Ne diciamo una che potrà apparire forte. Che però aiuta intuire il nostro amaro destino. Di europei e italiani. Sì destino, nel senso di qualcosa di ineluttabile che come un meteorite si sta per abbattere sulla civiltà occidentale, diciamo pure atlantica, così come l’abbiamo conosciuta e apprezzata fino all’avvento di Donald Trump, ora fresco di secondo mandato.
La prossima a cadere sarà la Groenlandia. Ma, a dire il vero, neppure al posto del Canada dormiremmo sonni tranquilli.
Trump, che come ogni aspirante autocrate sguazza nella diplomazia segreta, ha probabilmente messo sul piatto della bilancia la Groenlandia: vuole scambiarla con l’Ucraina. Al presidente americano, che aspira a tramutarsi in una specie di dittatore, la politica di forza della Russia piace. Per inciso, non si sottovaluti la possibilità di colpi di mano costituzionali da parte di Trump. Per poter conservare il potere oltre i quattro anni canonici o comunque trasmetterlo a qualche suo sodale.
Siamo dinanzi a impresa collettiva, portata avanti dalla parte più reazionaria, dell’incultura americana, con Trump come amministratore unico pro tempore. Per capire la profonda differenza di idee tra una destra e una sinistra perbene e la destra corte dei miracoli di Trump si leggano l’autobiografia di Reagan, le memorie Bush padre e quelle di Obama. A dire il vero anche l’autobiografia del chiacchierato Clinton non è male. Se le idee contano qualcosa, come del resto la cultura, parliamo di lettori forti e di buona letteratura. Non della spazzatura complottista avidamente letta da Trump.
La Groenlandia rappresenta per gli Stati Uniti una specie di Crimea ghiacciata. Un’ annessione che torna utile per rafforzare ed estendere la parte Est dei confini continentali americani. La Groenlandia per gli Stati Uniti costituisce una questione interna, da chiudere per sempre. Proprio come la Crimea e l’Ucraina per la Russia. E questo vale in assoluto. Al di là del fatto che la Groenlandia sia al tempo stesso un’importante base osservativa per la balistica missilistica e un “tappo” navale tra l’Artico e l’Atlantico.
Pertanto crediamo che il prossimo passo americano sarà costituito dallo scambio di Nuuk contro Kiev. Il futuro potrebbe vedere soldati russi a Kiev e soldati americani a Nuuk capitale della Groenlandia. Con l’Europa, debole, divisa e “trumpizzata”, che non potrà che prendere mestamente atto.
Altrimenti come spiegare questo mettere con le spalle al muro l’Europa, fino al punto di umiliarla?
Un atteggiamento molto apprezzato da Putin e
dai suoi predecessori, risalendo almeno fino a Pietro il Grande, che
aveva verso l’Europa del suo tempo un atteggiamento di odio-amore. Che
si tramutò nel XIX in puro odio panslavista. Corrente politica reazionaria, riabilitata di fatto da Stalin nel XX. E che oggi, rivive nel panrussismo di un
Putin e nelle stramplate teorie di Dugin.
Trump ritiene di non avere alcun bisogno dell’Europa né della Nato. Guarda a un mondo tripolare – Cina, Russia, Stati Uniti – con l ‘ Unione europea, in rovina, balcanizzata, nella mani di micro-autocrati pronti a ricevere ordini da Mosca.
Difficile dire, se Trump punti a un’alleanza con la Russia contro la Cina. A una specie di neo patto Ribbentrop-Molotov, per avere mani libere in Estremo Oriente, proprio come Hitler nel 1939 contro Polonia, Francia e Gran Bretagna.
Per inciso, risulta evidente, come in questo grande gioco, l’Italia di Giorgia Meloni e le destre trumpiane europee (Regno Unito incluso) siano considerati da Trump poco più che figuranti. Piccoli ma affidabili roditori da abbandonare al proprio destino una volta usati per distruggere dall'interno Unione Europea e Nato.
Trump considera l’Europa perduta. Tempo sprecato con interlocutori fin troppo raffinati per lui, dalla mentalità socialista e pacifista. Una palla al piede.
Trump probabilmente, piuttosto che all’Atlantico guarda al Pacifico, non tanto per una fedeltà a complicate ragioni geopolitiche, quanto per una politica difensiva, intesa come allargamento dei confini. La Russia è sull’altra sponda dello Stretto di Bering. Un braccio di mare la separa dall’Alaska. Il che spiega l’interesse Usa per il Canada come 51° stato, giudicato, militarmente importante, se schierato come seconda linea di un blocco unico, anche militare, statunitense.
Ragionamenti terra terra? La cultura politica di Trump e dei suoi consiglieri è molto rozza: un miscuglio di pastorale americana, isolazionismo, razzismo e complottismo. Trump immagina truppe russe e cinesi sul suolo americano. Da leader “agitatore”, una specie di paranoide politico, pensa veloce e agisce di conseguenza.
Di qui la preferenza per la Russia, perché di razza bianca e cristiana. Discorso che può essere esteso alla politica più che amichevole verso Israele. Popolo di Fratelli maggiori, apprezzato da Trump, al di là degli interessi contingenti definiti da alcuni superficiali osservatori di tipo “immobiliare”. In realtà Trump è in linea con una specifica tradizione reazionaria. Alla quale, da più bravo del Bar Sport nativista, attinge a piene mani.
Parliamo di una concezione ultrarazzista, che scorge nell’ eredità culturale degli americani, in particolare primi coloni e l’ universo Wasp, il retaggio di una mitizzata provenienza genetica, attraverso la Gran Bretagna, dal popolo di Israele. Si chiama anche suprematismo bianco. Per capirsi: è come se nello Studio Ovale sedesse un “Imperatore” o “Gran Dragone” del Ku Klux Kan.
Accennavamo a un neo patto Ribbentrop-Molotov. Per ora lo si consideri come un’ ipotesi. Un'idea, pronta a trasformarsi in strumento difensivo per prendere le misure non tanto all’Europa, che è a pezzi, quanto alla Cina. Che al momento Trump vuole solo ridimensionare economicamente. La presidenza di Trump più che imperiale è provinciale. Ma per questo non meno pericolosa.
Può l’Unione Europea evitare tutto questo? E la Nato cosa può fare? La prima è in caduta libera. Discute di tassi e di transizione ecologica. Inoltre è assediata da uno spaventoso contrattacco storico delle destre, associate al nazifascismo, sconfitte nel 1945.
Quanto alla Nato, la proposta di Trump, di aumentare il contributo, collegandolo all’acquisto di armi di fabbricazione americana, è iugulatoria. Perché se accettiamo crescerà la nostra dipendenza da una politica americana antieuropea (sarebbe come comprare combustibili dalla Russia), se invece rifiutiamo, per ricostituire una forza militare decente, serviranno almeno dieci anni. E di qui a dieci anni i giochi saranno fatti.
E probabilmente a nostro danno.
Carlo Gambescia
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