Sapete cari lettori qual è l’errore politico più grave che si possa commettere in questo momento? Quello di asserire che il contrattacco della destra, ormai sul piano mondiale, sia giustificato dagli errori “wokisti” della sinistra.
A dire il vero sarebbe più preciso usare il plurale: destre non destra, sinistre non sinistra. Nessun blocco politico, e meno che mai qualsiasi distinzione tra una destra antiwoke e una sinistra woke. Si possono rilevare, al di là delle divisioni tecniche esterne in schieramenti parlamentari, solo tendenze interne a ogni sfera, divise a destra sulla linea tradizione-progresso, a sinistra su quella riforme-rivoluzione.
Accanto a queste linee principali se ne possono individuare di secondarie, interne ai due contesti: ad esempio c’è una destra fascista, tradizionalista, nazionalista, sovranista e così via. Come pure una sinistra anarchica, laburista, socialista, comunista, eccetera.
Però, una volta ammesse queste sfurmature, va anche riconosciuto che il woke rinvia addirittura a un’unità di fondo, a un modo comune, da parte di destra e sinistra, di concepire il ruolo dello stato e delle leggi.
L’anello di congiunzione tra destra e sinistra non è la sterile polemica tra woke e antiwoke, ma il welfare come fabbrica del consenso.
Semplificando: protezione in cambio di obbedienza. Un diritto protetto qui, un diritto protetto lì. E intanto il potere dello stato si estende favorendo un costoso individualismo protetto. Un esito – vero esempio di effetto perverso – che vede le varie minoranze sociali invece che concordi in lotta tra di loro per captare i favori dello stato. Una macchina infernale, che per autoalimentarsi, ha necessità di produrre e riprodurre l’ineguaglianza attraverso l’ eguaglianza. Dal momento che ci sarà sempre chi vanterà maggiori diritti alla riparazione di un altro.
Se la sinistra ha esagerato, cosa tra l’altro da dimostrare, l’esagerazione rinvia a uno statalismo condiviso anche dalla destra.
Per farla breve: se il wokismo, e la sua arma principale, quella della cultura della cancellazione, ad esempio verso le vestigia del fascismo, rinviano necessariamente a un inquadramento giuridico di tipo pubblico, come non definire wokismo, e di vecchia data, la cancellazione della cultura liberale, retrocessa d’ufficio a liberismo selvaggio? Tesi condivisa dalla sinistra e dalla destra. Di cui, tanto per far un nome, Giorgia Meloni è la sintesi vivente (dal protezionismo economico e sociale al disprezzo verso mercati e banche).
Esageriamo? Si pensi alla Costituzione italiana che pone limiti “sociali” al diritto di proprietà privata.
Si rifletta. L’introduzione dell’idea di una “ funzione sociale [della proprietà] e [ della necessità] di renderla accessibile a tutti” (art. 42, c. 2), “cancella” la storia del moderno capitalismo, che, fino allo sviluppo dei movimenti socialisti, non si era posto l’idea di rendere accessibile la proprietà a tutti. Per inciso: con principi costituzionali come quello sulla natura sociale della proprietà non vi sarebbe mai stata nessuna Rivoluzione industriale.
Idea, quest’ultima, ” condivisa, da una destra e da una sinistra che privilegiano l’idea dello stato Robin Hood. “Cancellando” quella di un libero mercato che invece lascia ai singoli decidere del proprio bene.
Il wokismo, che va recepito in maniera più ampia, non è di destra né di sinistra, ma rimanda all’idea di “damnatio memoriae”, antica quanto il mondo. Che può riguardare uomini e ideologie. E che, per l’attuazione, come detto, non può fare a meno dell’aiuto dello stato o comunque del potere politico.
Pertanto definire il sovranismo come una reazione al wokismo ( e viceversa) è una sciocchezza. Perché, non si tratta affatto di una reazione, ma del proseguimento a destra del wokismo, come “cancel culture” antiliberale, con gli stessi mezzi della sinistra: quelli dello stato.
Resta perciò un grave errore ignorare il ruolo del controllo sociale e il ruolo specifico dello stato nelle attività di legittimazione.
Attività, metapoliticamente obiettive, cioè fondate su costanti metapolitiche (ad esempio persistenza del potere, e sua razionalizzazione-giustificazione, dinamica tra forze centripete e centrifughe, di inclusione-esclusione, di consenso-dissenso). Attività che vanno al di là delle oziose contese destra-sinistra.
Concludendo, vorremo che fosse chiaro che la polemica contro il woke, che la destra ha trasformato in cavallo di battaglia per tenere in castigo la sinistra, non è altro che una variazione sul tema del welfare come fabbrica del consenso.
Cioè si continua ritenere, e per giunta da parte di alcuni presunti liberali, che lo stato sia la soluzione non il problema.
Carlo Gambescia
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