Dopo la
strage di Istanbul
Ci si chiederà, dopo la strage di
Istanbul, perché gli aeroporti? Al di là delle questioni tecniche
(di tecnica terroristica), l’aeroporto, dal più piccolo al più grande,
rappresenta il viaggio nella versione più rapida, scintillante,
cromaticamente moderna, individualistica, quale scelta di libertà.
Si potrebbe dire, che l’aria dell’aeroporto rende liberi, come si diceva
un tempo delle allegre città che faticosamente si ergevano,
attraverso fiere e mercati, contro il fosco castello feudale. Pertanto,
colpendo un aeroporto si colpisce il simbolo, forse più rappresentativo e
concreto della libertà e del progresso occidentali.
E noi siano consapevoli di tutto
questo? E soprattutto siamo coscienti del fatto che il nemico ci
odia, perché, in ultima istanza, alla mobilità e
all’apertura al mondo, privilegia (e ci oppone) fissità e chiusura? Insomma, alle luci della città, la jihad continua a preferire le ombre del
castello... Ecco l'amara verità.
Si dirà, ma allora, se siamo così aperti,
moderni e liberali, perché non apriamo le nostre frontiere agli immigrati
? Non è cultura del viaggio, anche quella ? Rispondiamo subito. Innanzitutto, anche negli
aeroporti, simbolicamente parlando, si sono sempre fatti controlli e
implementate misure di sicurezza. Inoltre, l’Europa del dopoguerra non
mai hai negato asilo politico a nessuno. E ha accolto e accoglie quante
più persone ha potuto e può. Infine, a proposito di coloro
che si battono per la chiusura ermetica della frontiere, si tratta
di una posizione intransigente sposata dai settori politicamente più retrivi
della nostra società: il contraltare collettivo, psicologico e culturale,
quanto a fissità, di chi si fa esplodere negli aeroporti, seminando il terrore.
Come difendere allora la cultura
(liberale) del viaggio? C’è chi sostiene che dovremmo far finta di nulla.
Insomma, di continuare a viaggiare come nulla fosse. In verità
è ciò che continua ad accadere, nonostante qualche piccola
oscillazione dopo ogni attentato. Il che però paradossalmente incoraggia
l’inazione militare. Solo se gli attentati dovessero ripetersi a scadenza
sempre più ravvicinata, mettendo in crisi il consenso e il business,
allora forse i governi interverrebbero con la decisione necessaria. Altra amara verità.
Il che deve far riflettere -
lezione di metodo n. 1 - sul reale rapporto sociologico
tra i valori (la cultura liberale del viaggio) e le questioni elettorali
ed economiche (consenso e business), ossia sulla reale influenza dei primi (i
valori) sulle seconde ( gli interessi concreti). Influenza, che per ora non
c’è. Ciò significa che di regola - lezione di metodo n. 2 -
ci si muove ( e nel caso ci si muoverà) solo quando gli
interessi sono (e saranno) seriamente minacciati.
In modo paradossale, il valore
simbolico della cultura liberale del viaggio è perfettamente compreso (e perciò
disprezzato) proprio dai nostri nemici, che temendola si impongono di
distruggerla nel nome di una cultura dell’immobilismo. Noi invece, diamo tutto per scontato, al punto di aver dimenticato l’immenso valore
simbolico di salire su un aeroplano… Sicché in Occidente si
continua a viaggiare, ma, come dire, in chiave inerziale. Si è mobili,
come prima, forse più di prima, ma senza capire perché e dove
stiamo andando.
Carlo
Gambescia