Ilva, la parola a Ernesto Rossi
Ieri, pensando all'Ilva, mi sono riletto la biografia di Ernesto Rossi scritta da Giuseppe Fiori (Einaudi, 1997). Rossi trascorse nove anni nelle carceri fasciste, e altri quattro al confino nell’isola di Ventotene.
Parlo di un
intellettuale liberale di indubbio valore, uomo integerrimo, economista e
giornalista, lettore appassionato
di Pareto, Einaudi e degli economisti
britannici fautori di un liberalismo sociale, discepolo di
Salvemini erede del suo concretismo, amico dei Rosselli, membro di
Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione (ma di quest'ultimo controvoglia), presidente dell'Arar e brillante estensore di un' onestissima e sagace microeconomia liberale allo smaltimento dei residuati bellici americani. Infine, collaboratore di punta del “Mondo”.
Si
può riassumere e ricondurre il suo pensiero, che fu
quello di un liberale di sinistra, all' endiadi eguaglianza e libertà.
Nemico del comunismo come del fascismo, di cui temeva il pensiero unico, Rossi si spese con la forza della ragione per un liberalismo sociale,
attento a porre le persone su un piede di parità, non solo formale, per poter così scegliere liberamente la propria strada.
Convinto
federalista europeo, stese con Altiero Spinelli, compagno di confino, il famoso Manifesto di Ventotene. Rossi fu nemico di ogni forma di nazionalismo e protezionismo: ideologie che a suo avviso
favorivano monopolisti interni e fabbricanti di cannoni, causando miseria e
guerre .
Diciamo
che Rossi, tra l’altro fiero avversario di ogni forma di monopolio
religioso, battagliò in nome di un liberalismo progressista. A differenza di Pareto, pensatore che comunque
amava, Rossi guardava con simpatia al
suo prossimo. Credeva nella possibilità di un mondo migliore ma anche nella
forza del merito. Morì di cancro nel febbraio del 1967 a sessantanove anni.
Oggi
da che parte starebbe sull’Ilva di Taranto? Difficile
dire. Pur essendo la sua posizione politica vicina all' azionismo (più per caso che per convinzione), Rossi non era un costruttivista puro: non credeva nel
mito dell’uomo nuovo, e in subordine dell’italiano nuovo. Però
credeva nella forza della perfettibilità ragionata e ragionevole. Che sul piano economico, significava e significa lotta a ogni forma di monopolio, pubblico o
privato, nonché battaglia senza quartiere per
una tassazione fortemente progressiva. Insomma, una specie di anti-Malagodi. Ma come Malagodi, e tutti i liberali di destra
o sinistra, Rossi, era senza esitazioni dalla parte della modernità. E - attenzione - fermamente contrario a ogni forma di assistenzialismo e spreco di denaro pubblico.
E
qui - per tornare all’Ilva - sembra che il Partito
democratico voglia continuare a buttare soldi su Taranto, mentre i
Cinque Stelle sognano addirittura un ritorno al mondo pre-moderno. La destra, detto per inciso, risulta addirittura più assistenzialista della sinistra.
Il
quadro complessivo della situazione, dunque, non
piacerebbe a Rossi. Che però - così crediamo - non avrebbe visto di buon occhio neppure la
proposta del gruppo franco-indiano, inclusiva dello scudo penale. Forse egli avrebbe
guardato con favore a una cordata
europea. Ferma restando la sua antipatia per
i monopoli, pubblici e privati. Di
sicuro Rossi non credeva nell’arcadia della
deindustrializzazione. E neppure nella cassa integrazione a vita. Sicché avrebbe prima approfondito, con una delle sue grandi
inchieste, la questione dei pericoli per
la salute e per l’ambiente, senza però
farsi coinvolgere emotivamente. Per poter porre in seguito le basi di un discorso pubblico liberale, neutralmente affettivo. Insomma, l'esatto contrario del brutto film che stanno proiettando. Altro non mi sento di ipotizzare...
Ernesto
Rossi, non amava i sindacati, non amava
i burocrati (bianchi, rossi, neri), non amava i padroni del vapore, non amava
i preti. E per questo morì solo, lontano dalla chiesa democristiana e
comunista. E dalla Chiesa in carne ossa.
Morì
da filosofo. Senza dio, né padroni. Attenzione però: Rossi non si considerava un anarchico. Insomma, un libertario all’ultimo stadio. Perché
gli anarchici, come usava dire, sono liberali privi di una prospettiva storica.
Evidentemente, egli sapeva, da buon lettore di Pareto, che la storia poi si vendica. Non dello
spirito di giustizia e
libertà. Ma di certi eccessi che oggi chiameremmo populisti. Insomma, la storia non perdona i vuoti morali: la dimenticanza o assenza di quel famoso puntello che si chiama senso di responsabilità. Che permise a Rossi di entrare
a testa alta nelle prigioni fasciste.
Carlo Gambescia