martedì 14 giugno 2016

Per andare oltre il Brexit
Referendum e forza delle cose (sociali)



Uscirà la Gran Bretagna dall’Ue?  Oppure resterà? Difficile prevedere. Preferiamo perciò parlare dello strumento referendario.
Che dire?  Se l'istituto del referendum  ha una caratteristica fondamentale,  è quella di essere legato a una risposta, come dire, di pelle e così  favorire ciò che gli esperti definiscono gli elettori dell’ultimo minuto: i più indecisi, perché lontani dalla politica, per le più differenti ragioni, ma comunque lontani.  Il referendum,  definito dai suoi cultori come il trionfo della democrazia, e anche giustamente se si ragiona  in termini di  meccanismi maggioritari, in realtà seppellisce  ogni forma di prudenza politica, virtù, come noto, che può appartenere soltanto  a pochi lungimiranti,  preparati, coltivati  dirigenti politici.
Inoltre  il  referendum semplifica problemi complessi, spesso di complicata soluzione anche per gli esperti e a maggior ragione per i politici che devono decidere, in un clima quasi sempre di incertezza cognitiva. Figurarsi per le persone comuni digiune di capacità cognitive, non solo specifiche ma spesso anche generali.  Di qui, l’importanza, per tornare sul punto,  della prudenza politica, come virtù delle scelte ponderate, capaci di evitare rischi inutili. Riassumendo, lo strumento referendario,  oltre a essere semplicistico sul piano cognitivo premia la sventatezza e l’imprudenza dell’elettore.    
Filosoficamente parlando, siamo davanti al conflitto tra due principi: uno politico, la democrazia diretta, come forma di legittimazione della decisione politica; uno cognitivo, che prova, come la decisione collettiva, sia l’esatto contrario, di qualsiasi scelta ponderata. Conflitto che però viene rimosso sul piano sociologico, della concreta vita politica,  attribuendo al referendum, a danno del principio cognitivo,  un valore salvifico che non ha alcun valore razionale, ma che dovrebbe garantire, come spesso si ripete,  la legittimità del sistema democratico.
Si sottovaluta però,  che la considerazione della democrazia come fine (celebrandone, in termini di principio, il valore maggioritario, quindi in ultima istanza referendario)  e  non come mezzo (strumento organizzativo da modellare secondo le esigenze, privilegiando comunque la chiave rappresentativa rispetto a quella referendaria) può  spalancare le porte, in nome della democrazia plebiscitaria, ai  nemici della libertà.  Hitler docet.
In fondo, si tratta di una verità scomoda, però riconosciuta da non pochi. Eppure, ci si continua ad affidare, al meccanismo referendario.  Perché?
La risposta è semplice, almeno per il sociologo. Il culto, in quanto tale (quindi irrazionale), del referendum, rappresenta un ottimo esempio di forza delle cose (sociali). O meglio, per dirla con un padre della sociologia, del potere delle “rappresentazioni sociali”,   le quali, assumendo forza propria,  finiscono per essere più forti degli uomini stessi, andando contro i fini razionali  che l'uomo pur si impone di perseguire, come nel caso della conservazione della democrazia. Infatti, la stragrande maggioranza dei politici, conosce lo scarso valore cognitivo-decisionale, dunque razionale, della “rappresentazione sociale referendum", eppure  non si oppone,  anzi, appena può, ne  promuove l’impiego politico, sperando magari di piegarlo a fini particolari o altro.  E, ovviamente, gli elettori, entusiasti o meno, seguono in termini inerziali.
E' razionale tutto ciò dal punto di vista  - generale -  della conservazione della democrazia? No. Pertanto, se le nostre democrazie un giorno cadranno, sarà per via referendaria. Paradossi del politico?  No,  o comunque non solo,  diciamo che la verità  finisce sempre per vendicarsi. 

Carlo Gambescia       
                

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