mercoledì 20 ottobre 2021

Sullo spirito borghese. La risposta di Bernard Dumont (e una mia replica)

 


Ringrazio innanzitutto l’amico Bernard Dumont, direttore di “Catholica”,  per  la gentilissima replica  al mio post (*),  addirittura  dalle pagine della  prestigiosa rivista. Lo considero un onore. Ho tradotto personalmente il suo articolo.

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Rilevo due appunti di Dumont,  ben argomentati tra l’altro. Ai quali provo a ribattere. Il primo è di tipo metodologico, il secondo,  rinvia invece ai contenuti.
 

Questione metodologica. Dumont, sottolinea  che dietro le azioni umane, a differenza di quel che sostengo,  c’è sempre un qualche piano, e che il compito dei sociologi, dei filosofi, dei teologi eccetera, è quello di individuarlo, usando schemi e per l'appunto concetti. Ovviamente ex post.  Come  non posso essere d’accordo  su quest'ultimo punto?  Invece la vera questione  è che gli attori storici, ex ante,  non  ne sono mai consapevoli.

Questione contenuti.  Dumont riconduce la percezione del piano da parte  di alcuni  attori storici alla condivisione di una mentalità comune.  In realtà, nel caso  esaminato,  si tratta  di uno stato d'animo:  qualcosa di fuggevole, indeterminato. Per contro,   lo spirito e la mentalità sono invece qualcosa di permanente, determinato. Tra stato d’animo capitalista e spirito capitalista c’è la stessa differenza che passa tra la risposta a  un sondaggio politico  e una decisione politica effettiva. I due aspetti non possono essere confusi. Lo stato d'animo - semplificando - non costituisce prova di reato costruzionista. A meno che non lo si voglia forzatamente ricondurre nell'alveo della mentalità. 
 

Quanto, infine,  alla questione della società di massa, ammesso e non concesso che si possa parlare di mentalità e spirito,  parlerei,  ribadendo quando  ho già scritto, di spirito e  mentalità statalista  piuttosto che capitalista. Sarebbe perciò preferibile non fare confusione. Ripeto, liberalismo, capitalismo e altri fenomeni moderni  non possono essere giudicati in blocco, né tanto meno  sulla base di gerarchie morali. O, per ciò che rinvia ai contenuti,  non distinguendo  tra stato d'animo e mentalità.  E, comunque sia, dal punto di vista della storia delle idee come dello sviluppo sociologico e storico effettivi,  tra Guizot e Macron, come scrivo, esiste  un abisso.  Non aggiungo altro...

Carlo Gambescia         


(*) Qui il mio post:  https://cargambesciametapolitics.altervista.org/sullo-spirito-borghese/


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"Lo  spirito borghese"  

("Catholica"  n. 153 - Autunno 2021, pp. 108-109)


di Bernard Dumont


A seguito del mio  editoriale, uscito sul  numero precedente di Catholica (1), che riprende nel  titolo un’ espressione del filosofo Augusto Del Noce,  Carlo Gambescia, sociologo e saggista romano,  membro del consiglio scientifico della nostra rivista, ha pubblicato sul suo blog una interessante  analisi  del  mio testo  (2),  dai toni amichevoli,  ma  ponendo  due obiezioni.

La prima  è che gli individui perseguono i propri interessi e la società borghese che ne derivò,  fu  priva di un piano prestabilito;  solo dopo si è stati  in grado di identificarne  la continuità logica, come mostrano  i lavori di  Weber, Sombart e Scheler. Tuttavia, egli prosegue, la storia delle idee (nella sua logica) non restituisce  quella della storia sociale (nella sua complessità).

La seconda, continua Gambescia,  è che non si deve stabilire alcuna  continuità storica tra la  borghesia delle origini, la cui piena realizzazione rinvia  al XIX secolo, e il mondo che viene dopo, che per molti aspetti ne differisce: da una parte, sistema censitario e liberalismo economico, dall’altra benessere e consumo di massa sotto un  regime dirigista. In qualche modo, l’insistenza  sulle idee, come fattore relazionale,  finisce per distorcere la realtà. Non  esiste infatti alcun  legame tra società di massa e spirito borghese.

Le critiche così formulate,  sono ben articolate.  il che permette di constatarne l’ esattezza, come pure, forse, per alcuni punti, l’inadeguatezza.

Che la situazione economica e politica, così come il modo di  vita  borghese, si siano formati in modo imprevisto in una parte della società che all’origine costituiva una piccola élite prima ancora di diventare un modello sociale, resta una questione  che può essere discussa  secondo il punto di vista dal quale ci si pone.

Certamente,  gli imprenditori (e in particolare i "parvenu"  del Periodo Rivoluzionario e dell’Impero) si lanciarono nella  corsa verso il  profitto con quello spirito ben  definito da Adam Smith, e poi riassunto  nella  famosa parola d’ ordine di Guizot: “Arricchitevi”.  Perciò   non è   impreciso dire  che  un  piano ha  guidato  questo fenomeno sociale. La corsa all’arricchimento non è  solo il portato di   una  somma di desideri individuali, ma prima di tutto una passione sufficientemente condivisa ed espressa in modo che potesse  essere legittimamente considerata come l’ espressione di una mentalità. Lo spirito borghese, per l'appunto. O no?

Dal momento che tale identificazione può essere tratta dallo studio della realtà sociale per un lungo periodo,  non si capisce perché debba essere liquidata come un costrutto mentale realizzato dopo il fatto. Del resto   non è proprio questo il lavoro dell’analista, che sia  sociologo, storico,  filosofo, teologo o altro?

Carlo Gambescia, fondando   il suo disaccordo su un’opposizione tra idealizzazione e realtà effettiva, vede invece nell’identificazione dello "spirito borghese" e il suo dispiegamento nel tempo una ricostruzione intellettuale che non tiene conto delle discontinuità.

A ciò risponderemo che lo spirito borghese in questione non è anzitutto un fenomeno di  ordine intellettuale  ma  morale. Vi è  sottesa una certa concezione della vita umana, della relazione dell’uomo con gli  oggetti e con il   denaro.  La gerarchia dei beni (utili, “onesti” -  ossia corrispondente alla natura ragionevole dell’uomo -,   spirituali),  implica nella sfera  pratica una risposta. Ciò  può o non può essere ordinato,  ossia  definito  in relazione a un  bene ultimo, misura di tutti gli altri beni, ognuno  secondo il suo grado. La coscienza di questa scala di valori si trova già nelle società tradizionali, ed è soprattutto spiegato in modo molto chiaro ed esteso nel Vecchio come nel Nuovo Testamento  e quindi, per ricaduta, profondamente  presente  nel mondo cristiano. Così come per esempio  nelle infinite  lodi  per celebrare i santi: “Beato il ricco che si trova senza macchia
e che non corre dietro all'oro" ("Ecclesiastico" 31,8). Non va  dimenticato  che è proprio  l’accresciuta passione per il lucro che dà libero sfogo alla nascita dello spirito borghese. E che  suscitò la risposta profetica di san Francesco d'Assisi.

Rimane la questione di quella che sembra essere una contraddizione in termini: come può esistere una borghesia di massa,  dando per scontato che la borghesia costituisce  solo una minoranza nella società globale, un’oligarchia di denaro e potere. L'era della borghesia  non può  essere che  quella del  XIX  secolo, mentre il XX  resta  molto diverso. Ricordiamo che si  tratta sempre di  "spirito" borghese, che Del Noce vedeva diffondersi “allo stato puro”, già all’indomani del maggio 1968.

La borghesia, naturalmente, costituirà sempre una minoranza sociale, definita dal denaro, dal  potere e in  certa misura  dalla  distinzione culturale, per acquisizione come  per imitazione.  In quanto tale, può riunire  solo un numero  più o meno ristretto di individui e su una  scala sociale variabile (intellettuali molto ricchi, socialmente riveriti, bobos...).

Tuttavia la  borghesia sembra essere  onnipresente nel desiderio, tanto più intenso nella società di massa quanto più i  media di ogni genere si mostrano  pronti  ad eccitarlo (3).  Nei  paesi dell’Est, la mentalità borghese degli ex dirigenti, convertitisi in oligarchia estremamente ricca,  si è subito diffusa tra la  popolazione,   come prova in particolare la   schiacciante preferenza dei giovani per gli studi di tipo  economico-commerciale.

La borghesia effettiva,  quella degli “eredi” descritti da Pierre Bourdieu,  rimarrà sempre, per status,  nelle mani di un  piccolo numero. Tuttavia  l’aspirazione all’inclusione, all'adozione di  alcuni   modi  di comportamento, e,  prima di tutto,  certa mentalità,  sembrano  diventare  patrimonio  sempre più  esteso di larghi settori della società.

Agli albori della modernità, i primi borghesi giocavano a  fare i  nobili, oggi  è tra le   masse che  possono incontrarsi comportamenti simili. Grazie, oltretutto, alla capacità di pressione sociale di tutta una serie di  veicoli  mediatici.

È vero che se  in futuro una piccola minoranza, dotata di immense ricchezze, dovesse offrire al resto dell’umanità nient’altro che la  scelta dell’austerità, il sogno potrebbe cessare e lo spirito borghese, giunto al  suo stato più puro,  tornare  di nuovo ad essere... patrimonio di pochi eletti.

Bernard Dumont


(1) Bernard Dumont, "L’esprit bourgeois à l’état pur" (Catholica n. 152,  Autunno 2021, pp. 4-15; online: https://www.catholica.presse.fr/2021/11/10/debat-lesprit-bourgeois-suite/ ) .
(2) Cfr.  https://cargambesciametapolitics.altervista.org/sullo-spirito-borghese/   (14 juillet 2021).
(3) Vedere, tra gli altri, François de Negroni,  "Le BCBG et les usages de masse de la distinction", Communications (n. 46, 1987), pp. 315-319 ; Jean-François de Vulpillières, "Le printemps bourgeois", La Table Ronde, 1990.

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