Presidenziali statunitensi 2016
Hillary, il
fatto nuovo?
No. E spiego perché
Se
questa mattina dovessi tenere una lezione,
magari a una classe del primo anno di Scienze della Comunicazione, prenderei in esame l’atteggiamento della
stampa italiana e più in generale dei media verso Hillary Clinton, la cui candidatura, in teoria agguantata, viene presentata come
il fatto nuovo delle presidenziali: il titolo predominante è "Una donna verso la Casa Bianca" o addirittura "alla" Casa Bianca. E lo farei senza usare paroloni in lingua inglese o ricorrere alle vaghezze
teoriche di improbabili discipline visuali a sfondo foucaultiano e decostruzionista: soltanto sociologia di
vecchia scuola, pre-Dams e pre-Scienze Comunicazione, terra terra, ma, credo,
efficace.
Per
quale ragione? Perché, in realtà, il
fatto nuovo è rappresentato dal successo, invece innegabile, delle due candidature
anti-Hillary: Trump e Sanders. Un exploit che indica due cose: la
prima, che il sistema americano funziona, nel senso che non sono sempre i
soliti a essere scelti; la seconda, che negli Stati Uniti i famosi Wasp contano meno: il
Melting Pot fusionale avanza e nella democrazia. Certo, si possono discutere i programmi
(confuso quello di Trump, statalista quello di Sanders), ma resta un fatto che
l’America va al voto e in nome
della Repubblica Stellata: i due candidati ( anzi tre con la Clinton ), dichiarano, pur nella diversità, di volere un’America più grande.
In
Europa, se un politico si azzardasse a dire una cosa del genere, verrebbe insultato, dai soliti piagnoni catto-comunisti. Infatti, il nostro Renzi, giovane e dinamico,
appena ci prova, viene regolarmente preso a pernacchi. Quindi l’approccio femminista (per così dire, in veste pro-minoranze: "Il primo nero, il primo cattolico, il primo
ebreo, il primo ispanico nella storia degli Stati Uniti, eccetera") non spiega un bel nulla.
Ma
veniamo al perché dell’accettazione mediatica a scatola chiusa dell’approccio
pro-minoranze.
In
primo luogo, perché la visione italiana ed europea degli Stati Uniti è ferma,
praticamente, alla Guerra di Secessione, o comunque, battute a parte, agli Anni
Sessanta del Novecento: l' età aurea dei diritti civili (e della minoranza nera). Da allora però molta
acqua passata sotto i ponti. I rapporti tra minoranze non sono idilliaci, ma l’America di oggi -
e il 2001 è lì a dimostrarlo - è molto
più unita degli anni della guerra in Vietnam.
Il che spiega il consenso socialmente
trasversale a candidati come Sanders e Trump.
In
secondo luogo, l’Italia e l’Europa sono
culturalmente dominate - e quindi anche le redazioni - dalla cultura del fritto misto: una
dolciastra pappetta post-comunista, post-sessantotina, post-cristiana; un misto di ribellismo, femminismo,
socialismo, cristianesimo primitivo, che gli Usa si sono lasciati alle spalle da
un pezzo. Va anche aggiunto, per onestà,
che negli Stati Uniti la parità è un fatto, mentre da noi latita. Quindi ciò che per
gli americani è scontato in Italia è un fatto eclatante. Di qui, eccetera,
eccetera.
In
terzo luogo, la pigrizia (che è la madre di
tutti i conformismi). Soltanto coloro che conoscono la vita di redazione e la scarsa
qualità degli inviati e dei corrispondenti italiani, di regola attivi solo all’inizio della
carriera, per poi addormentarsi in attesa della pensione, possono capire come sia molto più facile, seguire la corrente, che proporre idee e analisi
originali. Sociologicamente si chiama routine, che insieme all’impreparazione culturale e all’amore per la vita tranquilla, produce quell'ignavia professionale che non ha ancora trovato il suo Dante Alighieri in grado di fustigarla a dovere. Purtroppo, come accennato, non siamo soli. Il problema è europeo:
anche i giornali spagnoli, francesi, tedeschi e britannici, hanno titolato come sopra.
E
per oggi è tutto. A mercoledì prossimo, ragazzi.
Carlo Gambescia
E' opportuno precisare che il "femminismo" di cui lei parla è il femminismo della parità, delle minoranze (!), ecc, un cosidetto femminismo, un femminismo... maschile a dirla tutta, di una politica dei diritti e della uguaglianza... da cloni.
RispondiEliminaPer fortuna, e da 50 anni, c'è anche il femminismo femminile. E' altra cosa.
Capisco. Da umile sociologo riconduco la sua precisazione all'interno della "costante" movimento-istituzione, nel senso della inevitabile opposizione nei processi sociali, anche sul piano retorico (termine da intendere in chiave neutralmente affettiva), tra fenomeno realizzato e idea della realizzazione, semplificando: tra istituzioni e intenzionalità. Comunque sia, prendo atto, grazie.
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