domenica 22 giugno 2025

Trump attacca l’Iran: il ritorno del dinosauro politico

 


È accaduto. Il presidente Trump ha ordinato il bombardamento di tre siti nucleari iraniani. Era prevedibile: Trump è privo di scrupoli e richiama alla mente per certi aspetti il Principe, così vividamente dipinto da Machiavelli più di cinque secoli fa. Per farla breve: l’annuncio secondo cui gli Stati Uniti avrebbero atteso ancora due settimane aveva solo una funzione fumogena. Pura dissimulazione.

Sulle conseguenze effettive dell’attacco, per ora si sa poco o nulla. Si è appreso soltanto che aerei e sottomarini americani sono rientrati indenni alla base.

C’è una strategia dietro tutto questo?  Qual è il modello di conflitto – perché ormai si può parlare di guerra aperta – su cui puntano Stati Uniti e Israele?

Il riferimento potrebbe essere alla guerra aerea come strumento per piegare il nemico. Un precedente remoto si trova nella Operation Deliberate Force, la campagna aerea condotta dalla NATO contro la Repubblica Serba tra il 30 agosto e il 20 settembre 1995. Un’operazione che portò alla resa serba e agli accordi di Dayton. Tuttavia, quella fu un’azione condotta dalla NATO, con il supporto formale di una risoluzione ONU, e il nemico aveva caratteristiche del tutto diverse: dimensioni geografiche, demografiche, militari, culturali e religiose incomparabili. Solo per fare un esempio: la Serbia contava allora sei-sette milioni di abitanti; l’Iran ne ha oltre ottanta milioni.

Prima osservazione: Trump e Netanyahu non sembrano avere un piano preciso. La questione del nucleare iraniano sembra essere lo specchietto per le allodole. Il vero obiettivo potrebbe invece essere il cambio di regime. Ma in realtà c'è molta confusione nell'aria. Quel che c'è di sicuro  rinvia  alla logica-prurito alle mani: “prima si spara, poi si vede”. E se anche il modello fosse quello serbo, difficilmente sarebbe applicabile al caso iraniano. Perciò d’ora in avanti si navigherà in mare aperto: tutto è possibile. L'Iran può piegarsi, come pure resistere  fino a quando le risorse lo consentiranno,  molto dipenderà da Russia  e Cina. Quanto al mondo islamico, Teheran è praticamente isolato. Potrebbe vendere cara la pelle, bloccando lo stretto  di Hormuz, oppure cedere improvvisamente, aprendo le porte  a un cambio di regime. Vedremo.

Seconda osservazione: emerge chiaramente la componente egopolitica di Trump, ossia di un ego spinto da una smisurata volontà di potenza. Questa nostra affermazione può essere definita di parte. Ideologica. Per nulla scientifica. In realtà, la maggior parte degli analisti non sembra aver capito che Trump è un fenomeno politico di tipo preliberale. Si pensi, a un dinosauro, risvegliatosi dopo sessantacinque milioni di anni. La sua logica, fuor di metafora, è quella di un Luigi XIV: “L’État, c’est moi”. Opporgli la lavagnetta con su scritto l’elenco dei diritti dell’ uomo è patetico.

Ora Trump, in base alle reazioni mondiali, a partire da quella europea, prenderà le misure per future operazioni simili, almeno per livello di aggressività: contro Panama, Groenlandia, Canada, Messico. Esageriamo? Si provi a vedere il mondo attraverso gli occhi di un Luigi XIV. O se si preferisce di un affamato dinosauro politico.

Persino l’Europa stessa – per non parlare dell’Ucraina, ora che Putin ha le mani libere – è potenzialmente in pericolo. Del resto anche la Cina ha ricevuto un messaggio forte e chiaro: per Trump il ricorso alla forza, senza troppi scrupoli o riflessioni sulle conseguenze, è normale. Non ha remore morali di alcun tipo. Si fa guidare da una specie di istinto carnivoro pre-liberale, piuttosto che da un consigliere come Machiavelli. E’ un Principe allo sbaraglio.

Terza osservazione: le possibili conseguenze per l’uomo e per l’ambiente. Un bombardamento che danneggi un reattore nucleare o un deposito di combustibile esausto può causare la fuoriuscita di sostanze radioattive, contaminando aria, acqua e suolo. Le conseguenze sanitarie potrebbero essere simili – se non peggiori – a quelle di disastri come Chernobyl o Fukushima. E, cattive nuove,  anche questo aspetto viene sottovalutato da Trump.

Come si può intuire, ciò che potrebbe rappresentare un bene per l’Occidente – il ritorno dell’Iran nei ranghi della diplomazia e dell'ovile occidentale – rischia di trasformarsi in un incubo se gestito in modo confuso, senza alcuna considerazione per le conseguenze strategiche, militari e ambientali.
 

L’unica certezza è che l’Europa è sola. E l’unica possibilità di salvezza è il riarmo massiccio. Perché la politica egocentrica di Trump riconosce e teme solo la forza, quando questa è pari o superiore a quella degli Stati Uniti.

Riarmarsi, riarmarsi, riarmarsi. Altro che le  manifestazioni in favore della pace o il controproducente rilancio di sorpassati e stupidi nazionalismi che fanno soltanto il gioco di Trump. 

Un’ osservazione finale. Ci si potrà rimproverare, come talvolta accade, la mancanza di fonti istituzionali o grafici a sostegno delle nostre affermazioni. Obiezione legittima, almeno sotto il profilo di un certo rigore scientifico. Tuttavia, occorre chiarire sin da subito che non siamo sul terreno della geopolitica, bensì su quello – ben più sdrucciolevole, ma anche più rivelatore – della metapolitica. E qui rinviamo i lettori al nostro Trattato di metapolitica (Edizioni Il Foglio, 2 volumi).

Il fenomeno Trump, a ben vedere, è insieme antico e radicalmente nuovo. Repetita iuvant.

Antico, come il ritorno periodico di una figura arcaica, potremmo dire “il dinosauro”, che porta con sé istinti primordiali, sedimentazioni profonde dell’immaginario politico.  Nuovo, perché incarna una volontà di potenza che si pensava scomparsa nel chiacchiericcio liberal delle democrazie postmoderne.

In tal senso, non si tratta tanto di analizzare, quanto di intuire. L’essenziale non sta nei dati, ma nel segnale. E Trump, piaccia o meno, è un segnale. Forte, disturbante, tellurico. Come certi simboli che la ragione non spiega, ma che metapolitica e storia riconoscono subito.

Carlo Gambescia

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