giovedì 7 ottobre 2021

A. James Gregor, il Max Weber del fascismo

Il titolo non inganni, il richiamo a Max Weber è onorifico. Va inteso nel senso di una sociologia del fascismo, quella di Anthony James Gregor, come campo di studio e volontà di sapere, che rimanda, per qualità euristica, al grande scienziato sociale di origine tedesca, attento anch’egli alla storia, senza rinunciare agli schemi della sociologia, Gregor, figlio di italiani emigrati negli Stati Uniti, i Gimigliano (questo il cognome originale), classe 1929, è mancato nell’agosto 2019 all’età novant’anni, ancora lucidissimo, come si legge nell’ eccellente raccolta a lui dedicata, curata da Antonio Messina. In cui sono pubblicati, per i tipi di Rubbettino, gli atti di un incontro seminariale su Gregor svoltosi il 2 dicembre 2020 in webinar, organizzato dalla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice (*) Si presti attenzione: assonanze con Weber, non solo euristiche, ma anche politiche. Si pensi all’amore per la patria tedesca di Weber e a quello di Gregor per la nuova e antica patria, Stati Uniti e Italia. Ma si scorge anche, per tornare all’angolazione metodologica, lo stesso gusto weberiano di rovesciare gli schemi: dove Marx, con il tono del profeta biblico, vedeva l’economia, Weber, con il pragmatismo del vero scienziato, scorgeva la mentalità collettiva, se si vuole lo spirito invece della materia. Di riflesso, dove non pochi storici scorgono tuttora nel fascismo gelatinosi determinismi di tipo morale, talvolta a sfondo addirittura psicotico, oppure vincoli di natura economica o classista, Gregor vede all’opera la nazione, come spirito in atto, volontà di riscatto, voglia di modernità: miracoli nomotetici delle scienze sociali. E di una visione del fascismo filtrata culturalmente attraverso l’attualismo gentiliano, però ben temperato con il ferro il fuoco dell’euristica idealtipica. Il diavolo e l’acquasanta, se ci si passa la battuta. Lo stesso concetto, coniato da Gregor, di “dittatura di sviluppo” (“developmental dictatorship”) a proposito del fascismo italiano, sul quale si insiste molto nel volume a fuoco alzo zero sulla storiografia e la pubblicistica antifascista (per dire le cose come sono), che con la scusa del minimalismo, fa ( e non è solo un gioco di parole) di ogni erba un fascio, anzi un ur-fascio… Lo stesso concetto di “dittatura di sviluppo”, dicevamo, non rimanda ai freddi determinismi dell’ideologia ma alla lava incandescente dei comportamenti collettivi, filtrati, o meglio ancora, passati al vaglio della modellistica delle scienze sociali. Senza però mai esagerare, si badi, in astrattezze. È, pur vero, come si legge, che dietro, la tesi del “fascismo generico”, avversata da Gregor, c’è l’idealtipo di Weber (si veda l’intervento di A Messina. "A. J. Gregor e la costruzione di un modello idealtipico tra storiografia e scienze sociali”, pp. 39-66). Però c’è idealtipo e idealtipo: la scienza politica e sociologica di Gregor non è una scienza pura del potere, in qualche misura minimalista. Come ben osserva Corrado Stefanachi (“La rilevanza degli studi di A. James Gregor sul fascismo per le relazioni internazionali”, pp. 103-126), siamo davanti a un’opera che rappresenta “una pagina importante nel gran libro della politologia”. Si potrebbe dire un ragionare per millenni, o comunque per secoli, che porta Gregor a inquadrare il Novecento, nel tessuto storico e sociologico pregresso. Sotto questo aspetto si potrebbe parlare di massimalismo metodologico, lo stesso che animò Weber nei suoi studi sulla costituzione di Weimar. Sotto questo aspetto resta particolarmente interessante, per ragioni fondative, il saggio in cui si sfiora l’importanza della questione metodologica in Gregor dedicatogli da Philip W. Gray (“A. James Gregor: Developmental Dictatorship to Political Religion. Method and Science”, pp. 87-101), nel quale è giustamente preso in considerazione uno stupendo lavoro metodologico di Gregor: “An Introduction to Metapolitics. A Brief Inquiry into the Conceptual Language of Political Science”, The Free Press, New York 1971, 2° ed. Transaction Publishers, New York 2003, con il titolo però, meno in odore di “destra” (ma questa è un’altra storia…), di “Metascience and Politics”, eccetera. Infatti, non si possono comprendere i suoi studi sociologici sul fascismo, senza indagare l’enorme lavoro di Gregor sull’affinamento della cassetta degli attrezzi concettuali dello scienziato sociale. Sempre svolto in chiave di realismo cognitivo attento più ai fatti che alle parole, o comunque alla coerenza tra teoria a pratica sociale, altro cavallo di battaglia weberiano. Dopo una bellicosa prefazione di Alessandro Campi, la raccolta si articola in cinque parti: “Questioni Metodologiche” (D. Breschi, A. Messina, F. Gorla, P.W.Gray, C. Stefanachi) “Questioni filosofiche” (H.A. Cavallera, S. Mazzone, J.R.M. Wakefield); “Storie comparate” ( A. G. Cerra, O. Coco), “Il fascismo e i suoi esponenti” (L.V. Petrosillo, F. Carlesi, L. Tedesco, R. Sideri, S. Battente) “Appendice: Memorie” (R. Morera, S. Ear). In tutto diciotto interventi (inclusa la presentazione di Campi). Diciamo che, come accennato, dopo la demolizione polemologica della definizione di “fascismo generico”, la principale preoccupazione dei relatori ( certo espressa con toni differenti) è di contribuire alla costruzione di una fisionomia ben distinguibile dell’approccio “non generico” di Gregor al fascismo italiano come idealtipo, anche in chiave emulativa e politica, quindi storica. Soprattutto, quando si impongono (si noti il verbo) storicamente scorciatoie reattive (alla ricetta liberale), come la “dittatura di sviluppo”, verso una modernizzazione economica e sociale guidata dall’alto. Che Gregor sembra vedere (ma la cosa andrebbe approfondita meglio) come un atto di illuminismo applicato. Di qui, la sua lontananza dalla retorica dell’intransigenza controrivoluzionaria. L’operazione ricognitiva tesa, come già osservato, alla demolizione della definizione di “fascismo generico, che rinvia all’antifascismo storiografico, talvolta addirittura militante, riesce, pagando però un prezzo, non elevato, ma significativo, che va al di là della stessa ridondanza argomentativa. Che accade? Viene trascurato un aspetto fondamentale: quello del gigantesco conflitto novecentesco tra liberalismo e costruttivismo, rappresentato dalle istanze opposte incorporate, per un verso nel binomio parlamento e mercato e per l’altro in quello tra nazionalismo (anche economico) e fascismo. Aleggia, per dirla in altro modo, una visione antiquaria del liberalismo, quasi da riporre tra le anticaglie… Chi non ricorda, per proporre una metafora poetica, “ L’amica di Nonna Speranza” gozzaniana? “Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!)”… Conflitto praticamente ignorato, a parte l’intrigante saggio di Luca Tedesco ( “Anthony James Gregor e la questione del Mussolini antistatalista dalla prima guerra mondiale alla linea ‘liberista di de’ Stefani” (pp. 255-271) e quello altrettanto interessante di Saverio Battente ( “La cultura nazionalista nell’ideologia e nella politica del regime fascista. Il contributo di Alfredo Rocco e Luigi Federzoni e le interpretazioni di A.J. Gregor” (pp. 289-310). Se c’è un limite, per così dire, nel concetto di fascismo come “dittatura di sviluppo”, così come è ripreso nel volume, va ravvisato nella sottovalutazione del ruolo del liberalismo e della libertà politica ed economica nei processi di modernizzazione. Che invece Gregor, aveva giustamente scorto, limitando la sua interpretazione all’ Italia “latecomer” e ad altre forme di sviluppo politico estranee alla forma liberale. A ciascuno il suo, insomma. Un approccio, e proprio perché tale, abbastanza cauto, quello di Gregor, contrario a ogni forma di ipse dixit: da vero scienziato sociale, da grande anima weberiana. Un approccio che invece, come nel saggio di Francesco Carlesi, viene ricondotto nell’alveo del romanticismo politico, almeno così sembra, del fascismo come “insubordinazione fondante” del Novecento, collegata per giunta al mitico modello di “terza via” tra le due guerre (si veda F. Carlesi, “Il fascismo, un paradigma di ‘insubordinazione fondante’ del Novecento? Un viaggio negli scritti di A. James Gregor”, pp. 235-271). L’insubordinazione, concettualmente parlando, rinvia però a una gerarchia, spesso nella realtà di tipo militare (forse valevole per il Sudamerica, ma non ovunque). Quindi, per rovesciare la questione, il liberalismo (“le vecchie cose di pessimo gusto”) fu imposto dall’alto? O fu frutto di uno slancio di libertà, senza veri precedenti istituzionali nella storia umana? Liberalismo come questione idiografica o nomotetica? Qui il problema, diremmo, resta metapolitico, nel senso di una scienza sociale rivolta allo studio delle costanti o regolarità… Che Gregor aveva intuito e ricondotto, senza fare sconti euristici e concessioni politiche, alla propedeutica della ” Brief Inquiry into the Conceptual Language of Political Science” (**) Concludiamo con un auspicio e un appello a un editore illuminato come Florindo Rubbettino. Che si traduca finalmente “An Introduction to Metapolitics” (per chi scrive, vale sempre il primo titolo), consentendo così, non solo agli specialisti, di capire, una volta per tutte, la qualità metodologica racchiusa nel lavoro di Gregor. In sintesi, cosa c’è dietro l’ approccio allo studio del fascismo reinventato da Gregor? Ripetiamo, rigore scientifico e nessun gioco di parole. “An Introduction” ne è la più completa testimonianza. Perché ricorda addirittura gli acutissimi saggi di Weber scritti tra il 1904 e il 1917 sul metodo delle scienze storiche sociali. Certo, si tratta di un testo che viene dopo Weber, dopo settant’anni di progressi nella metodologia delle scienze sociali. Come dire? Weberismo + Centrali nucleari euristiche, soprattutto “made in Usa”. Come si vede – lo ripetiamo – il titolo onorifico di Weber del fascismo, o meglio degli studi sociali sul fascismo, è più che meritato. Sebbene talvolta, l’insistenza di Gregor sulle buone intenzioni, per così dire, del fascismo e di alcune sue personalità. sembra ignorare il weberiano paradosso delle conseguenze. Però, come si dice, nessuno è perfetto. (Carlo Gambescia) P.S. Ci scusiamo per la formattazione. Ma purtroppo per il momento meglio di così... *********************************************************************************************************************************************************************************************************************************************************************************** (*) A. Messina (a cura di), “Comprendere il Novecento tra storia e scienze sociali. La ricerca di A. James Gregor", prefazione di A. Campi, Rubbettino Università, Soveria Mannelli 2021, pp. 336, euro 22,00. Per un rapido profilo-biobibliografico di Gregor si veda https://it.wikipedia.org/wiki/A._James_Gregor. (**) Inutile ricordare che tra le sue numerose opere sul fascismo spicca “The ideology of fascism: the rationale of totalitarianism” (1969, trad. it. Il Borghese 1974). Cui seguirà, e qui sarebbe interessante uno studio sui tempi preparazione e sulle rispondenze “delle” e “tra” le due opere. “An Introduction to Metapolitics” .

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