lunedì 18 ottobre 2021

l rastrellamento del 1943. Tornarono in sedici…


 

 Lo sterminio degli ebrei resta una pagina terribile, probabilmente la più oscura in assoluto, nell'intera storia delle assurdità umane.  Due giorni fa, il 16 ottobre, Roma ha commemorato i 78 anni dal rastrellamento nazista  del  ghetto di Roma e di altri quartieri della città (*).

In 1259 ( 689 donne, 363 uomini e 207 bambini),  furono prelevati all’alba nelle loro case. In 227 vennero rilasciati, perché appartenenti a “famiglie miste”.  Più di mille partirono, chiusi in carri ferroviari riservati al bestiame,  per l’ultimo viaggio della loro vita. Tornarono in 16, quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino scomparsa nel 2000.

Su questa tragedia, di cui il rastrellamento romano è solo un tra i tanti tristissimi episodi, si sono interrogati storici, sociologi, filosofi, teologi.  

Si è parlato di follia hitleriana come di lucido disegno nazista. Ci si è domandati, soprattutto i credenti, dove fosse dio quando le vite di quei bambini venivano spente.  Infine c’è chi ha ricondotto lo sterminio degli ebrei alla moderna macchina eugenetica dello stato sociale, non solo nazista.  

Difficile dare una risposta definitiva. La storia, fin dai tempi  più antichi, ha mostrato, si pensi solo alla macchina bellica assira, deportazioni e   uccisioni di massa, più o meno attuate  con metodo, o comunque con sistematicità rivolta a colpire la riproduzione sociale e demografica dei popoli ferocemente designati come nemici. E qui va ricordato, che gli Assiri  con il popolo ebraico, si "limitarono", per così dire,  alla deportazione...

Il che però  non significa   che l’unicità di quanto è accaduto nei campi di sterminio nazisti  possa essere messa in discussione. Dov’è però  la differenza, tra  le donne e i bambini dei popoli conquistati, il più delle volte passati a fil di spada dai soldatacci assiri,  e le donne e bambini ebrei uccisi nelle camere a gas?

La differenza è nel fatto che  quelle donne e quei bambini sono stati eliminati in un’ epoca che rivendicava, quasi ogni giorno,  il valore della pace, della comprensione, del rispetto.  Valori  che tremila anni fa, molto  prima dell’avvento della moderna cultura illuminista,  non venivano ritenuti,  validi a prescindere. Insomma  validi  di per se stessi, riprodotti in libri, carte, dichiarazioni, eccetera, nonché  praticati, pur con grande sforzo.

Detto altrimenti,  nell’epoca della tolleranza si è ucciso in nome dell’intolleranza. E proprio   questo fa la differenza, tra il prima e il dopo: tra gli assiri e i nazisti.  

Lo stesso cristianesimo, rispetto all’illuminismo,  ha dato notevoli prove di intolleranza. Quindi lo spartiacque è rappresentato dall’illuminata cultura della tolleranza.

Non si può più  uccidere, a cuor leggero,  dopo che si è stabilito che l’uomo, ogni uomo, è valore di per se stesso. E che  di riflesso le sue idee, le sue credenze, vanno rispettate.  

Come detto, esiste una norma regolativa accompagnata da uno sforzo pratico, persino diffuso.  Perciò, se si può ancora assolvere il soldataccio assiro, non si può assolvere quello nazista, perché sapeva perfettamente  ciò che faceva. Qui l’unicità morale  dell’Olocausto. La tesi andrebbe però  estesa a tutte le moderne ideologie che  giustificano l’uso delle violenza finalizzata a uno scopo sociale e politico.

Va però anche detto che l’Illuminismo -  come l’umanesimo che lo precede -  non può essere  interpretato come un blocco unico. Le idee di socialismo e di nazione, intese in chiave integrale,  ne sono  un portato, come quella contraria di un liberalismo tollerante e dialogico. Idee che spesso si sono intersecate tra di loro, con risultati, per così dire, non sempre riusciti, come nel caso del nazionalsocialismo.

Come si intuisce, le cose non sempre sono chiare. Fermo restando che il soldato nazista, rispetto al soldato assiro, uccideva, pur sapendo ciò che faceva.

All’inizio abbiamo parlato di assurdità, di  qualcosa di contrario alla logica del pensiero. Infatti è assurdo che una cultura della tolleranza si comporti in modo intollerante, negando e contraddicendo, assurdamente, i suoi stessi principi.

E qui si apre, intorno a noi, ciò che si può chiamare il vuoto storico e politico. Una sensazione di vertigine, di vuoto che può risucchiarci, sensazione che nasce dalla terribile consapevolezza dall’imprevedibilità della storia umana, che rinvia alla imprevedibilità dei comportamenti umani. Pertanto, triste ammetterlo,  tutto è possibile.

Però, ecco il punto,  che poi  sia probabile, dipende da noi. In quel "tutto è possibile" c’è un punto di intersezione  tra la norma regolativa (tolleranza e dialogo) e le costanti politiche (come la tendenza degli uomini a dividersi, spesso in modo violento,  in amici e  nemici).  

Un punto di snodo che sta agli uomini, soprattutto se al comando, individuare, per evitare che sia passato il segno, aprendo le porte alla violenza assoluta e assurda.     

Di qui, l’importanza degli  studi sociali e della buona politica, come pure della buona  memoria. Cioè  di ricordare eventi come quello del rastrellamento del 16 ottobre 1943.

Perché, per quanto umanamente possibile,  non si ripetano più.                                                  

Carlo Gambescia

(*) Per  dati e  indicazioni di lettura si veda:   http://biblioteca-provinciale.cittametropolitanaroma.gov.it/news/16-ottobre-1943-rastrellamento-del-ghetto-di-roma . Fondamentale in argomento, M.Cattaruzza, M. Flores, S.  L. Sullam, E. Traverso Storia della Shoah, Utet, Torino, 2006, 5 voll.

 



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