Morte a Venezia 2
Di
ingegneria idraulica non capiamo nulla. Di sociologia qualche cosina. E quale
può essere la reazione del sociologo al clima di catastrofe che oggi sembra
aleggiare su Venezia “invasa dall’acqua alta”? Per una specie di “Morte a Venezia 2” ?
Che
le reazioni, degne di un paese in disarmo e diviso, rimandano
a quel fenomeno che può essere definito il suicidio italiano, sempre pronto, con sconcertante regolarità, a
consegnarsi al castigamatti di turno.
L’atteggiamento
socio-mentale è il seguente: si parte, uno,
da una visione della realtà utopistica: Venezia senza l’acqua alta per sempre, tipo fenomeno degli storni allontanati dalle città grazie
alla tecnologia dei finti richiami. Un cosetta facile facile…. Per poi proporre a distanza di anni, due,
un incredibile confronto tra la Venezia
città di Utopia e la Venezia
reale, città dei ladri, di tutti coloro
che con le loro ruberie politiche avrebbero impedito e prolungato la realizzazione del Mose: un prodigio della
tecnica, capace di mettere al riparo la città lagunare in via definitiva.
Non
si dice però, che i tecnici, quelli seri, non hanno mai garantito una “mosaica” apertura
e chiusura delle acque dalla qualità cronometrica, né che
gli ecologisti hanno ferocemente e irrazionalmente condannato il Mose, non
proponendo soluzione alternative, se non
una deportazione di massa in stile Cambogia rossa. Di qui però polemiche, giudizi, ritardi e arlecchinate varie.
Cosa
vogliamo dire? Che una classe dirigente,
a destra come a sinistra, priva di senso della misura, che imprudentemente ha illuso la gente, promettendo l’impossibile, per non riuscire a
mantenere neppure il possibile, si autocondanna
inevitabilmente al suicidio. Perché si
ritrova non solo a dover chiedere scusa
di cose che non poteva promettere, ma addirittura ad alzare la posta,
ripromettendo l’impossibile: che il Mose sarà finito a breve e che poi più nulla accadrà. Latte e miele pioveranno su Venezia.
Mose
o non Mose, Venezia è una città che è lì da secoli, con le sue caratteristiche, culturali, sociali, geologiche, cose che la rendono unica.
Però
unicità significa soprattutto unicità-difficoltà nel promettere soluzioni
definitive che in realtà non esistono. Quindi serviva una sana presa di
distanza da ogni eccesso. Solo per fare un esempio: se si rideva, da un lato, dell’idea-limite di prosciugare la città e costruire
una diga fissa (non mobile come il Mose) alle sue bocche, si doveva altrettanto
ridere, dall’altro, dell’ idea-limite di far crescere le aspettative
delle gente, a scopo elettorale, ventilando soluzioni miracolistiche a proposito di dighe mobili e
di un rassicurante “business as usual”.
Insomma,
soluzioni definitive non esistevano e non esistono, quindi serviva e serve prudenza. Del resto i veneziani, come prova la storia della
Serenissima, sono gente realista, se ci
si passa l’espressione, non si lasciano fregare facilmente, magari subiscono, per poi rialzare la testa, appena passata la bufera.
La canea miracolistica rinvia perciò alla “Terraferma” allargata alla Regione Veneto e all’intera Italia, soprattutto politica, a destra come a sinistra: cinematografari della politica che hanno promesso ciò che razionalmente non
potevano mantenere.
Tutti colpevoli, nessun colpevole? Bah... Le cause dei suicidi politici restano spesso nascoste come quelle dei suicidi individuali. Bisogna rassegnarsi.
Una cosa è certa però, prima o poi, dal clima di rissa continua, salterà fuori l'energumeno armato del bastone più grosso: il castigamatti che presenterà il conto all’Italia. Del resto è già
accaduto. Dopo di che però, delle due l’una: o pagare, servendo, o pagare morendo, politicamente o meno.
Carlo Gambescia