Inutile nasconderlo. Oggi l’Iran è un nemico strategico dell’Occidente. L’idea che debba essere messo nelle condizioni di non nuocere è in linea di principio giustificabile sul piano di un sano realismo politico.
Ovviamente, ci si riferisce all’Iran fondamentalista, guidato da un regime teocratico che combina, esaltandoli, autoritarismo interno e politica estera aggressiva. Un Iran secolarizzato, modernizzato, persino liberal-democratico, rappresenterebbe al contrario un potenziale alleato prezioso per l’Occidente in Medio Oriente, come lo fu in parte l’Iran prima del 1979. Semplificando, forse troppo: la missione è riportare l’Iran ai tempi dello Scià quando a Teheran si ballava il twist.
Pertanto un’azione militare contro l'Iran non può non implicare il cambio di regime orientato verso l’Occidente. Di conseguenza, come sta accadendo, un intervento senza una visione chiara sul “dopo” (dire che lo si bombarda per convincerlo a trattare, significa tutto e niente), rischia di tradursi, “prima”, in una dimostrazione di forza fine a se stessa. Un pura e semplice esercitazione muscolare. Stati Uniti e Israele sono consapevoli che distruggere l’apparato militare iraniano, senza offrire un’alternativa politica credibile, potrebbe rivelarsi un gesto isolato, privo di effetti duraturi?
Diciamola tutta, una campagna di bombardamenti può certamente infliggere danni: logorare le strutture militari iraniane e accrescere la sofferenza della popolazione. Ma difficilmente, da sola, può minare le fondamenta ideologiche e istituzionali del regime. L’Iran fondamentalista è infatti cementato da una legittimazione religiosa che lo rende più resistente a pressioni esterne rispetto ad altri regimi autoritari.
In teoria, una strategia di logoramento potrebbe funzionare, ma imporrebbe: 1) impermeabilità rispetto alla pubblica opinione occidentale, di regola pacifista; 2) tempi lunghi e costi economici e politici elevatissimi. Va infine ricordato che, a differenza dell’Iraq nel 2003, l’Iran è un paese più vasto, popoloso, e dotato di una rete di alleanze regionali.
Al momento, l’ipotesi di un’invasione terrestre in stile Iraq sembra esclusa, a causa delle enormi risorse umane, economiche e organizzative che richiederebbe. Resta in piedi, per ora, la strada dei bombardamenti mirati su infrastrutture militari e nucleari con armamenti americani di ultima generazione.
In realtà ciò che colpisce è l’assenza di una strategia chiara. Si colpisce oggi, si attende domani. Senza un progetto politico per il futuro dell’Iran, ogni attacco rischia di essere solo un’azione tattica, priva di sbocchi concreti. Ripetiamo: un esercizio muscolare. Si può anche parlare di impasse. Vicolo cieco. Il “martello di mezzanotte”, martella, ma tutto rischia di restare come prima.
Un conflitto a bassa intensità con l’Iran non può prescindere da considerazioni metapolitiche più ampie. Fino a che punto Russia e Cina — potenze che mantengono solidi rapporti con Teheran — tollereranno un accerchiamento militare da parte di Israele e Stati Uniti?
E cosa faranno gli Stati del Golfo, storici rivali dell’Iran sciita ma al contempo legati a Teheran da interessi energetici ed economici? L’eventualità di una chiusura, anche solo simbolica, dello stretto di Ormuz — da cui transita circa il 20% del commercio globale di petrolio — potrebbe scatenare un terremoto nei mercati mondiali.
In tutto questo, l’Europa appare sostanzialmente assente. Italia inclusa. Non ha toccato palla, come si dice. L’idea di Bruxelles di affidarsi alla sola diplomazia, mentre la situazione evolve rapidamente sul piano militare, suona più come un segnale di impotenza che di saggezza politica.
Che fare, dunque? Dichiarare nel più breve tempo possibile l’operazione Iran felicemente conclusa, sebbene falso, e prepararsi meglio per la prossima volta.
Ripetiamo: al momento, Washington e Gerusalemme non sembrano disporre di un disegno complessivo. Solo per dirne una: ieri Trump di punto in bianco ha parlato di cambio di regime a Teheran. Come si trattasse della cosa più semplice del mondo. Che lui, nuovo dio onnipotente, può realizzare con un semplice “Fiat”. E Netanyahu ha ribadito, da par suo, che l’operazione militare contro l’Iran andrà avanti fino a quando necessario. Iran come Gaza? Bah…
Netanyahu e Trump hanno un problema: sono privi di senso del limite. Una lacuna che potrebbe avere conseguenze molto più gravi del previsto.
Carlo Gambescia

Nessun commento:
Posta un commento