Questa volta si tratta di una valanga. Non nel senso stretto dei voti, ma di un fatto specifico. Quando Trump vinse nel 2016, in Europa la destra, attenzione l’estrema destra xenofoba – non parliamo di placidi conservatori, ma di ex militanti con un passato in Curva Sud – non era così forte come oggi.
Quindi, semplificando i concetti, mettiamola così: se atlantismo sarà, si tratterà di un atlantismo devastante, bieco e antiliberale: come se Mussolini comandasse in Italia e Hitler negli Stati Uniti. Un atlantismo però conflittuale: come capita quando predominano i nazionalismi, che, di regola, impediscono qualsiasi forma di governo comune.
Si veda, ad esempio, che accade anche in Europa: le destre nazionaliste vanno d’accordo solo su una caso: cacciare via i migranti. Su tutto il resto litigano, ignorando l’arte della mediazione liberale, faticosa, talvolta melmosa, ma che evita di prendere a pistolettate gli avversari e qui - grande punto debole liberale - anche i nemici. Ma questa è un’altra storia. Diciamo, una pena al giorno.
Il termine valanga vuole indicare un massa di neve politica, che si è staccata a Washington e che, con la vittoria di Trump, mettendosi in moto, rischia di travolgere ciò che resta della cultura e società liberali in Europa e negli Stati Uniti. Perché la destra europea, per fare solo un esempio, non vede l’ora di abbandonare l’Ucraina al suo amaro destino. E troverà nell’isolazionismo di Trump, un potente alleato.
La futura consegna della nuova presidenza trumpiana sarà molto
semplice: ognuno per sé dio per tutti. Detto altrimenti, dare risposte
semplici a problemi complessi. Le stesse della destra Europea. Sei un
migrante? Fuori dai piedi. Vuoi commerciare con gli Stati Uniti? Paga
il dazio. Eccetera, eccetera. Insomma nazionalismo e protezionismo su
scala mondiale. Detto alla buona e per la gioia del tronfio elettore xenofobo: A casa mia comando io.
Con queste idee non si va lontano. La pace non si avvicina. Anche perché sulla Cina, a differenza della Russia, Trump non sembra intenzionato a mollare. Quanto a Israele e al mondo arabo e musulmano, Trump applicherà, un principio, se ci si passa la battuta, da sempre gradito alle destre: nell’incertezza, mena. Quindi, nonostante le promesse elettorali, al posto di Israele non dormiremmo sonni tranquilli.
Come ieri dicevamo, nello stile sciolto di Fb, a un nostro lettore, Walter Ciusa, che tra l’altro conosce bene gli Stati Uniti attraverso il suo cinema,
“il mondo si va spostando, di emergenza in emergenza (vere o false), verso soluzioni autoritarie dai potenziali sviluppi fascisti (la famigerata tentazione fascista di cui parlo spesso). Si può provare a ostacolare, ritardare, come dice lei turarsi il naso, ma “c’è voglia” di capi carismatici, capaci di andare per le spicce: basta chiacchiere liberali, si sente dire. Il popolo deve comandare però solo un capo sa cosa è bene per il popolo. Risorge l’eterna alternativa tra regimi che promettono sicurezza in cambio di obbedienza e regimi che garantiscono la libertà. Purtroppo il regime liberale, difendendo la libertà, favorisce i suoi critici e in particolare chi usa la libertà per sopprimerlo. Qui la sua debolezza. Trump, se vince un’altra volta, non trasformerà di colpo l’America nel nuovo Quarto Reich, ma porrà le basi per un incrudelimento dei rapporti di ogni tipo, all’interno come all’estero. Trump è un nazionalista sfegatato e va d’accordo con i capitalisti Usa parassiti, autarchici, isolazionisti, che vivono dei dazi, condannati da Pareto e da tanti altri economisti liberali. Ma non finisce qui. Dopo Trump ne verranno altri. Caro Walter, lei è più giovane di me, ma queste cose vanno oltre le nostre vite, fermo restando, perché la storia è capricciosa, le improvvise accelerazioni” (*) .
Sono passate solo poche ore, ma sottoscriviamo integralmente. Trump ha vinto e sull’Occidente sta calando una valanga. Ci piacerebbe vederli in viso, uno per uno, elettori e simpatizzanti di Trump, li immaginiamo, di qua e di là dell’Oceano, come l’Alberto Sordi, borghese piccolo, pronto a farsi giustizia da solo.
Come asserisce un nostro mite lettore, Mauro Cianci, usando un’ espressione classica che ben dipinge l’impotenza liberale dinanzi allo scatenarsi dei peggiori fenomeni dell’atmosfera politica, si tratta del solito elettore che da duemila anni vota Barabba e manda a morte Gesù.
Ovviamente Kamala Harris non è nata in una grotta di Betlemme, ma resta comunque, al di là di ogni questione di merito, una candidata coraggiosa, una lottatrice, altrimenti non avrebbe accettato di salire su una nave che stava per colare a picco. Ridicolizzata, se non addirittura oltraggiata, dalla stampa di destra di mezzo mondo, Kamala Harris si è battuta fino all’ultimo voto. Onore alla leonessa sconfitta
In realtà, il problema ora è un altro: Trump o non Trump, o dopo Trump, ormai la valanga è in moto e rischia di travolgerci tutti. E non era ed è facile opporsi alla furia degli elementi politici.
Queste non erano elezioni di routine. E ora, ripetiamo Trump o meno, l'argine è rotto. Lampi, tuoni, acqua a catinelle: per dirla con i grandissimi Credence Clearwater Revival, "See the bad moon a-rising/I see trouble on the way/ I see earthquakes and lightnin' /I see bad times today".
Ed è già accaduto una volta: nel “Secolo breve”, il XX, così definito da uno storico nostalgico del marxismo, oggi scomparso. Che in un patetico libro, dedicato al Novecento, quasi rimpiangeva il secolo dei totalitarismi per le grandi passioni politiche suscitate da Marx ed Engels. Ignorando il sinistro contributo del leninismo al totalitarismo.
Ecco, ora, Hobsbawm sarà contento, il “Secolo breve” si è allungato fin dentro il XXI secolo. Ma intorno a noi vediamo solo borghesi piccoli piccoli, che tutti insieme marciano compatti e inarrestabili al grido di "Make Great Again" le rispettive patrie: l’America, l’Italia, la Germania, l’Ungheria, l’Austria, la Francia. E così via.
È una valanga… E come detto, che va oltre Trump. "See the bad moon a-rising".
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.facebook.com/photo/?fbid=3953899808230801&set=a.1388148961472578 .