venerdì 1 ottobre 2021

Crisi energetica. La Cina è vicina...

In Occidente si guarda alla crisi energetica cinese, per ora all’inizio, con l’occhio furbo del commerciante che sorride dei guai del proprietario del negozio vicino, certo di rubargli i clienti, approfittando dei suoi problemi In realtà, le cose non stanno così. Semplificando: la produzione mondiale del carbone risente delle misure prese dai vari G e qualcosa, in favore della famigerata “transizione energetica” che la Cina ha deciso di fare propria. Il che rivela la prima pecca del cosiddetto capitalismo di stato, ossia le “decisioni, tanto peggio per fatti”, per dirla con Lenin e Stalin, decisioni ovviamente prese in alto. Sicché, come in ogni economia di comando, si è deciso di ridurre, d’imperio, per parlare difficile, il ricorso al carbone. Come? Con chiusure e limitazioni di orario e produttive che riguardano tutta la catena, consumatori inclusi. Il che ha fatto scattare verso l’alto, il prezzo del carbone, perché la Cina è un bel pezzo dell’economia mondiale, Di conseguenza, i cinesi, primi nella classe nel consegnare in compitino ecologista, ora stanno facendo di necessità virtù… Insomma, il Pil di Pechino, già danneggiato dalla crisi epidemica, pardon pandemica (ancora combattuta a colpi di annichilenti, per l’economia, aperture e chiusure), invece di tornare a crescere, trainando l’economia mondiale, rischia di regredire, perseguendo così l’effetto contrario. Un disastro che alla lunga rischia di estendersi all’Occidente, già sotto scacco, per l’effetto di ricaduta delle disastrose politiche sociali ed economiche antiepidemiche, pardon antipandemiche. Perché è vero che nella vecchia Europa si consuma meno carbone, ma ciò accade principalmente perché i prodotti della filiera del carbone ora si producono in Cina. Il ruolo dell’economia cinese ricorda, per certi aspetti, quello della Gran Bretagna durante la rivoluzione industriale. E qui si pensi alle industrie cinesi ad alta intensità energetica, che producono acciaio, l’alluminio, cemento, i fertilizzanti,mobili, coloranti, prodotti chimici. Ma anche di rimbalzo all’ universo dorato della componentistica elettronica. Tutti settori, costretti dal governo cinese a chiusure e limitazioni di orario. Di conseguenza, se in passato qualsiasi calo produttivo cinese, anche il minimo, ha influito sul mercato europeo, anzi mondiale, figurarsi quel che rischia di accadere in futuro. Cosa vogliamo dire? Che chiusure e limitazioni accrescono il prezzo del carbone, rarefanno la quantità di beni prodotti, e insieme, crescendo i costi, aumentano i prezzi dei beni diretti e indiretti "made in China". Perché il dirigismo va a colpire quelle imprese occidentali che investono, producono o assemblano in Cina, beni poi venduti in tutto il mondo. Si chiama legge della domanda e dell’offerta. Roba dell’ Ottocento? Da liberali in cilindro, cravattone giallo spillato e bastone da passeggio? Non crediamo. Morale della storia: non c’è di che fregarsi le mani. La Cina è vicina. Infine, quanto sta accadendo a Pechino, impone una riflessione sull’imbecille teoria della “transizione ecologica”, sconsideratamente sposata dai governi occidentali (e come visto anche dalla Cina). Autolesionismo puro. Siamo infatti davanti al classico effetto perverso delle azioni sociali, soprattutto se esito di decisioni prese in alto, senza badare alle conseguenze. In realtà, la riduzione delle emissioni di gas serra, frutto avvelenato del catastrofismo ecologista, rischia di innescare una crisi economica catastrofica. Quindi di peggiorare le condizioni di vita della gente. E non di migliorarle, come invece si dichiara ai quattro venti. Le buone intenzioni, ammesso e non concesso, come in questo caso, che siano buone, non bastano. Soprattutto quando sono frutto di quel dirigismo politico – ripetiamo il concetto per i sordi ideologici – che non tiene in alcuna considerazione la legge della domanda e dell’offerta. (Carlo Gambescia) P.S. Ci scusiamo per la formattazione. Ma purtroppo per il momento meglio di così...

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