sabato 28 giugno 2025

Oltre Trump. Il Leviatano scatenato: perché la Corte Suprema ha disarmato la Costituzione americana

 


Con decisione resa pubblica ieri, 27 giugno 2025, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha segnato un punto di svolta istituzionale.

E purtroppo non nel senso di un’evoluzione equilibrata dei poteri, ma di una torsione strutturale a favore dell’esecutivo. D’ora in avanti, i giudici federali non potranno più emettere ingiunzioni di portata nazionale: le loro decisioni saranno valide solo per i soggetti direttamente coinvolti nel ricorso. Apparentemente, un dettaglio tecnico. In realtà, un cambio di paradigma.

In concreto, se un decreto presidenziale viene dichiarato incostituzionale da un tribunale, esso continuerà a produrre effetti generali, salvo per i ricorrenti. Ogni eventuale opposizione dovrà essere ripetuta caso per caso. Si frammenta così la tutela giurisdizionale e si scoraggia il controllo diffuso della legalità costituzionale. Il diritto non viene negato, ma diluito fino a perdere efficacia.

E le conseguenze non si faranno attendere. Temi delicati come l’immigrazione, il riconoscimento della cittadinanza, lo stesso ius soli — oggetto di provvedimenti presidenziali contestati — rischiano di sfuggire a qualsiasi argine tempestivo. Se un ordine esecutivo dovesse limitare l’acquisizione automatica della cittadinanza per i figli di immigrati nati sul suolo americano, solo chi impugna individualmente l’atto ne sarebbe tutelato. Tutti gli altri resterebbero esposti agli effetti discriminatori del provvedimento, almeno fino a un nuovo giudizio, in un’altra corte, con altri ricorrenti. Una giustizia a singhiozzo, che protegge pochi e abbandona molti.

I sostenitori della decisione parlano di contenimento del potere giudiziario, di riequilibrio tra poteri. È la consueta retorica contro il “giudice attivista”, “di sinistra”, come si dice  nell’ Italia di Giorgia Meloni.  Giudice da ricondurre a un ruolo neutrale e notarile, così prosegue il mantra.

In realtà ciò che si delinea è la marginalizzazione della funzione giudicante proprio nel momento storico in cui l’esecutivo si mostra più interventista, più pervasivo, più politicizzato nel nome dei valori (parola grossa) di una destra reazionaria, come non si vedeva dai tempi del nazifascismo. Ma si potrebbe risalire fino alla Rivoluzione francese. Ai famigerati controrivoluzionari. In buona sostanza, alla riduzione dei tre poteri a uno: quello esecutivo, che congloba giudiziario e legislativo. 

Si va addirittura,  a voler essere rigorosi, oltre la la logica dell' Antico Regime, che riservava comunque ai parlamenti  un residuo potere giudiziario e di registrazione dei decreti reali  Esageriamo? Giudichi il lettore.

Va poi chiarita anche un’altra questione: il vero nodo non è Donald Trump (o comunque non solo), in quanto figura personale, ma ciò che la sua ascesa ha reso possibile e oggi legittima: un modello decisionista, centrato sulla volontà del capo eletto come fonte superiore della legittimità politica.  Si chiama anche cesarismo. 

In questo modello, il potere esecutivo non è più bilanciato, ma liberato da vincoli sostanziali. Il diritto costituzionale viene subordinato alla logica del mandato popolare, trasformando la democrazia in una forma di plebiscitarismo continuo, dove chi vince prende tutto e chi perde si adegua. Un modello, detto per inciso. che piace moltissimo alle destre antiliberali europee, a cominciare da Fratelli d’Italia.

La sentenza in questione, formalmente ineccepibile sul piano procedurale, è quindi sostanzialmente sbilanciata. Come accennato, riconoscendo validità solo locale alle decisioni dei tribunali, nega al potere giudiziario la possibilità di prevenire efficacemente abusi generalizzati. Non si tratta di un conflitto tra tecnicismi giuridici, ma della ridefinizione del principio di separazione dei poteri in chiave di netto predominio dell’esecutivo.

Si dirà che resta la possibilità, per altri ricorrenti, di impugnare lo stesso atto esecutivo in cause parallele. Ma questa moltiplicazione dei ricorsi equivale a una corsa a ostacoli: logora le risorse dei cittadini, frammenta il fronte giuridico, assegna al governo il vantaggio del tempo, del potere, della comunicazione. Chi detiene l’iniziativa politica parte sempre in vantaggio.

È legittimo chiedersi quanto ancora reggerà questa fragile architettura, se ogni contrasto all’abuso richiederà un’azione individuale, dispendiosa, ripetitiva. Il rischio è che la Corte Suprema, rinunciando a esercitare un controllo pieno, si riduca a certificare gli effetti del potere, anziché limitarli. E che la sua autorevolezza diventi strumentale: evocata per legittimare decisioni già prese altrove, nel cuore dell’apparato esecutivo.

Nel lungo periodo, è probabile che questa sentenza venga ricordata come un precedente epocale. Nel senso di una crepa decisiva nel delicato sistema di pesi e contrappesi che ha garantito per duecentocinquanta anni un equilibrio mai perfetto ma sostanzialmente funzionante.

Di conseguenza, il Leviatano, come rappresentazione di un potere minaccioso, non viene sconfitto, ma liberato dalle sue catene. Proprio come recita il nostro titolo: un Leviatano scatenato.

Carlo Gambescia

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