Ostia, la sentenza: criminali non mafiosi
Ancora sulla forza delle cose (sociali)
Chi
informerà “El País” e l’opinione pubblica spagnola, in ginocchio davanti
alla Raggi (1), che a Ostia, secondo i giudici della Corte d’Appello, la
sentenza è di ieri l’altro, non operava alcuna organizzazione mafiosa ma puri e
semplici (certo, si fa per dire) criminali in combutta tra loro? (2)
Probabilmente
nessuno, già oggi i giornali italiani non
ne parlano più. Pertanto il danno sociologico, ormai è fatto. Per quale ragione
sociologico? Perché rinvia al fenomeno
sociale della mafia-romanzo (3), che per un verso è forza di complemento psico-socio-culturale
nella lotta alla mafia e per l’altro puro veicolo di propaganda politica, gonfiato, dai vari
populismi nostrani, contro gli avversari
di turno, come prova l’intervista della
Raggi a “El País”. Dove si legge , in perfetto stile " Piovra 11", che la presunta "Mafia di Roma Capitale", sui cui legami con quella di Ostia sì è molto fantasticato, potrebbe addirittura minacciare la sua persona... E che comunque la candidata pentastellata non ha
paura eccetera, eccetera. Insomma, manca solo il
commissario Cattani.., anzi, "el
Jefe" Cattani…
Ovviamente, Ostia (e Roma) non sono isole felici. Ci mancherebbe altro. Però tutto questo è ridicolo
e malinconico. Ridicolo, perché il linguaggio è quello di una fiction, cui
tutti sembrano credere con gli occhioni spalancati, imbambolati davanti allo schermo; malinconico, perché
evocando lo spettro della mafia, anche dove poi risulta, giudizialmente risulta, che non c'era, si fa naufragare del tutto, la periclitante immagine dell’Italia, dando un calcio definitivo allo stile, già cattivo, della nostra lotta politica, dove l'importante sembra essere arraffare voti e distruggere l'avversario costi quel che costi, puntando sul folclore comunicativo.
Inoltre, abbiamo notato che molti lettori non comprendono il nostro approccio
realistico, sociologicamente realistico alle cose (sociali). Purtroppo, la sociologia
deve sempre restare a guardia dei fatti. E i “fatti sociali” - prescindendo, sia detto per inciso, dalle mitologie sulla liquidità cognitiva messe in circolazione da un sociologo
post-comunista, riciclatosi nel libero Occidente, il cui odio biblico per la società
libera è da sempre immenso - sono quanto di
più duro possa esistere in natura sociale. Esistono infatti, come abbiamo scritto ieri a
proposito del referendum, idee, contraddittorie dal punto di chi osserva (il
sociologo), nelle quali però l' osservato (gli attori sociali) crede inflessibilmente, senza percepire alcuna contraddizione. E in
quelle credenze, le "rappresentazioni sociali" (le idee collettivamente propugnate, a prescindere dal contenuto di verità) acquistano forza
propria, diventando verità sociali assolute e intoccabili: duri "fatti sociali" dalla irresistibile forza inerziale, anche se incongruenti sotto il profilo logico e dell'argomentazione razionale. Tradotto: il referendum fa bene alla democrazia;
a Ostia ( e Roma) comanda la mafia siciliana, e così via. Di qui, la nostra parafrasi verdiana sulla forza (quasi un destino...) delle cose (sociali).
Queste analisi "antipatiche", non in linea con il mainstream cognitivo, qualcuno deve pur farle. Certo, si rischia l'impopolarità, perché purtroppo il prezzo (da pagare) della spiegazione razionale è l'essere additati come nemici del popolo. Come è già capitato (e capiterà). Del resto, chi ragiona senza fare sconti, rischia di asserire cose che spiacciono a dio e ai suoi
nemici. Secondo Ortega (e Montanelli), il miglior conferenziere e scrittore è chiunque dica cose in cui i lettori si riconoscono. Non è il nostro caso.
Qualcuno
penserà: ma allora l’educazione, l’istruzione, la cultura, la "civiltà della conversazione" e i dibattiti non
servono proprio a nulla? La virtù non è conoscenza? E la conoscenza, virtù? Insomma, il vero non è
anche buono? Non esiste il progresso
morale? Non siamo diventati tutti più buoni e amanti della verità?
In realtà, esiste una vernice
sociale, ben studiata da Norbert Elias, sviluppatasi soprattutto nei secoli "moderni", sempre però pronta a scomparire sotto i colpi di ciò che
rappresenta la principale proprietà sociale dell'uomo. Quale? La volontà di credere piuttosto che di capire, razionalmente capire. E di "attaccarsi" (dividendosi) a ciò che ritiene vero, pur in contrasto con qualsiasi spiegazione o dimostrazione razionale, reiterata o meno.
E per scoprirlo, basta iscriversi a Facebook…
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Carlo Gambescia
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