martedì 26 ottobre 2021

 


 

 

 

Innanzitutto ringrazio di nuovo  il professor Giovan Giuseppe Conte  per l’attenzione e per le gentili parole nei miei riguardi. Un piccolo e amichevolissimo rimprovero  all’amico  dottor Alessandro Litta Modignani: si è sentita la mancanza di un suo contributo. Ringrazio anche il professor Carlo  Pompei,  carissimo amico tra l’altro, per il suo illuminante  commento sui “vasi comunicanti”.

Ritengo questi  “piccoli dibattiti”. come ho scritto ieri,  molto interessanti e importanti, perché, se di qualità, come in questo caso, integrano  il mio lavoro di ricerca,  consentendo il   confronto  e la  riflessione.  Sicché, per effetto di ricaduta intellettuale,  finiscono sempre per confluire, in qualche modo, come una lezione, una conferenza, un dibattito “in presenza”, nei miei libri (*).

Deve  dire che mi ha colpito in particolare il commento  del signor Francesco Borgogna. In primis, ricambio i suoi  gentili saluti. In secundis,  pubblico  (spero gradisca...) il suo intervento, che reputo molto interessante, non solo in sé, ma soprattutto  dal punto di vista della sociologia della conoscenza, come studio del rapporto tra idee e realtà.

Ecco  il suo  testo.

«Con tutto il rispetto per il sociologo e saggista Carlo Gambescia, che saluto approfittando di F B, faccio notare che per i socialisti liberali, quale mi ritengo, e' indifferente l'etichetta alternativa di " liberal- socialista", perche' non si tratta di un semplice sostantivo accompagnato da aggettivo, ma di un solo inscindibile concetto: l'unione di liberalismo e socialismo. Per noi non ha gran senso ne' il liberalismo da solo ( che se esalta la liberta' individuale ne mortifica la solidarieta') ne' il socialismo ( che se salvaguarda la giustizia sociale trascura la liberta' individuale). Non si tratta di dare prevalenza al termine " socialismo" ( da cui " socialismo liberale") o al termine " liberalismo ( da cui " liberal-socialismo"). La verita' e' che, nel percorso storico, secondo le circostanze, puo' sentirsi ora maggiormente l'esigenza di tutelare la liberta' individuale, ora la solidarieta' e la giustizia sociale, ma sempre in ottica di un equilibrio totale. Per quanto riguarda la differenza tra socialdemocrazia e socialismo liberale, la discriminante non e' " una certa dose di anarchismo o antistatalismo del socialismo liberale" .Al punto X del Decalogo di Carlo Rosselli in Socialismo Liberale e' scritto:" Il socialismo non si decreta dall'alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso,nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura". Questo non vuole dire affatto "autogestione" ma significa costruire dal basso uno Stato rispettoso della pluralita' di espressioni della societa', che si alimenta della ricchezza e della pluralita' delle rappresentanze. E l'errore della socialdemocrazia e' proprio quello di intendere che tutto parta dallo Stato per arrivare ai cittadini, il che - paradossalmente - fa assomigliare la socialdemocrazia al marxismo e comunismo molto più del socialismo liberale o liberal- socialismo che dir si voglia».

Tutto quel  che  vi si legge è giustissimo, o comunque accettabile  sul piano della storia delle idee.

Dicevo sociologia della conoscenza. Per quale motivo? Perché, quando si passa dal piano della storia delle idee a quello sociologico, le cose cambiano. 

Per capirsi, non si può fare sociologia  - attenzione, ripeto,  sociologia non storia delle idee -  della Chiesa cattolica sulla base dei dieci comandamenti o del messaggio evangelico. La Chiesa sociologicamente parlando è un’istituzione e una professione che risponde a determinati criteri reali, sociologici, concreti, di fatto.  Criteri reali  che non possono non entrare in conflitto con i principi evangelici. Che ovviamente hanno un valore regolativo ispirato all’etica dei principi, etica  che però non può non  fare i conti, quando calata nella realtà, con l’etica della responsabilità, che tiene conto dei mezzi e non esclusivamente dei fini.

Cosa voglio dire? Che la  rappresentazione del socialismo liberale, dei dieci comandamenti  di Carlo  Rosselli (sia detto senza alcuna ironia, ci mancherebbe altro),  è sicuramente aderente ai testi,  ma non alla realtà delle cose. 

Nei fatti il socialismo liberale è dovuto  scendere  a patti, con la realtà. Di qui, per fare solo un esempio: il  corporativo trade-off tra stato, sindacato e mercato accettato di fatto  da  governi che sostengono di difendere la causa del  pluralismo  socialista e liberale insieme. E che invece si comportano come socialdemocratici tout court. 

Certo, si può rispondere, che quello di molti governi  attuali non è il vero liberal-socialismo, socialismo  liberale o come lo si voglio chiamare. E che con la forza dell’educazione dal basso il pluralismo si svilupperà in futuro, eccetera, eccetera. 

In realtà si tratta di un atto di fede.  Sugli  effetti  positivi dell’educazione e sulla partecipazione nella società di massa, pedagogisti e sociologici nutrono molti dubbi. Come del resto economisti e  politologi  sul socialismo dal basso o dall’alto che sia.

Certo, i Dieci Comandamenti del cristianesimo sono sublimi, come per molti aspetti è edificante  il  Decalogo di Carlo Rosselli, ma la società   funziona  in altro modo: via meccanismi di tipo spontaneo, selettivo-evolutivo, legati alla ricerca e promozione  degli interessi individuali, spesso mescolati  a valori e credenze diffuse a livello di senso comune tacito.  Sicché,  spesso le buone intenzioni dei grandi riformatori, pindariche,  non bastano,  perché  rischiano sempre di  infrangersi  contro le dure rocce di una realtà sociale che vola a bassa quota. 

Quale causa più nobile di quella Marx ed Engels?  Eppure i pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.

Certo, dal punto di vista di questo o quel decalogo ideologico,  come idea normativa, si troverà sempre una ragione per difendere gli errori e prendersela magari con la stupidità umana.  Non si è rispettato questo, non si è rispettato quello... L’uomo è un cretino oppure  non si applica, eccetera, eccetera.

E qui torniamo al liberalismo che non è mai stato un’ideologia, un progetto disegnato a tavolino, come il socialismo marxista,  se non quando è stato attaccato dai suoi avversari ideologici nel Novecento.  E lì le cose si sono  complicate anche per il liberalismo costruttivista, di cui  il socialismo liberale resta  un esempio.

Un passo indietro.  La società capitalista è sorta sulla base di spontanei meccanismi sociali: nessuno sapeva ciò che si stava costruendo, E lo stesso vale per il liberalismo, termine, entrato nel vocabolario politico all’inizio dell’Ottocento.  Ma lo stesso si potrebbe dire per fenomeni storici, pur dissimili,  come l’Impero romano e il Feudalesimo.

Sotto questo aspetto,  resta più aderente ai fatti   il binomio sociologia e libertà: che accetta  da un lato (quello sociologico) la natura  spontanea della  dinamica sociale,  frutto, dall’altro (quello della libertà), di  una interazione non finalizzata intenzionalmente a nessun disegno epocale. Un' interazione che rinvia al semplice scambio sociale  tra individui  mossi da  libere finalità individuali. 

Purtroppo, il costruttivismo sociale, imperniato sull’idea di poter costruire a tavolino (quindi delle  “buone intenzioni" ), ciò che la sociologia sostiene invece impossibile (quindi  dell’ etica della responsabilità), è un  fenomeno che abbraccia la storia delle ideologie otto-novecentesche,  dalle varie forme di socialismo,  come detto,   fino ai più truci  fascismi e comunismi 

L’idea di poter cambiare  "à la carte", uomini e società, che in realtà cambiano, quando cambiano,  solo lentamente e spontaneamente nei secoli (si pensi alla lenta  penetrazione del cristianesimo nell'Impero romano),  è frutto di un errore cognitivo: si ritiene la norma superiore ai fatti; il dover essere all’essere;  le istituzioni all’individuo. In realtà, le norme spesso sono interpretate dai singoli o restano inapplicate perché troppo esigenti. Il dover essere, come ogni etica dei dieci comandamenti, disatteso, per privilegiare la logica dell’essere fondata sulla  spontanea  dinamica dell’interazione sociale tra individui,che può essere conflittuale come cooperativa.

Il punto  è che concordia e discordia non possono essere imposte per legge. Come del resto la cultura è  una cosa, la scuola un'altra. 

Al riguardo, si ricordi la sorte che ha tristemente accomunato, nei disastrosi esiti,  i grandi costruttivismi, pur  differenti nelle intenzioni, del nazionalismo fascista e del socialismo sovietico.  

Di qui, il grande valore, di  un liberalismo, come ho detto ieri, realista, certamente “triste” (**),  che prende però  atto  della  reale dinamica sociologica, che come il dio manzoniano, atterra e suscita, affanna e consola. Senza quindi  ricorrere a decaloghi di qualsiasi  genere.                                   

Carlo Gambescia

 

(*) Qui i miei tre interventi: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/dal-pci-ad-hammamet/  ; https://cargambesciametapolitics.altervista.org/e-possibile-un-socialismo-liberale/ ; https://cargambesciametapolitics.altervista.org/liberalismo-sociale-no-manzoniano/

 (*) Sulla questione rinvio al mio “Liberalismo triste”: https://www.libreriauniversitaria.it/liberalismo-triste-percorso-burke-berlin/libro/9788876064005  . Anche in  castigliano:  https://edicionesencuentro.com/libro/liberalismo-triste/


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