sabato 30 ottobre 2021

BIDEN A ROMA. I NECROFORI DELL'OCCIDENTE

 

 

 

Molti non  sanno che  il punto più alto del consenso italiano, popolare, diciamo di proletari e borghesi,  verso gli Stati Uniti,  fu raggiunto  nel 1918-19, dopo l’entrata in guerra effettiva degli  Stati Uniti e la conseguente vittoria  su tedeschi, austriaci e piccoli alleati. 

Wilson,   definito a furor di popolo  uomo di pace, nel gennaio del gennaio 1919 venne accolto a Milano e  Roma da folle strabocchevoli. Lo storico Piero  Melograni ha dedicato al fenomeno del wilsonismo italiano pagine vivaci e  interessanti.  Come  allora  si diceva: “O Wilson o Lenin” (*).

Subito dopo  le cose  però cambiarono, a causa dell’atteggiamento  filo-slavo degli Stati Uniti durante la stesura dei trattati di pace.  Sicché  gli italiani, vittime del mito della vittoria mutilata, dopo essere stati prigionieri di quello wilsoniano (“Pace e Legalità”), scelsero tra Wilson e Lenin, sospinti da antichi e misteriosi impulsi  autodistruttivi, Benito  Mussolini.

Si può dire che da allora per il mito politico  degli Stati Uniti immacolati  liberatori, eccetera, eccetera, andò sempre peggio. 

Nonostante qualche rapsodica fiammata di simpatia  durante il secondo intervento americano  in Europa contro il nazi-fascismo  e l'accomodante riparo offerto dal largo ombrello militare e atomico durante la Guerra fredda. 

Tutto dimenticato. A destra e sinistra si celebra Sigonella come la conquista dell'India da parte di Alessandro Magno.

Il refrain è semplicissimo:  sì,  all’America, del cinema, della televisione,  delle canzoni, delle mode, dello sballo,  no al cosiddetto imperialismo militare yankee.  Una forma di schizofrenia politica  le cui origini ideologiche si possono ricondurre alla   sbornia, e successivo risveglio,  per il presidente Wilson. 

Per chi segue più  calcio che la sociologia, si può  dire - per capirsi  -   che  il meccanismo assomiglia a quello  dell’allenatore portato prima alle stelle e poi alle stalle.  I popoli, a differenza dei tifosi, dovrebbero sempre guardarsi dai facili entusiasmi. In particolare gli italiani... Ma non è così.   Il che non significa, come vedremo, che l’indifferenza paghi.

La visita romana  di  Biden, qui per il G20,  probabilmente rappresenta il punto più basso di questo processo.  E' andata peggio della famoso viaggio di Nixon, nel settembre del 1970, in piena guerra del Vietnam, contestato ferocemente  nelle piazze  dalla sinistra parlamentare ed extraparlamentare.

Peggio per gli incidenti?  No. Ieri  i romani ( e  più in generale gli italiani) sono rimasti indifferenti. E, come  noto,  l’indifferenza è un veleno politico  più potente di qualsiasi contestazione.

D'altra parte,  Biden dal punto di vista politico è di una mediocrità assoluta. Detto altrimenti:  se la mediocrità di Trump era ed è  di  tipo  attivo,  quindi può fare danni,  quella di Biden è passiva. Rimanda all’interpretazione   di un mediocre attore di provincia, che recita senza infamia e senza lode la propria  parte di attore principale. Lo spettatore torna a casa, senza ricordarsi nulla né del protagonista, né di ciò che ha visto a teatro.

Del resto, il fatto  che papa Francesco, il  presidente Mattarella e Biden si siano trovati d’accordo, "su pandemia e clima",  indica  che la politica mondiale, e non solo americana,  si è ridotta a  pura e semplice  gestione geriatrica della realtà.

E questo, dispiace dirlo, è un altro aspetto della crisi dell’Occidente liberale.  Di cui Biden, Mattarella e papa Francesco sono i necrofori.  E quel che è peggio, tra  l’indifferenza generale  della gente, che ormai  presta orecchio,  ma neppure  sempre,  solo alle contrastanti  affabulazioni dei virologi.    

Carlo Gambescia                


(*) Si veda l’ ottimo  P. Melograni, “Storia politica della Grande Guerra (1915-1918)”,  Editori Laterza, Bari  1972, pp.  529-530,  560.       
 

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