sabato 11 giugno 2016

La riflessione
Democrazia, liberalismo e vittimismo



Si dovrebbe ristudiare la democrazia, o se si preferisce le idee politiche, dal punto di vista dei processi sociologici di vittimizzazione, ossia  della  tendenza a presentare, come appunto  nel caso della democrazia,  i rispettivi elettori quali povere  vittime di qualcuno e/o qualcosa. Il far sentire vittime le persone,  a prescindere dalla realtà dei fatti,  permette infatti di conquistare voti  e consolidare il consenso. Dal momento che si tratta di un approccio assai utile  per giustificare, una volta agguantato il potere,  errori e colpe,  imputandole agli avversari.  Insomma, la vittimizzazione costituisce un autentico passepartout politico. 
Le vittime hanno sempre ragione, i carnefici torto: puro intuizionismo morale. O no?   In realtà, spesso le vittime non  sono vittime e i carnefici non sono carnefici. Infatti, grazie all’abile uso della retorica politica e di astute argomentazioni si possono costruire vere e proprie ideologie fondate sulla comunità delle emozioni e sul buon uso di un  avversario immaginario o inventato, capace di catalizzare emozioni e sentimenti come  disagio sociale, risentimento, disprezzo e  odio.
Ovviamente, esistono anche vittime autentiche.  I caduti di una guerra, ad esempio. Tuttavia,  anche in questo caso, esistono le guerre giuste e le guerre sbagliate ( di regola a stabilirlo sono i vincitori). Di qui, piaccia o meno, una diversa valutazione dello status di vittima o carnefice, in base allo schieramento.  
I processi di vittimizzazione, non sono una prerogativa della democrazia, riguardano tutti i regimi politici ( e le idee cui essi rinviano). Pertanto  si può ritenere che  tra la vittimizzazione hitleriana dei tedeschi nei riguardi del “Nemico Ebreo” e quella dei leader populista, di questo o quel popolo, nei riguardi del  “ Politico Corrotto” esiste una differenza non di specie ma di grado. Come dire, cambia il direttore d'orchestra, ma la musica resta tale. 
La vittimizzazione inibisce il senso di responsabilità del singolo, il quale viene sollevato da qualsiasi colpa personale. In qualche misura la vittimizzazione, dal punto di vista ideologico,  è una forma di fatalismo politico, ad uso però di una forza politica, di cui si accettano gli insondabili decreti, perché capaci di liberare dal senso di colpa individuale  e, cosa più importante, dal  male che lo ha causato. Di qui, l'altro corno ideologico, della vittimizzazione: il ricorso alla dottrina del capro espiatorio, capace di trasformare il male “semplice” in “male assoluto”, esorcizzandolo miracolosamente per sempre.  Invece, dal punto sociologico, la vittimizzazione si fonda sull’emulazione, allo stato diffuso,  del risentimento, collettivamente ben coltivato,  verso i  maligni  colpevoli presuntivi. Emulazione, dunque, come struttura circolare di rinforzo  tra "vittime" e "difensori" delle vittime.  Inutile qui sottolineare il sottotesto teologico-politico della vittimizzazione.
Ora, sul piano delle idee, quanto più una teoria politica si fonda sul senso di  responsabilità della singola persona, nel senso della sua volontà di accettare i rischi di una vita libera,  imputando a se stessa  gli eventuali fallimenti,  tanto più si allontana dall' ideologia della vittimizzazione, che invece, come detto, favorisce l'attribuzione del fallimento individuale sempre gli altri.  Sotto questo profilo, il liberalismo rimane  agli antipodi del comunismo, del fascismo, dell’ecologismo, del democraticismo sociale, classiche ideologie della vittimizzazione.  Ciò spiega l’andamento sociologicamente ciclico del liberalismo: la libertà è bella, soprattutto a prima vista, però non tutti, malgrado i benefici immediati, sono in grado nel tempo di sopportarne peso e rischi. Probabilmente la maggioranza degli uomini non è in grado di comprendere, o comunque accettare,  ciò che definiremmo la verità sconvolgente del liberalismo: che la libertà di alcuni implica l’accettazione del fallimento, talvolta moralmente ingiusto, di altri.   Di qui,  gli alti bassi, della libertà e dei liberali,  una minoranza di coraggiosi che ne difende le  non accomodanti ragioni. Pensiamo al declino  che investe soprattutto la società di massa, dove  uomini anonimi e "anomici"  riescono a occultare le proprie responsabilità, imputandole sempre all’altro.
E quanto più la politica  facilita il processo di occultamento, tanto più gli uomini preferiscono rinunciare alla libertà per trasformarsi  in vittime di qualcuno o di qualcosa.  Il che in prospettiva può aprire la strada al più pericoloso dei totalitarismi: quello della comunità emotiva delle vittime  che provano risentimento contro  tutto e tutti. Del resto, ecco il punto fondamentale, in una società democratica, dove le “vittime” portano voti e consenso,  la politica, che di questo vive,  sarà mai in grado di fare un passo indietro?               

Carlo Gambescia                      

                 

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