giovedì 7 novembre 2019

Il liberalismo non è morto…



Manca un storia  del ciclo liberale, o meglio dei cicli liberali. Ci spieghiamo subito.
Leggevamo  ieri  un articolo  dove l’autore recitava il de profundis del mondo liberal-democratico,  concentrandosi però, non sappiamo se intenzionalmente o meno,  solo  sul dopo 1989-1991.
A suo avviso, il liberalismo, ridotto all’eredità reaganiana-thacheriana,  sarebbe in crisi, probabilmente definitiva, a causa delle sue contraddizioni interne,  frutto di una mancanza di realismo politico, che lo condurrebbe  a ignorare le forze  vive e  profonde della storia e della politica come  la nazione,  la guerra, il  mercantilismo.

In realtà, di cicli liberali veri e propri, all’interno dello sviluppo del moderno concetto di libertà che risale  alle rivoluzioni inglese, americana e francese, ne abbiamo avuti almeno due, il primo che va dal 1815 al 1914, il secondo dal 1945 a una data finale ancora  da stabilire… Tra i due periodi si incasella invece  il ciclo delle guerra civile europea,  1914-1945.  O se si preferisce il momento totalitario.
In realtà,  cosa è successo nel biennio  1989-1991? Che è si è dissolto come un castello di carte al soffio del purissimo vento liberale il comunismo sovietico. E senza alcuna guerra guerreggiata. È bastato il fascino del dolce commercio e dei suoi benefici effetti di ricaduta sul differenziale di sviluppo tra Occidente e Unione Sovietica. 
Dopo di che, ovviamente, si sono prodotti  assestamenti, soprattutto economici,  ma il vento della democrazia liberale, sebbene con correttivi cesaristi  “locali”, oggi soffia  anche sulla Russia. Lo stesso discorso può essere esteso alla Cina, dove il liberalismo si sta facendo largo  attraverso la progressiva apertura al mercato mondiale. Fatto storico, per un  mondo da sempre autarchico.
Le stesse  Primavere arabe indicano che,  nonostante il fondamentalismo, anche quel mondo si muove verso il liberalismo. Seppure lentamente.  Il  radicalismo islamico  può essere letto, per dirla con Toynbee, come una forma di "zelotismo" arrancante dinanzi alla sfida liberale, nonostante alcuni gravi atti terroristici (in primis l’attacco alle Torri Gemelle del 2001).

La stessa crisi economica del 2007-2008, amplificata ideologicamente  dai nemici della società  liberale, non è altro che una crisi di crescenza legata al consolidamento di un mercato mondiale aperto a tutti. Di qui però, i pericolosi contraccolpi protezionisti e nazionalisti.
Il che ci riporta al momento totalitario tra i due cicli liberali (1914-1945).  Allora come oggi, i nemici del liberalismo, evocando rozze e superate tematiche  controrivoluzionarie,  sparano ad alzo  zero contro l’apertura dei mercati, contro le libertà politiche, civili ed economiche, magnificando i valori comunitari e collettivistici.  Probabilmente, l’unica differenza tra  i movimenti totalitari di ieri e di oggi è rappresentata dai latecomers del totalitarismo: i movimenti ambientalisti.
Qui però sorge una domanda:  la classe dirigente liberale è consapevole di  vivere non gli ultimi giorni di Pompei, come  vogliono far  credere i suoi nemici?  Ma di subire  una  semplice crisi di crescenza?
Domanda non banale, perché un problema  c'è.  Esiste  un elemento di possibile crisi, che ritroviamo persino nelle fasi precedenti all’altro momento totalitario (1914-1945). Quale? Si avverte  un clima di sfiducia  nella forza del proprio operato e dei propri valori. Detto altrimenti, si crede, da parte liberale,  che si sia alla fine di un ciclo. Sicché si ignorano, volutamente o meno,  che invece i granai sono  pieni di idee vincenti e di mezzi di ogni genere per farle valere.

Purtroppo, la società liberale fondata sulla libertà di critica può morire di libertà di critica. Perché arma i propri nemici. Che usano contro la società liberale mezzi liberali per instaurare una società illiberale. O meglio usano le arti di una demagogia basata, come provano numerose indagini, su malefiche distorsioni cognitive diffuse a livello di massa. Idee antiliberali che, come dicevamo, sembrano condizionare le stesse élite liberali.  
Il momento totalitario, tra le due guerre mondiali è lì a dimostrarlo.  E oggi, nel mondo dei social e di un’informazione drogatissima,  il pericolo  è addirittura  superiore.
Di conseguenza, populismo, protezionismo, nazionalismo, radicalismo religioso  e  ambientalismo sono i nemici principali.
Il liberalismo deve scuotersi e  trovare dentro di sé  la forza e il coraggio, che pure ci sono, per schiacciarli.  Prima che si  apra un altro momento totalitario vero e proprio. Del quale si ignorano durata ed esiti.  Non è detto insomma che al secondo ciclo totalitario  possa seguire un terzo ciclo liberale.
L'uomo talvolta alla libertà, di cui teme le responsabilità,  preferisce la spensierata servitù. Nessun regime politico è perciò eterno. E la stessa cosa si può dire delle forme culturali.  Si cerchi allora di fare il possibile, visto che i granai sono pieni, per  prolungare se non addirittura rilanciare il secondo ciclo liberale.   

Carlo Gambescia