Il grattacielo e il formichiere
Per un realismo politico consapevole
Nel mio nuovo libro (*) mi confronto con un argomento, il realismo
politico, che di solito, viene indagato
o in termini di scienza politica o di storia delle idee. Il mio invece, come recita
il sottotitolo, è un approccio
sociologico, non comune. Cioè, mi
propongo, da sociologo, di esaminare gli addentellati sociali ( e
anche storici) del fenomeno.
Parto dall’esame del concetto di realtà prendendo
spunto dai versi di un poeta che amo, Eugenio Montale. La realtà, alla
quale nessuno può sfuggire, rivela momenti alti (il grattacielo) e bassi (il
formichiere), comportamenti nobili e meno nobili, se non vili. Comunque imprevedibili. Soprattutto come
effetti di ricaduta. Spesso si vuole il bene, ma si ottiene il male. E
viceversa. Si chiama anche, più dottamente, eterogenesi dei fini.
Parto da una considerazione di fondo: l’uomo non è buono né cattivo ma
imprevedibile. E di conseguenza, per lo studioso come per il leader, resta difficile prevedere ragioni ed esiti delle azioni
umane.
Azioni
che sono
frutto di una dissonanza cognitiva tra idee e realtà, dissonanza, che spinge l’uomo all’azione riparatrice. Alla ricerca di consonanze, talvolta possibili, talaltra
no.
Di
questo aspetto il realismo politico deve
tenere conto. Non può ridursi a scienza che razionalizza il male, magari
godendone in modo luciferino. O nascondendosi dietro il comodo paravento della cattedra.
E
allora? Che fare? Il realismo
politico, puntando sull’uso della metapolitica, quale analisi e uso delle forme
di comportamento politico, costanti o regolarità, che si ripetono nella vita sociale e storica
(conflitto, cooperazione, eccetera), deve indagare la realtà
per quello che è e non per quello
che dovrebbe essere, secondo un'antropologia positiva o negativa dell’uomo. Si impone, insomma, un realismo politico consapevole della natura
imprevedibile, e in qualche misura pericolosa proprio per tale ragione, delle azioni umane. Azioni frutto di dissonanze cognitive, effetti inintenzionali,
tensioni utopiche. Azioni, mai dimenticarlo, comunque condizionate dall’interdipendenza sociale: un fattore sociologico che lega gli uomini, volenti o nolenti, gli uni agli altri. E che ritroviamo in tutte le forme di regime politico, economico e sociale.
Un
realismo politico, per usare le parole dell’amico Jerónimo Molina, che prova a "immaginare il disastro", ma anche, aggiungo, “il non disastro”... Consapevole quindi dell' "esistenza" del grattacielo come del formichiere.
Ho
descritto solo alcune linee esplicative. Per incuriosire i lettori. Che spero siano numerosi. Il saggio si rivolge agli specialisti (in
particolare nei primi due capitoli), ma contiene (negli altri due) parti storiche e
sociologiche che possono interessare tutti.
Credo,
immodestamente, di aver compiuto un
notevole sforzo teorico e di sintesi,
anche nell’approfondimento di concetti
che la routine politologica e una storia delle idee talvolta prigioniera dell' approccio culturalista considerano scontati nel loro significato.
Nel mio libro cerco di provare che non è così.
Nel mio libro cerco di provare che non è così.