giovedì 14 novembre 2019

 Acqua alta  
Morte a Venezia 2



Di ingegneria idraulica non capiamo nulla. Di sociologia qualche cosina. E quale può essere la reazione del sociologo al clima di catastrofe che oggi sembra aleggiare su Venezia “invasa dall’acqua alta”?  Per una specie di   “Morte a Venezia 2”?
Che le reazioni, degne di un paese in disarmo e diviso,   rimandano a quel fenomeno che può essere definito il suicidio italiano,  sempre  pronto, con sconcertante regolarità, a consegnarsi al  castigamatti di turno.  
L’atteggiamento socio-mentale è il seguente: si parte, uno, da una visione della realtà utopistica: Venezia senza l’acqua alta per sempre, tipo fenomeno degli storni allontanati dalle città grazie alla tecnologia dei finti richiami. Un cosetta facile facile….  Per poi proporre a distanza di anni,  due, un incredibile  confronto tra la  Venezia città di Utopia  e la  Venezia reale,  città dei ladri, di tutti coloro che con le loro ruberie politiche avrebbero impedito e prolungato  la realizzazione del Mose: un prodigio della tecnica, capace di mettere al riparo la città lagunare in via definitiva.

Non si dice però, che i tecnici, quelli seri,  non hanno mai garantito una “mosaica” apertura e chiusura delle acque dalla qualità cronometrica, né che gli ecologisti hanno ferocemente e irrazionalmente condannato il Mose, non proponendo soluzione alternative, se  non una deportazione di massa in stile Cambogia rossa. Di qui però polemiche, giudizi, ritardi e arlecchinate varie.  
Cosa vogliamo dire?  Che una classe dirigente, a destra come a sinistra, priva di senso della misura,  che imprudentemente ha illuso la gente, promettendo l’impossibile, per non riuscire a mantenere neppure il possibile,  si autocondanna inevitabilmente al suicidio.  Perché si ritrova non solo  a dover chiedere scusa di cose che non poteva promettere, ma addirittura ad alzare la posta, ripromettendo l’impossibile: che il Mose sarà  finito a breve  e che poi più nulla accadrà.  Latte e miele pioveranno su Venezia.       
Mose o non Mose, Venezia è una città che è lì da secoli, con le sue  caratteristiche, culturali, sociali, geologiche, cose  che la rendono unica.  
Però unicità significa soprattutto unicità-difficoltà nel promettere soluzioni definitive che in realtà non esistono. Quindi serviva una sana presa di distanza da ogni eccesso. Solo per fare un esempio: se si rideva, da un lato,  dell’idea-limite di prosciugare la città e costruire una diga fissa (non mobile come il Mose) alle sue bocche, si doveva altrettanto ridere,  dall’altro, dell’  idea-limite di far crescere le aspettative delle gente, a scopo elettorale,  ventilando soluzioni  miracolistiche a proposito di dighe mobili e  di un rassicurante  “business as usual”.  

Insomma, soluzioni definitive non esistevano e non  esistono,  quindi serviva e serve  prudenza. Del resto  i veneziani, come prova la storia della Serenissima, sono gente realista,  se ci si passa l’espressione, non si lasciano fregare facilmente, magari subiscono, per poi rialzare la testa, appena passata la bufera.  
La canea miracolistica rinvia perciò alla “Terraferma” allargata alla Regione Veneto e all’intera Italia, soprattutto politica,  a destra come a sinistra: cinematografari della politica che hanno promesso ciò che razionalmente non potevano  mantenere.  
Tutti colpevoli, nessun colpevole? Bah... Le cause dei suicidi politici  restano spesso  nascoste come quelle dei suicidi individuali.  Bisogna rassegnarsi.
Una cosa è certa però,  prima o poi, dal clima di rissa continua,  salterà fuori l'energumeno armato del bastone più grosso: il castigamatti che  presenterà il conto all’Italia.  Del resto è già accaduto.  Dopo di che però,  delle due l’una:   o pagare, servendo,  o pagare morendo,  politicamente o meno.

Carlo Gambescia