mercoledì 6 ottobre 2021

A che serve la sociologia?

Un lettore, Roberto Bacis, sulla pagina Fb, in risposta a un mio post in cui indagavo cosa si nasconde sociologicamente dietro il “buonismo”, mi ha posto il seguente quesito: “Molto interessante. La sociologia insegna a chi la comprende. tradurre un pensiero alto è sempre difficile se i lettori non sono preparati. Questa è la questione. Cultura, Intelligenza e passione vanno trasmesse alle generazioni. che si può fare?” In pratica, mi ha chiesto lumi sullo scopo e sul valore della sociologia. Tenterò di rispondere. Innanzitutto, ritengo che “il” pensiero sia sempre alto. Di qui, tre precisi limiti: 1)la selezione sociale degli esperti, che proprio perché tali non possono essere che pochi; 2) gli inevitabili specialismi, perché ogni scienza ha la sua cassetta degli attrezzi: concetti, definizioni, eccetera; 3) l’ insopprimibile difficoltà di comprensione ed estensione di un sapere che è alto, proprio in senso figurato, perché non è “a portata di mano” per una serie di ragioni: tasso di intelligenza, volontà di applicazione, inclinazioni personali, interessi individuali, e così via. Gli specialisti, come dicevamo, non possono essere che pochi. Ciò significa che intelligenza, cultura e passione non possono essere trasmesse: o ci sono o non ci sono. Certo, si può sempre provare a semplificare. Però l’idea stessa di semplificazione, portata oltre un certo limite, diciamo di “sicurezza” cognitiva, rischia di conferire al pensiero alto, quindi anche sociologico, la falsa idea che sia alla portata di tutti. E nella scienza non esistono scorciatoie. E per le ragioni appena ricordate. Da sociologo, attento alle questioni di sociologia della conoscenza (cioè di studio del rapporto tra sapere, società e politica) posso dire che l’idea di trasmettere alle nuove generazioni, “cultura, intelligenza, passione”, rimanda a una visione della realtà che considera la società e gli uomini che la compongono una specie di tabula rasa antropologica e sociologica. Si noti, come qualcosa che può essere fatto e disfatto a piacimento. Si tratta di un’idea, abbastanza pericolosa, alla base del pensiero politico moderno. A sua volta fondato sull’idea, senza dubbio nobilissima, di uguaglianza. Che però, di riflesso, porta gli uomini a illudersi sul potere dell’istruzione e dell’educazione. Un potere giudicato capace di far progredire, inevitabilmente, tutti gli uomini sul piano morale e culturale. Per capirsi: le famose “sorti progressive” sulle quali ironizzava Leopardi. Si tratta di un’idea sociale che proietta sulla realtà, marchiata invece dalla profonda differenza di intelligenza, volontà, inclinazione tra gli uomini, aspirazioni di tipo umanitario. Piaccia o meno, ma l’uomo, antropologicamente parlando, è lo stesso da migliaia di anni. Il che non significa negare l’utilità dell’alfabetizzazione, come dei cicli primari, secondari e universitari di istruzione e formazione. Come pure il valore dell’ingentilimento dei consumi e dell’uguaglianza dinanzi alla legge (quindi di “partenza”, non di “arrivo”, garantito per tutti). Ci mancherebbe altro. Concesso questo, non va però negato che l’alta cultura e il pensiero alto non possono essere patrimonio di tutti. La preoccupazione del lettore Bacis di trasmettere alle generazioni, eccetera, eccetera, è una preoccupazione di tipo politico non sociologico, dalle forti inflessioni umanitarie, per carità, nel suo caso, presumo nobilissime. Però fuori dal raggio di azione cognitiva del sociologo. Sempre che non si consideri la sociologia come una specie di ancella dei vari progetti politico-umanitari, dal welfare state al socialismo. Cosa però che rischia di trasformare il sociologo in assistente sociale. In altro, insomma… Allora di che cosa si occupa la sociologia? Per non farla troppo lunga, ricordo brevemente tre possibili campi di indagine. In primo luogo, dei fenomeni inerziali: di ciò che è costante e si ripete, come ad esempio le abitudini e i pregiudizi. Penso, alla tendenza a ripetere ed emulare i comportamenti. Che è tendenza generale. Per fare un esempio, che può apparire curioso, anche la stessa creatività, se estenuata, si trasforma in una creatività fine a se stessa, quindi in stereotipo inerziale, in qualcosa che si ripete, privo di senso, se non nella ripetizione stessa. In secondo luogo, la sociologia si occupa degli effetti imprevisti, spesso perversi, delle azioni sociali. Effetti che possono essere causati da azioni individuali e istituzionali (dalle persone come dai governi, ad esempio). L’osservazione sociologica insegna che i processi sociali (e politici) prescindono dalle buoni intenzioni. Detto altrimenti: si vuole il bene si ottiene il male o comunque un’altra cosa. Per fare un esempio molto facile: un governo che sussidi oltre un certo limite la disoccupazione, disincentiva la ricerca di lavoro, penalizzando il lavoratore stesso che si trasforma in un disoccupato cronico. Il che va incidere sull’etica del lavoro, eccetera, eccetera. Va ricordato che, a differenza di ciò che si crede comunemente, quanto più l’azione è di tipo istituzionale tanto più gli effetti, disattendendo le finalità, sono ingestibili. E questo per ragioni legate all’ignoranza cognitiva nei riguardi di una catena di azioni, praticamente incontrollabile, perché legata alla burocratica esecuzione di ordini esecutivi, che il corso degli eventi, sempre mutevole, rende già superati al momento di essere portati a effetto in relazione a finalità, come detto, superate dagli eventi stessi. In terzo luogo, la sociologia si occupa dei cosiddetti sistemi di coerenza, tra idee e pratica. Ad esempio, la logica di mercato non è la logica del socialismo (come quella del fascismo del resto). Nel primo caso i prezzi sono fissati dal mercato, nel secondo dallo stato. Ognuna delle due logiche sociali è fonte di conseguenze precise, disastrose nel secondo caso. Pertanto, la coerenza assoluta tra principi e pratica socialista è rovinosa. Come del resto è rovinosa, la commistione tra logica di mercato e logica socialista. Infatti, le due logiche partendo da principi incompatibili, una volta “calate” insieme nella pratica, mostrano i peggiori difetti dell’una e dell’altra: corruzione e inefficienza produttiva, come prova il cattivo funzionamento ad esempio dell’ economia mista italiana, indebitata e corrotta. Concludendo, la sociologia è una scienza a guardia dei fatti, che studia le cose come sono e non come dovrebbero essere dal punto di vista di questa o quella ideologia. E i fatti, spesso sono sgradevoli. In questo senso la sociologia può essere definita una scienza triste. Certo, dire queste cose mi trasforma in persona antipatica, non alla moda. Figurarsi poi su Facebook… Antipatico, perché dico il contrario di ciò che afferma la sociologia, buonista, umanitaria, eccetera, oggi in voga. Però così stanno le cose. Piaccia o meno. (Carlo Gambescia) P.S. Ci scusiamo per la formattazione. Ma purtroppo per il momento meglio di così...

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