliziotto che ha sparato, eccetera, eccetera.

Si noti intanto come scrivevamo ieri l’altro (**), l’idea, non così innocua, di stravolgere il codice di procedura penale, che invece nei suoi principi dovrebbe porre cittadini e poliziotti ( o comunque le forze dell’ordine) su in piano di parità dinanzi alla legge. Per chi non lo sapesse, si chiama eguaglianza formale.

Si dice però che non si vuole intervenire sulle “scriminanti”.

Un passo indietro. Che si intende con questo termine? Le cause di giustificazione, dette appunto scriminanti, sono particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che di regola costituirebbe reato, non acquista tale carattere perché consentito o imposto dalla legge. Ad esempio l’uso delle armi nei casi di difesa legittima (art. 52) ; il consenso dell’avente diritto (art. 50) ; l’esercizio del diritto o l’adempimento del dovere (art. 51) ; l’uso legittimo delle armi (art. 53); lo stato di necessità (art. 54).

Stesso discorso per la non punibilità. In quest’ultimo caso, si parla della distinzione tra cause di giustificazione (come per gli articoli appena citati) e le cause di esclusione della pena (o cause di non punibilità): si pensi a situazioni in cui il reato non viene escluso, che tuttavia consentono all’ordinamento per ragioni di opportunità, di non applicare pena o altra forma di sanzione penale. In altre parole, una forma di speciale immunità per i poliziotti.

Però, nonostante ciò, si ammette che si vuole intervenire sul Codice di procedura penale. Quindi? Scudo (di procedura) penale…

Possiamo dire una cosa alla buona? Se non è zuppa è pan bagnato. Vedremo cosa escogiteranno. Fermo restando un fatto fondamentale: che comunque sia questa destraccia, dalle radici missine, che poi sarebbero neofasciste, perché l’intento del Movimento sociale era quello rivitalizzare il fascismo, considera gli italiani, e forse non a torto purtroppo, come un pugno di scemi.

Inciso: nei venti anni del nostro blog, che cadono nel 2025, mai ci siamo visti costretti a scendere in dettagli così tecnici. Con la destra al potere è cambiato tutto. Oltre che sociologi e metapolitici, pur di difendere le nostre libertà, dobbiamo improvvisarci avvocati. Che malinconia. Soprattutto per il palloso (pardon) uso di note al testo. Un apparato, per l’appunto tecnico, che non aiuta la lettura…

Torniamo sul punto. Qui non si tratta di escogitare modifiche procedurali. Perché è in gioco qualcosa di più importante. Che si vuole nascondere agli italiani, tra l’altro già molto disattenti.

Cosa dicevamo? Che lo stato di diritto può essere stravolto e trasformato, rendendo legale ciò che dal punto di vista del principi costituzionali non è legittimo. Pensiamo alla violazione dell’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (***).

L’ attribuzione di una speciale immunità ai poliziotti, anche in termini di procedura penale, ma comunque per legge, quindi legale, resta invece illegittima dal punto costituzionale, perché il poliziotto, per così dire, sarebbe considerato per legge più uguale degli altri. Troppo rigida la nostra distinzione tra legalità e legittimità? Forse. Però qui sono in gioco libertà fondamentali. E la rigidità si impone da sola.

Inoltre siamo dinanzi al conferimento di una speciale licenza di uccidere, per dirla brutalmente. Si va contro l’articolo 27 della Costituzione sulla presunzione di innocenza, sulla natura umanitaria e rieducativa delle pena e sul rifiuto della pena di morte. Insomma si consentirebbe al poliziotto, di tramutarsi in giudice, in violazione di qualsiasi principio di proporzionalità della pena, grande conquista della civiltà giuridica moderna, e (perché no?) della divisioni dei poteri, potente pilastro dello stato di diritto

Per portare acqua al mulino della pistola facile si evoca il caso del carabiniere di Rimini, indagato ingiustamente, secondo la destra, per eccesso di legittima difesa. E sia.

Però la verità giudiziaria, diciamo così, deve essere stabilita da un giudice non dalla polizia. Che invece è parte in causa. O ancora peggio dal governo. Ricordiamo a Giorgia Meloni e Guido Crosetto che in una liberal-democrazia è buona regola conferire gli encomi dopo le indagini della magistratura. Non prima.

In una liberal-democrazia…

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2025/01/14/fonti-di-governo-non-ce-scudo-penale-la-misura-allo-studio-non-andra_b87ff82d-4ac4-42a1-b1ac-2676b22836cd.html .

(**) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/01/abedini-libero-stato-di-diritto-e.html .

(***) Qui: https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/principi-fondamentali/articolo-3 .

(****) Qui: https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/parte-i/titolo-i/articolo-27 .

martedì 14 gennaio 2025

Traditore di tutti

 


Un amico ieri chiedeva: “Perché ce l’hai così tanto con i giornali di destra, cioè con “la stampa organica” come la chiami tu?

Ho glissato, promettendo però un articolo in argomento. Quindi eccoci qui.

Diciamo che, semplificando, si può essere di destra in due modi: o con la bava alla bocca o con l’uso della moderazione.

Montanelli, forse il più grande giornalista italiano della seconda metà del Novecento, era di destra. Però negli anni Trenta, come in seguito ammise, bevve, anche se non proprio avidamente, le pericolose stupidaggini di Mussolini. Però poi capì che estremismo politico e retorica dell’intransigenza, soprattutto quando si scrive su un quotidiano, possono essere molto pericolosi.

“Il Giornale” da lui fondato, al quale devo, almeno in parte, durante gli anni Settanta del secolo scorso la mia formazione politica, era un modello di sobrietà, di retorica della transigenza. Oggi purtroppo, e non solo per "il Giornale,  non è più così.   

Le radici di questa involuzione  rinviano all’ondata populista, scatenata dal Tangentopoli, che dopo aver liquefatto il sistema politico italiano  ha portato al potere prima Berlusconi poi Giorgia Meloni. Oltre che, negli intervalli, governi, di sinistra (o meno) sempre più statalisti.

Tutto ciò è accaduto in un clima politico, andato sempre più incattivendosi, contagiando anche la sinistra, perfino, la migliore, quella illuminata e liberale. Che oggi messa angolo, priva di idee, nello stesso mucchio populista, non sapendo più che pesci pigliare, scaglia anatemi contro la destra,

Destra che fa del suo peggio per catalizzare l’odio della sinistra. Per dirla all buona, governa a dispetto. E usa la sinistra, provocando reazioni altrettanto scomposte, come arma di distrazione di massa. Si pensi al famigerato “E allora la sinistra!” di Gorgia Meloni e sodali.

Di conseguenza, anche sul piano giornalistico, volano insulti da tutte le parti. Regna un clima da giornalismo ultimi anni Repubblica di Weimar o tarda Terza Repubblica francese. Moltiplicato per mille, quanto a sguaiatezze e menzogne, dai Social e dalle possibilità di Internet di giungere a tutti con messaggi sempre più perentori e semplificati. Per inciso, si pensi ad esempio a un personaggio come Musk. Un altro Belpietro, come ora vedremo,  però dalle dimensioni stellari. Di nome e di fatto diciamo.

Si prenda il titolo de “La Verità” di oggi: “Assalto alle caserme dei carabinieri”. In realtà tre molotov in tutto, lanciate a Torino e nel Mugello in giorni differenti. Inoltre gli incidenti di sabato, in parte accelerati, almeno a Roma, dalle cariche della polizia, sono definiti “sommosse”. Capito? Poche centinaia di persone. Come se fosse il tumulto dei Ciompi nel 1378 o la rivolta dei Reggio Calabria nel 1970-71, che vide il Movimento Sociale in prima linea, all’insegna del “Boia chi molla”. Ora però gli eredi, tuttora orgogliosi delle radici missine, sono dall’altra parte della barricata…

Lo scenario dipinto da Belpietro è quello di un’Italia a tinte fosche, in grave pericolo, e che quindi necessita della mano ferma della polizia e dello stato. Una menzogna.

Cose, che Montanelli, che visse gli Anni di Piombo, e subì addirittura un attentato, si rifiutò sempre di enfatizzare, proprio perché sapeva, come amava dire, che alcuni lettori del “Giornale” erano più a destra del suo direttore, e che perciò non andavano fomentati a prescindere (*).

Ecco il vero ruolo di una stampa di destra: informare sempre, distinguendo però tra fatti e opinioni; criticare quando necessario, senza però denigrare l’avversario; non perdere mai di vista i sacri confini tra liberalismo da una parte, e fascismo e comunismo dall’altra, invalicabili per un giornalismo che voglia restare libero e liberale, mai ridotto a schiavo di ideologie totalitarie E questo fu il giornalismo praticato da Montanelli fino a quando nel 1994, Berlusconi, fondando un partito politico, non lo mise con le spalle al muro. Ma questa è un’altra storia.

Questa critica va estesa a tutta la stampa oggi organica alla destra, una destra, quella di Giorgia Meloni, che non ha mai voluto fare i conti con il fascismo. Di qui la sua pericolosità.

Sotto questo aspetto. Belpietro, che tra l’altro si dice liberale, è una specie di antiMontanelli. Altro che sacri confini tra giornalismo liberale e giornalismo gridato a scopo ideologico.

Belpietro vero sobillatore, nella foga, non sembra avvedersi della fondamentale contraddizione che segna il suo giornalismo. Come si può essere al tempo stesso novax e carabiniere?

Una contraddizione che è tipica di tutta la destra populista dalle radici fasciste. Destra che punta sull’antistatalismo per rafforzare però lo statalismo. Per capirsi, anche il fascismo all’inizio si diceva liberale… Ma solo per captare il consenso di un liberalismo babbione, che nulla aveva di liberale. Resta perciò tipico proprio dei fascisti giocare sull’equivoco.

In questo modo Belpietro tradisce se stesso, perché non s’avvede della contraddizione; tradisce l’intelligente sobrietà di Montanelli; tradisce il liberalismo perché appoggia e rilancia una politica reazionaria. Belpietro traditore di tutti.

Purtroppo, dopo trent’anni, come dicevamo, si è fatta così grande abitudine a questo doppio gioco della stampa organica alla destra, che nessuno sembra più farvi caso. Inoltre la stampa di sinistra, sebbene qualche volta colga nel segno, ricorre alla stessa retorica dell’intransigenza che caratterizza la stampa in sintonia con la destra.

Non ci sono più avversari ma solo nemici. Di qui il ricorso generalizzato alla menzogna e all’insulto. Nel quale Belpietro, a destra, è superbo interprete, come lo è per par condicio un Travaglio.

Ora, se queste cose non le diciamo noi, chi mai le dirà?

Carlo Gambescia

(*) Sul punto si veda M. Staglieno, Montanelli. Novant’anni contro corrente, Mondadori, Milano 2001,  pp. 319-320, ampi sunti del  primo editoriale scritto per “il Giornale”. Almirante, oggi celebrato da Giorgia Meloni come  padre nobile di Fratelli d’Italia, scrisse nel 1976 che “il Giornale” era la  “quinta colonna dei rossi”. Che anticipazione di acume democratico e liberale… (P. Granzotto, Montanelli, il Mulino, Bologna p. 170).

lunedì 13 gennaio 2025

Abedini libero. Stato di diritto e diritto dello stato

 


Che cos’è lo stato di diritto in due parole? Uno stato in cui ogni disposizione, ad esempio in ambito penale, deve essere prevista dalla legge.

Pertanto, per venire a ciò che ci interessa, poiché l’articolo 718 del Codice di procedura penale prevede la titolarità del Ministro di Grazia e Giustizia sui casi di estradizione, la riconsegna all’Iran di Abedini, presunto terrorista secondo gli Stati Uniti, sarebbe in perfetta linea con lo stato di diritto. Anche perché il Ministro dispone di un potere di revoca, alla quale la Corte di Appello, come nel caso di Abedini, deve comunque rimettersi (per semplificare il concetto). In pratica la Camera di Consiglio si riunisce pro forma. Dal momento che “la revoca è sempre disposta se il Ministro della Giustizia ne fa richiesta”(*).

Non siamo giuristi – qualcuno dirà, e si vede – però l’impressione è che con l’articolo 718 il legislatore abbia voluto introdurre una parvenza di legalità: un colpo di vernice coprente, marchio stato di diritto, alla ragion di stato o comunque al mercanteggiamento politico.

Qui, e dispiace dirlo, il punto debole dello stato di diritto. Quando però? Quando si usa la forma per far  prevalere la sostanza. Quando, in sede di applicazione, ci si nasconde dietro il diritto positivo, cioè il diritto vigente.

Quando, per capirsi, si finge di ignorare un fatto fondamentale: che, proprio durante il fascismo, una volta “inteso lo stato di diritto come stato di diritto positivo, in quanto il solo diritto positivo era riconosciuto come diritto, si constatò quanto facilmente lo stato potesse modificare stringendola fino a sopprimerla, la sfera di libertà garantita ai cittadini nei confronti di esso” . Così Guido Fassò, grande e dimenticato filosofo liberale del diritto (**).

Detto altrimenti: lo stato di diritto che si autodistrugge in nome del diritto dello stato.

Certo i Tg ripetono che il ministro Nordio, e dietro di lui un governo che in verità non hai mai regolato i suoi conti con il fascismo, ha semplicemente applicato la legge vigente. Nulla di speciale. Nessun mercanteggiamento politico.

E sia pure. Però esiste una questione di fondo. Perché una volta ammesso il principio che tutto il diritto può essere ricondotto alle norme poste dall’autorità sovrana (per buttarla sul dotto, il positum, nel senso di posto da una autorità), tutto è possibile, perfino la soppressione dei diritti individuali.  Ovviamente per legge, utilizzando, in modo furbesco (se ci  si passa l'espressione) la  forma diritto per sopprimere la sostanza libertà,  come ben sottolinea Fassò a proposito del fascismo.  Per farla breve:  si salva la faccia evocando la legalità della misura, perché posta da un norma derivante da un’autorità sovrana.

Al di là della questione Abedini-Sala, si evidenzia un problema legato, e non da oggi, a una pericolosa visione statalista del diritto (tecnicamente si parla di giuspositivismo) che tramuta lo stato di diritto in diritto dello stato. Di qui però la necessità, di fare in modo, perché lo stato di diritto sia tale, di evitare ogni intromissione della ragion di stato, indipendentemente dalle sue finalità, buone o cattive che siano.

Sotto questo aspetto, per venire al concreto, l’articolo 718 andrebbe emendato, riservando ai giudici ogni decisione. Solo così si può difendere la divisione dei poteri, che è parte integrante dello stato di diritto.

Ovviamente i giudici sono esseri umani e possono sbagliare, come del resto politici e governi. Però, proprio per questo, se un giudice, può avere anche le sue idee politiche, un politico ha solo le sue idee politiche. Il che spiega la maggiore pericolosità del potere governativo rispetto al potere giudiziario, come pure la necessità della loro separazione.

Concetto in fondo molto semplice. Eppure…

Carlo Gambescia

P.S. Di questo dovrebbero occuparsi liberali in prestito a “Libero” e non di bibbie e difese d’ufficio dell’Arma.

(*) Qui per la norma: https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-penale/libro-undicesimo/titolo-ii/capo-i/sezione-ii/art718.html .

(**) G. Fassò, Storia della filosofia del diritto. Il Novecento, il Mulino, Bologna 1972, vol. III, pp. 378-379.

domenica 12 gennaio 2025

La miniserie televisiva. Un Mussolini da avanspettacolo…

 


Si dovrebbe tornare a riflettere sulla relazione tra realtà e finzione nello studio delle forme di comunicazione nella politica contemporanea.

Frase, lunga, complessa, il lettore non avrà capito nulla. Ci spieghiamo allora con un esempio. Che, come si dice, torna a puntino.

Il M[ussolini] figlio del secolo di Antonio Scurati, ora è una miniserie (al momento del primo volume) in otto puntate, diretta da Joe Wright, talentuoso regista britannico (così dicono), e interpretata da Luca Marinelli. Il cattivo di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, film non banale di Gabriele Mainetti: il cantante fallito e gonfio di di risentimento, rivale di Claudio Santamaria.

Basta guardare dieci minuti, massimo venti, del primo episodio per capire che siamo davanti a una parodia. Il che però non è bene. Perché è vero che il fascismo oltre ad essere la biografia dei difetti nazionali, ne fu anche la parodia, la rielaborazione farsesca dal vivo diciamo. Però, è altrettanto vero che, con riguardo alle conseguenze reali, la dittatura fu un fatto tragico. Insomma, non fu solo parodia di se stesso e degli italiani.

Il fascismo storico non fa ridere, e se fa ridere, si pensi solo ai filmati dei pagliacceschi discorsi dal balcone di Mussolini, quando magnificava le grandi conquiste presenti e future, lascia ancora oggi nell’animo di chi vede e rivede, a meno che non sia un nostalgico, un senso di grande amarezza.

In sintesi, il fascismo, sul piano della ricaduta comunicativa, quindi del rapporto tra realtà e finzione, come dicevamo all’inizio, fu e resta un fenomeno tragicomico, perché la relazione tra la buffonesca retorica del regime e la realtà storica, assunse e assume al tempo stesso il sapore della commedia e delle tragedia insieme.

Commedia: le sfilate, i buffoneschi modi del duce, il linguaggio parassitario di una romanità reinventata sono gli aspetti comici. Tragedia: i delitti, le persecuzioni politiche e razziali, la guerra, infine anche civile, ne sono gli aspetti tragici.

Il Mussolini tratteggiato da Wright e reiventato da Marinelli (*) privilegia l’aspetto parodistico, diciamo il lato farsesco. Manca il tragico. Almeno per ora. Per dirla tutta, la struttura della narrazione e lo sviluppo dei personaggi, a cominciare dal duce, ha l’aria di un fumetto di Alan Ford, di un sottogenere parodistico. E qui va detto che Alan Ford, dopo un inizio così così ebbe un grande successo.

La parodia piace agli italiani. Come un tempo l’Operetta, storicamente posizionata, lungo una linea, che da una parte vede l’Opera e l’Opera buffa, e dall’altro la Rivista, il Musical e infine l’Avanspettacolo, popolarissimo, con le  cellulitiche maggiorate cinquantenni, gli attori comici con i nasoni finti, dalle battute scurrili. Ma chissà si potrebbe risalire fino ai personaggi della Commedia dell’arte…

Comunque sia, a proposito di Wright e Marinelli, si può parlare di un Mussolini da avanspettacolo. Quello di Scurati invece rimanda alla Banda della Magliana (*).

Ora, il rischio – rischio politico, qui di nuovo emerge il rapporto tra realtà e finzione nella comunicazione politica, mediaticamente indotta – è che come per i personaggi di Max Bunker e Magnus – ma la stessa cosa è accaduta per i criminali del film di Mainetti – che Mussolini risulti addirittura un simpatico mascalzone, in linea con certo cinema di Alberto Sordi, poi in parte, con toni più blandi, di Carlo Verdone.

Qui, ripetiamo, il rischio politico della natura parodistica del Mussolini di Wright e Marinelli. Quest’ultimo, che comunque è discreto attore, sembra a tratti ricalcare, quando strabuzza gli occhi, i modi che usa con i suoi sottoposti in camicia nera, il palese risentimento per un passato di stenti, il personaggio dello Zingaro, da lui interpretato nel film di Mainetti.

Ovviamente la destra, anch’essa recrimina la natura parodistica, ma per altre ragioni, assai diverse dalle nostre. I “soldatini” armati di penna di Giorgia Meloni difendono la tesi che il fascismo non può essere ridotto a macchietta, in particolare il duce, perché, come si legge, secondo gli storici non di parte (argumentum ab auctoritate usato da una destra affamata di legittimazione), Mussolini fu uomo serio, fece cose buone, eccetera, eccetera.

Sì, San Mussolini da Predappio. Come detto, la natura parodistica della miniserie, voluta o meno (concediamo), è innegabile. Manca quella tragica, che però non sarebbe comunque piaciuta alla destra, da sempre prigioniera della visione deamicisiana, fin troppo indulgente, del Mussolini “Figlio del fabbro ferraio”. Una figura, buona ed eroica, che gli italiani, poco disposti a trasformarsi in frugali legionari, avrebbero tradito, sempre in nome di una vita comoda, lontana dallo stile a dalla dottrina fascista.

Gli ultimi quattro capoversi (sopra), non sono per tutti: sono materia per professori e intellettuali.

Quanto al telespettatore comune, scommettiamo che la miniserie piacerà, come ogni parodia. Cioè, si commenteranno le battute, qualcuno rifarà il verso a Mussolini, qualcun altro dirà “però”… Come pure piacerà il risentito Zingaro-Mussolini di Marinelli che tra l’altro come Mussolini, nel film di Mainetti fa una brutta fine. Del resto, in quel film, lo spettatore, come non può non godere di una scena magistrale: quando lo Zingaro, dotato di superpoteri, sulle note di “Ti stringerò” della sempreverde Nada, fa strage dei camorristi, che volevano farlo fuori.

La stessa tipologia di spettatore che nulla sa di storia e che non può non godere di un Mussolini, anch’egli dotato di superpoteri come lo Zingaro, che fa strage di liberali, socialisti e comunisti, i cattivi… "Sì, ti stringerò/ giuro che ti farò male/la mia bocca rossa accenderò/ e un po’ ti brucerò"…

Qui si aprirebbe un bel capitolo sul  masochismo ciclico  degli italiani. 

Ma è  roba difficile, da professori e  psichiatri.

Carlo Gambescia

(*) Qui la nostra recensione del Mussolini di Scurati: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/09/secondo-bompiani-il-mussolini-figlio.html .

sabato 11 gennaio 2025

La libertà vince (anche) grazie a Soros

 


Il lettore prenda nota della prima pagina  di “Libero, “Giornale” e “Verità”, stampa organica alla destra. Andrebbero moralmente denunciate per quello che può chiamarsi antisemitismo strisciante. 11 gennaio 2025, la “bestia” si è risvegliata. Ufficialmente.

E invece tutto tace. Addirittura Daniele Capezzone, “liberale” salandrino e factiano, coglie l’occasione per celebrare il pensiero di Musk a proposito di una auspicabile riunificazione, come scrive, di tutte le destre, incluse quello filonaziste. Quindi antisemite.

Cosa vogliamo dire? Che sulla base dello pseudo ragionamento, ne scrivevamo ieri (*), di Giorgia Meloni (“Voi sinistra avete Soros, noi destra abbiamo Musk”, che problema c’è?”), è ripartito un  viscido attacco  verso un uomo di affari   e  di cultura, del quale la destra, in particolare quella estrema, da sempre come detto antisemita, non sa praticamente nulla, se non le solite pericolose stupidaggini complottiste sull’ “ebreo speculatore” che vuole dominare il mondo.

Se questi cretini, purtroppo pericolosi, avessero letto una sola pagina di quanto ha scritto e dichiarato Soros sull’importante ruolo economico dello stato, sui mercati imperfetti, su Israele che deve rivedere di molto le sue pretese, soprattutto sul piano militare, avrebbero ad esempio ritrovato, non poche idee a favore dell’intervento dello stato condivise dalle stesse destre.

E invece i cretini pericolosi, come il cane di Pavlov, si sono concentrati sul “campanello” dell’ “ebreo speculatore”. Ovviamente non si usa quest’ultimo termine. Si gira intorno.  Ora però  è ufficiale:  la stampa organica alla destra ha perso il pelo ma non il vizio. 

In realtà, sotto il profilo politico, George Soros è un liberal-socialista, se si vuole un liberal, nel senso che crede nella forza politicamente attrattiva del combinato disposto tra diritti civili e diritti sociali.

Pertanto Soros resta comunque, ideologicamente parlando, un antifascista. Un uomo fedele alla lezione del 1945. Anche perché,  nato nel 1930, visse con la famiglia, fino all’abbrutimento del tutti contro tutti pur di salvarsi, la tragedia degli ebrei ungheresi perseguitati dalle Croci frecciate: sgherri al servizio dei nazisti, che per risparmiare proiettili legavano, in lunga fila con il filo di ferro, talvolta spinato, gli ebrei ai bordi del Danubio, dopo di che, una volta colpiti i primi della fila alla nuca, tutti gli altri cadevano, diciamo per gravità, in acqua e affogavano.

Ed è proprio l’antifascismo, che in Soros si congiunge a un robusto antitotalitarismo di origine popperiana, che le destre, come Fratelli d’Italia ad esempio, non sopportano. Inoltre Soros, si ricordi bene, è contro ogni forma di fondamentalismo, compreso quello del mercato.

Di qui l’odio feroce verso un uomo d’affari, ripetiamo coltissimo, non fondamentalista ma liberale, che  rappresenta un atto d’accusa vivente  contro le mostruosità nazifasciste e gli appetiti delle dittature diffuse, come un cancro, in ogni parte del mondo.

 


Attenzione Soros, non è solo un simbolo, immobile, nell’empireo, eccetera, è anche un uomo di penna e di azione. Oltre a scrivere finanzia i movimenti antifascisti e antitotalitari. La sua è un’opera meritoria per la diffusione dei valori liberali dell’Occidente. La verità (altro che quella di Belpietro) è che, dinanzi all’ascesa delle destre nazionaliste, la libertà, nel senso dell’ubi bene, ibi patria, passa (anche) attraverso le opere d uomini valenti e liberali come Soros.

Cosa aggiungere? Che è veramente una vergogna, tra l’altro sulla base dello pseudo ragionamento meloniano (quello del “voi avete Soros, noi Musk, eccetera”), opporre a Soros, icona vivente dei valori brillantemente condensati nella Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo del 1948, un personaggio, lui sì veramente inquietante, come Musk, che legittima i movimenti neonazisti che tuttora si nutrono del pensiero hitleriano.

La sola idea di equipararli significa mettere sullo stesso piano un libro come La società aperta: rinnovare il capitalismo globale di Soros con il Mein Kampf di Hitler. Una cosa vergognosa.


Equiparazione, totalmente fuori luogo, che però rivela la pericolosa incultura liberale di Giorgia Meloni e di una destra e (perchè no?) anche di un Capezzone. Un “liberale”, quest’ultimo, che Luigi Salvatorelli, lui sì un grande storico liberale, avrebbe ricondotto “per li rami” nell’alveo ideologico del nazional-fascismo.

Se la Meloni avesse letto Soros, invece di insultarlo in stile complottista, fingendo di ignorare la scarsa solidità della lira italiana nel 1992 (frutto velenoso di finanza allegra, non delle “speculazioni” di Soros), avrebbe trovato argomenti, per lei interessanti, sulle economie miste e la riforma del mercato.

E invece niente. Si continua a gridare contro Soros, ignorandone la grande lezione di libertà.

Come definire questa destra? Idiota, ignorante e pericolosa.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/01/gli-abiti-nuovi-dellimperatrice-giorgia.html .