Il caso Segre e le radici dell’odio
Che
una senatrice a vita della Repubblica, Liliana Segre, sia oggetto di insulti e minacce per le sue "origini" ebraiche, è un fatto grave E che, sulla condanna degli
insulti e delle minacce, le
forze politiche in Parlamento si
dividano, è cosa ancora più grave.
In
particolare, il concetto da criticare e respingere è quello di
strumentalizzazione politica, sollevato dalla destra contro la sinistra.
In
realtà, esistono valori comuni, come quello del rispetto della diversità (di
qualsiasi genere) che dovrebbero essere
condivisi da tutti i partiti politici. Di destra e sinistra.
Ma
come giungere alla condivisione? A colpi
di leggi e decreti? O attraverso la trasformazione del comune sentire? Dunque
dal basso? Dove e come nascono le nuove forme di convincimento e pratica sociale ? Dai processi di socializzazione, che però
hanno tempistiche lunghe e non sempre indolori.
In
Italia, le vergognose leggi razziali,
alle quali quasi nessun italiano si ribellò, risalgono a circa ottant’anni fa. Quanto
è cambiata da allora la mentalità? Oggi, gli italiani, verso gli ebrei e
gli altri diversi, sono
tolleranti? Nutrono sentimenti di amicizia e simpatia?
Sondaggi
d’opinione e risultati politici ci dicono che l’antisemitismo e il razzismo sono ancora molto
diffusi. Quasi un italiano su due nutre tali sentimenti. Pertanto le
radici dell’odio verso la diversità, nonostante
più di sette decenni di liberal-democrazia, sviluppo economico e
scolarizzazione, restano profonde.
Il
che riflette due cose: per un verso la difficoltà, oggettiva, di contrastare l’intolleranza, semplificando,
“con la scuola”, per l’altro
l’incapacità politica, soggettiva, di giungere alla condivisione di un punto di
vista comune sulla grande questione dell’accettazione
della diversità. Insomma, i primi a dare l’esempio dovevano e devono essere i partiti
politici.
Ora, la sinistra nelle sue varie sfumature e
pur mostrando giganteschi limiti, si è sempre fatta garante della diversità. Diciamo che era ed è sulla strada
giusta. Certo, la sinistra non ha mai
incluso in questa zona franca repubblicana, e in fondo giustamente,
la destra negatrice, per
principio, della diversità.
La
destra per contro, in particolare quella estrema, pur con qualche eccezione, ha continuato a coltivare i
suoi pregiudizi, ora però tornati
prepotentemente alla ribalta con la vittoria delle destre populiste e
neofasciste, negatrici della diversità. Insomma, la destra ha
continuato a percorrere la vecchia
strada, quella sbagliata.
Di
qui, le crescenti preoccupazioni della
sinistra, e il suo tentativo di accorciare i processi di
socializzazione, introducendo misure per contrastare il fenomeno. Ovviamente, avversate da populisti e neofascisti. Sicché,
destra e sinistra, si accusano reciprocamente di strumentalizzazione. Di
forzare insomma, per profittarne politicamente a scopo elettorale, la volontà degli italiani.
In
realtà, l’Italia resta profondamente divisa
su un punto che imporrebbe invece una
solida visione, comune e collettiva, imperniata sul
rispetto della diversità. Rispetto che non è di destra né di sinistra. Invece, dopo ottant’anni le radici dell’odio sono
ancora profonde.
Però,
ecco il punto: nel “giochino”, per così dire, del “di qua o di là”, è la sinistra, pur con tutti
i suoi errori politici, a stare dalla parte della diversità. E quindi della ragione politica.
E
di questo, piacciano o meno i “compagni” di strada, ogni vero liberale non può non tenere conto.
Carlo Gambescia