giovedì 23 giugno 2016

Il libro della settimana (recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange): Pietro Di Muccio de Quattro, L’ideologia italiana. Dialogo tra Callido e Stolido, Liberilibri, Macerata 2016, pp. 132,  Euro 15.00. 

http://www.liberilibri.it/pietro-di-muccio-de-quattro/237-lideologia-italiana.html

E’ connaturale alla politica la dialettica tra fatti e aspirazioni, interessi e valori, comando ed obbedienza, pubblico e privato. E così nella valutazione delle vicende e delle regolarità politiche è doveroso considerare gli uni e gli altri: essere e dover essere. Senza trascurare mai il monito di Machiavelli che “colui che lascia quello che si fa, per quello che si dovrebbe fare, impara più presto la ruina che la perservazione sua”.
I due personaggi del dialogo sono Callido e Stolido. Al di là del fatto che spesso quanto sostengono non è del tutto in linea con il significato dei loro nomi, nel primo prevale una considerazione realistica e disincantata della politica; nel secondo la contrapposta idealista ed “immaginaria” (nel senso del Segretario fiorentino). E sono due personaggi, in un certo senso “eterni” (anche per le tesi esposte). Ad esempio Callido a un certo punto afferma sui governanti “Che potere è il potere se chi comanda non può fare il proprio bene, com’è inevitabile, e pure il bene altrui, com’è lodevole?”; che è a un dipresso quanto sosteneva Trasimaco nella Repubblica di Platone “ciascun governo legifera per il proprio utile, la democrazia con leggi democratiche, la tirannide con leggi tiranniche, e gli altri governi allo stesso modo. E una volta che hanno fatto le leggi, eccoli proclamare che il giusto per i sudditi si identifica con ciò che è invece il loro proprio utile”. E Stolido replica a Callido “In democrazia e benefattori governano perché il popolo sceglie governanti buoni che comandano a fin di bene. Ciò che chiamano governo, dunque, è bontà fatta persona e istituzione” (p. 24). Tesi anch’essa antica, in vari modi e sfumature – anche se non così ingenue - sostenuti da Thomas Müntzer a Sieyés; dai Levellers a Mazzini.
Mentre le tesi di Callido sono per lo più ragionate, basate su fatti e confortate dall’esperienza, quelle di Stolido sono - scriverebbe Pareto – delle derivazioni, ossia giustificazioni pseudo-razionali di pretese, pregiudizi e aspirazioni. A un certo punto Callido lo rileva: “O Stolido, deciditi a rispondermi con le ragioni della ragione … Getti sul vuoto dei tuoi argomenti il mantello della sapienza greca e pretendi di camminarvi sopra senza sprofondare”.
Sulla giustizia sociale Stolido enuncia subito dopo, invece un imperativo categorico “La giustizia sociale non poggia affatto sullo spirito di fazione … Proclama e reclama un diritto universale: «voglio quel che hai tu perché tu hai quel che io non ho»”; Callido ribatte “Un diritto? Al contrario, una pulsione atavica!”. E Stolido, alle strette, riconosce la realtà “La democrazia è, appunto, il potere organizzato per prenderseli e spartirseli i beni altrui”; il quale tuttavia, come sosteneva già Hobbes, è un difetto di tutti i governi, anche se quelli democratici ne soffrono maggiormente perché devono soddisfare le aspettative di tanti.
Quanto alla meritocrazia, le tesi di Stolido la riconduce alla decisione di chi governa “E’ giusto che la democrazia, tramite la politica, decreti il successo dei cittadini … La remunerazione degl’individui e la distribuzione delle ricchezze devono determinarle il potere pubblico, politici, sindacalisti, funzionari, che sanno avvantaggiare chi merita e sfavorire chi non merita”, cui Callido risponde “Merito e successo non sono pane per i denti di chi li ha afferrati o tenta di afferrarli”. In sostanza le convinzioni di Stolido finiscono, nella pratica, per convertirsi nel loro opposto. Non è bene che il popolo sia lasciato libero di scegliere “Il piacere che procura la coscienza di aver rispettato la legge nel perseguire il proprio interesse materiale o spirituale non dev’essere lasciato ai governanti. Per gustarla, una tal soddisfazione, il popolo necessita d’esser lasciato libero di scegliere. Il che non è bene. L’onore di ricevere dall’autorità l’esplicito permesso per molte iniziative deve rendere l’aria irrespirabile ai cittadini desiderosi di vivere autonomi ed indipendenti. Perché in definitiva il potere democratico ha lo stesso vizio/aspirazione di qualsiasi governo: quello – come sosteneva Bonald – di rendersi indipendente da coloro su cui è esercitato. L’esperienza italiana di più di un governo degli ultimi decenni, prova che, nella misura in cui sono in-dipendenti dal corpo elettorale (non eletti) tendono ad opprimere ancor di più i governati (v. IMU e così via). Anche perché se non dipendono dal popolo devono rispondere a qualcun altro che li ha intronizzati.
E il dialogo va avanti in frizzanti botta e risposta, che stigmatizzano i luoghi comuni della vulgata post-comunista, cioè il “pensiero” della decadente repubblica italiana. Anche se questo comprende molte tesi sostenute nel “secolo breve” e arrivate per forza d’inerzia fino ad oggi, la considerazione che se ne può tirare è questa: che se il comunismo è morto, il luogocomunismo sopravvive e neppure malamente. Il campionario di luoghi comuni, frasi fatte e pregiudizi consolidati è sempre vitale. Perché quella italiana del pamphlet è l’ideologia del potere: che questo sia più o meno rosso, nero o a pois, poco incide sulla di esso vocazione profonda. Come sanno i liberali come l’autore per i quali vale sempre la tesi del Federalista, che se gli uomini fossero angeli non occorrerebbero governi; se i governanti fossero angeli non occorrerebbero controlli sui governi. Ma dato che gli uomini non sono angeli, occorrono governi e controlli sui governi. Quello che Stolido non vuole capire.

Teodoro Klitsche de la Grange

Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


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