martedì 3 giugno 2025

Il "caso" Addeo. Nemesi e mitra: differenze che contano

 


Stefano Addeo, il professore di liceo, che in pratica ha esercitato l’antica arte della nemesi, ha tentato il suicidio. Al momento è fuori pericolo. Addeo, dopo il suo post, e successivo putiferio, ha ricevuto pesanti minacce. Lo si è dipinto come un terrorista.

La nemesi, come spiegano i vocabolari, (gr. Νέμεσις, lat. Nemĕsis), rinvia “alla personificazione nella mitologia greca e latina della giustizia distributiva, e perciò punitrice di quanto, eccedendo la giusta misura, turba l’ordine dell’universo”. Rimanda insomma a un atto di giustizia compensativa. Una nemesi storica, sì, di timbro scolastico — come amava ricordare Giosuè Carducci — quella che vuole i figli puntualmente chiamati a pagare per colpe mai commesse, ma ereditate, quasi per osmosi morale.

Si potrebbe definire una specie di maledizione della vittima dell’ingiustizia, che si scaglia, offesa e risentita, contro i figli del carnefice. Nel nostro caso la figlioletta di Giorgia Meloni. Si confida in un fato più generale, divino o meno, che vedrà, giudicherà e colpirà. Inesorabilmente. Un atto di passività: il lettore prenda appunto.

Diciamolo pure è un arcaismo. Anche, per parlare difficile, comportamentale. 

Per contro, brigatisti rossi e neri non si facevano tanti scrupoli. Confidavano nell’uso di armi ultramoderne, esplosivi di ultima generazione, credevano nella “geometrica potenza” dell’azione militare, come scrisse Franco Piperno, fondatore di Potere Operaio, a proposito dei rapimento Moro. Ma lo stesso metro si può applicare ai Nar e ad altri gruppi terroristici di estrema destra: non parlavano, “imbottivano di piombo”, come fu nel caso del povero giudice Amato. Dunque soggetti attivi.

Sono cose che vanno ricordate, per capire quanto sia lontano, il pur cattivo uso della nemesi del professor Addeo, dal terrorismo degli Anni di Piombo. Il terrorista non maledice, ammazza. Resta un soggetto attivo. I professori amareggiati invece si ammazzano. O comunque tentano: preferiscono la morte all’azione contro l’altro. Che dire? Più passivi di così.

Sappiamo benissimo che molti giudicano il tentativo di suicidio del professore una “finta”. Se così stessero le cose, la rappresentazione o messa in scena di un suicidio che non è tale, non sarebbe altro che un surplus di passività, diciamo al cubo: si rappresenta di noi stessi, già passivi, ciò che non è. Insomma, una passività (il maledire l’altro, quindi il non “agirlo”) che abbraccia un’altra passività (il colpire fisicamente se stessi e non l’altro), e che si sposa a un terza passività ( la rappresentazione passiva, di un colpire se stessi che, come detto, non è tale).

Sarebbe perciò una conferma della nostra tesi sulla distanza tra il “portatore” di nemesi e il “portatore” di mitra. Quindi sulla profonda differenza tra Stefano Addeo e il terrorismo rosso o nero.

Piuttosto si dovrebbe riflettere sul successivo uso politico distorto delle parole. Oggi basato sull’omologazione, per ragioni di bassa retorica politica, tra le due figure ( il maledicente e il terrorista). Perciò in ogni parola si vuole scorgere un proiettile.

In realtà il maledicente è un soggetto amareggiato o represso (secondo il punto di vista), ma non un terrorista armato di mitra. Inoltre, detto bonariamente, può anche trattarsi, come dice la radice della parola, di un maleducato ( sembra però che il professor Addeo si sia scusato…). Ma non è assolutamente, proprio perché crede nel “fato”, un terrorista, che invece il “fato” se lo edifica da solo.

Quindi perché non pesare le parole? E soprattutto, discernere?

Sì già sappiamo, come si dice, che è colpa è dei social, della fretta, del cattivo umore a portata di tastiera, eccetera, eccetera.

Però rimane l’errore cognitivo, che è di forma mentis,  culturale, quindi generale:  si confondono i piani. Soprattutto nel dibattito e nelle misure che seguono all’ esternazione digitale o meno. Dove tutti sembrano dare il peggio di sè. 

Il punto è che si pretende di ridurre tutto a bianco o nero, dimenticando che la storia – e l’animo umano – è fatta di grigi, sfumature, passaggi intermedi. E che la nemesi, nella sua arcaica drammaticità, è il gesto estremo di chi non ha più parole, né forza per agire, ma ancora coltiva un’idea, per quanto disperata, di giustizia. Una giustizia dolente, che si affida al cielo, non alla dinamite.

Di qui la differenza, netta, tra il risentimento che implode e l’odio che esplode. Tra il professore Addeo, simbolo tragico di una società che digita troppo e non ascolta più, e chi invece della parola fa canna da sparo. Dimenticarlo, o peggio negarlo, significa non aver capito né la storia, né la giusta misura delle cose.  E, forse, neppure la nemesi.

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento