Trump ha insultato Zelensky. Straparla. Del resto Trump ha insultato per anni Barack Obama asserendo che non era nato negli Stati Uniti e che perciò poteva essere un pericoloso agente islamista: una specie di terrorista dormiente infiltratosi alla Casa Bianca.
Perciò che prima o poi se la prendesse anche con Zelensky era cosa scontata. Il grande Jannacci, per citare da “Silvano” , gli consiglierebbe di “sfoderare scuse plausibili e di scacciare il bisogno del passero”…
Battute a parte, la reazione di Zelensky è stata esemplare, elegante, da statista: “Trump vive in un bolla di disinformazione russa”. Dopo di che ha ribadito, distinguendo con sagacia tra proprietà e dipendenti, la sua fiducia verso la macchina della diplomazia statunitense.
Un passo indietro. Obama, pur non essendo obbligato a farlo, esibì il suo certificato di nascita, prima l’ estratto, poi l’integrale. Niente. Probabilmente Trump crede tuttora che Obama sia un infiltrato. Come pure crede che gli abbiano sfilato illegalmente la vittoria nel 2020, e così via.
Ora, che, in occasione dei funerali di Carter, Obama non abbia preso Trump a calci nel sedere è un fatto che rimanda alla sua fortissima capacità di autocontrollo (infatti, nei video della cerimonia gli sorride amabilmente). Una caretteristica più volte mostrata nel corso dei due mandati. Senza dimenticare il grande rispetto che Obama nutre per le istituzioni. Cosa che Trump neppure si sogna.
Cosa vogliamo dire? Che Trump, che non solo ha insultato Zelensky ma ha detto le solite bugie ( che Zelensky avrebbe iniziato la guerra, che si è pappato i soldi americani, che non è stato eletto democraticamente), difficilmente sarà messo a tappeto a colpi di fact-checking.
Detto altrimenti, se si crede che per liberarsi di Trump, basterà schierare Karl Popper, il rischio è quello di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Smentirlo, anche in modo rigoroso, non serve a nulla. Andrebbe comunque avanti come un treno. E per una semplice ragione: il consenso politico a Trump, come fu per altri pericolosi agitatori carismatici del secolo scorso, nasce dallo sciamanico appello, in cui Trump è abilissimo, non alla parte razionale degli elettori ma a quella irrazionale. Perciò più si fanno le pulci alle sue asserzioni, e le si scopre false, più i suoi elettori, anche potenziali, non ascoltano e gridano al complotto, rispondendo in modo irrazionale. Guai a toccare loro il pupazzetto a molla con il ciuffone.
Trump perciò è in una botte di ferro. E' il resto del pianeta che non lo è. Un premio che Trump non meritava. Perché consapevolmente o meno, ha rotto il patto liberale, che, semplificando, vieta di calunniare un avversario, di mentire sul suo conto, eccetera.
Ovviamente, la vittoria della comunicazione digitale e il trionfo dei social hanno favorito tutto questo. Diciamo pure che la rivoluzione dei nuovi media ha potenziato il ruolo della menzogna in politica.
Su basi antiche però. Il Mein Kampf, sebbene racchiuda una montagna di bugie, è letto addirittura con rispetto e creduto forse da almeno un paio di miliardi di persone.
Come sosteneva Pareto resta insito nell’essere umano un residuo o istinto delle combinazioni. Cioè vi si ritrova quell’atavico gusto di mettere insieme spiegazioni misteriose con risposte misteriose. Se a fin di bene, siamo nell’ambito delle grandi religioni; se invece per altri scopi, magari illeciti, si ricade nel pericoloso giroconto della menzogna politica, che inevitabilmente rinvia alla terribile caccia al capro espiatorio.
Dicevamo del patto liberale. Parliamo di un appello alla ragione (quindi un fine). Perciò di non comunicabilità con tutto ciò che non è ragione (quindi mezzo). Come, per l’appunto, la politica intesa come trionfo della menzogna. E qui si torna a Trump che ha costruito una brillante carriera politica sull’uso sistematico della menzogna contro avversari e nemici.
Attenzione, anche Machiavelli parla dell’uso politico della menzogna. Però una cosa è considerare la menzogna come uno strumento, un mezzo, tra gli altri, della politica, un’ altra farne un fine per un suo uso sistematico, totalmente sganciato dalla realtà delle cose. Come per la panzana sull’atto di nascita di Obama, che probabilmente Trump continua a ritenere falso…
La perdita di contatto con la realtà, stando ai manuali psichiatrici, rinvia alla paranoia. Cioè a un soggetto che nutre sospetti, sfiducia e timore verso gli altri, irritabile, arrabbiato, depresso, in costante stato di allarme fisico e mentale, assolutamente incapace di porsi il problema dell’altrui prospettiva delle cose.
Si pensi a un soggetto instabile che chiede continua conferma a se stesso che la realtà sia come lui la vede. Di qui l’importanza della menzogna, come strumento di conferma, ma anche dell’automenzogna e degli stereotipi. Cioè, come dicevamo, ci si autoconvince che Obama sia un infiltrato islamista, anche perché il colore della pelle di Obama ci dice che non può non essere così.
Per dirla brutalmente, ciò significa che un politico paranoide ha scalato la Casa Bianca. E per la seconda volta. Qui il problema.
Come liberarsi di Trump? Difficile dire. Come gli si fa sparire quel “bisogno del passero”? Quel fare il prepotente che gli ronza dentro il cervello? Anche per Basaglia potrebbe essere un problema. Di regola, come insegna la metapolitica, l’agitatore carismatico e paranoide si incarta da solo. Come Hitler e Mussolini ad esempio. Però dopo averne combinate di tutti i colori. Probabilmente non lo si doveva assecondare fin dall’inizio. Sul punto però l’Europa si è mostrata divisa. E ora Trump ha già azzannato Zelinsky. Per salvare Kiev potrebbe essere troppo tardi
Però una cosa è certa: basta con il fact-checking alle sue dichiarazioni. Come se Trump fosse una questione di filosofia della scienza. Purtroppo la conoscenza non è virtù. Se per lo scienziato due più due fa quattro, per il demagogo fa cinque, sei, sette e così via.
Gli esseri umani al conoscere preferiscono il credere. Di conseguenza, una volta rotto il patto liberale, scocca l’ora del demagogo, di colui che straparla.
Nel nostro caso le lancette ci dicono che è il momento di Trump. Quindi delle due l’una: o dirle più grosse di lui, cedendo però al populismo, oppure attendere che la “nuttata” passi, cercando di limitare i danni.
Ammesso e non concesso che si possano limitare.
Carlo Gambescia
Addirittura un Silvano "non valevole" Ciccioli del grande Enzo in una psicopatologia trumpiana vale, come si usa dire, il prezzo del biglietto. Certo, fossero bastate o bastassero una o più pedate ben assestate per togliersi dai piedi certi figuri e i loro corifei, credo che MIchelle LaVaughn Robinson coniugata Obama sarebbe andata al funerale di Carter, munita di badile e stivali chiodati. E io l'avrei accompagnata moolto volentieri. Grazie. Saluti
RispondiEliminaGrande donna Michelle. Ho piacere che anche lei ammiri il grande Enzo. Sì giusto. magari bastassero una o più pedate... Ricambio i saluti.
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