giovedì 9 giugno 2016

Declino e caduta del  discorso pubblico in Italia
"Dio, quanto ti odio!"



Gli insulti tra Grillo e Orfini non sono che uno dei tanti segni di declino  del discorso pubblico in Italia. Anche se, onestamente, da noi, il discorso pubblico, nel senso di civile legittimazione dell’avversario e di condivisione delle istituzioni,  non è mai decollato.  Ad esempio,  il Parlamento,  come sede di confronto e compromessi, non ha mai avuto molti simpatizzanti.  Si potrebbe parlare di una vita stentata fin dagli inizi. Piccolo ripassino? Sì.  
L’Italia liberale, visse, anzi sopravvisse,  accerchiata da rossi e neri (socialisti e cattolici). Fascisti e comunisti introdussero una visione bellica della politica.  Idem, gli antifascisti, soprattutto di sinistra. I democristiani, a loro volta,  nel  Dopoguerra,  smorzarono i toni, ma non avevano senso dello stato, che invece occuparono.  Infine, negli Novanta e Duemila, con l’insorgere dei populismi la situazione è precipitata: praticamente si è ritornati alla visione bellica della politica, tipica degli  anni Venti del Novecento,  totalmente estranea  alla dialettica delle istituzioni rappresentative.  Per dirla con  i nonni latini, il populista (come il fascista e il comunista)  agisce all’insegna del mors tua vita mea, invece dell’idem sentire de re publica… Insomma,  ci si muove come se il proprio partito dovesse agguantare il potere per sempre, ricominciando da capo ogni volta dopo aver passato a fil di spada i prigionieri.  Ad esempio,  oggi,  il M5S, come la Lega qualche anno fa,  parla di rivoluzione - altro che medesimo concetto dello stato... -  affiancato,  nell'opera di distruzione sistematica dell’avversario trasformato in nemico assoluto, anche da post-fascisti, post-berlusconiani, post-tutto. La visione bellica della politica, a differenza di quella polemica del politico (Freund), rifiuta l’idea di continuità istituzionale (attenzione, non solo costituzionale...) e  di contestualizzazione dell’avversario,  confondendo  il nemico del  campo di battaglia con l’avversario del conflitto politico-parlamentare.
Sotto questo aspetto, Renzi resta l’unico politico che può  incarnare, pur imperfettamente, un’alternativa moderata e civile, a questa visione bellica della politica.  Certo,  lo stesso Renzi, talvolta esagera. Purtroppo, il declino del discorso pubblico, come civile confronto, è giunto  così  in basso,  che nessuno sembra restarne indenne.
Inoltre, l’effetto (collettivo) di ricaduta  di un discorso pubblico di tipo bellico è fatalmente rappresentato, come sta  avvenendo,  da un elettorato in parte estremista e in parte passivo perché disgustato o deluso. Ciò significa che  minoranze violente, per ora solo verbalmente,  potrebbero impadronirsi del potere addirittura con il consenso indiretto  di un elettorato nella stragrande maggioranza anaffettivo, emotivamente “imbambolato”, come quelle popolazioni civili, post-bombardamento aereo,  che si aggirano frastornate  tra le macerie, incapaci di reagire. Nel nostro caso, macerie mediatiche. Perché i mass media  (social network inclusi)  non fanno nulla per attenuare i toni, anzi... Per non parlare dei danni, in termini di psicologia collettiva,  provocati dalla deriva giustizialista di parte della  magistratura...
Certo, non sarà per domani.  Però l’odio e il disprezzo per l’avversario non promettono nulla di buono. 
Carlo Gambescia        

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