lunedì 2 giugno 2025

2 giugno: festa della Repubblica o rito dell’impotenza metapolitica?

 


Rito dell’impotenza metapolitica. Questa, crediamo, la risposta giusta.

Si rifletta. La Festa della Repubblica potrebbe  essere un’occasione di riflessione sulla forma istituzionale dello Stato, sul suo fondamento storico, sulla sua legittimità politica.

E invece si traduce regolarmente nel trionfo della retorica pacifista: ogni anno assistiamo a una specie di rito collettivo o culto astratto dell’impotenza politica. La Repubblica è ridotta a “valori” astratti e decontestualizzati. Tra questi, il più intoccabile – e paradossalmente il meno discusso – resta l’articolo 11 della Costituzione, che sancisce addirittura il “ripudio della guerra”.

Rinfrescatina. 

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” (*).

Il piatto forte è il ripudio della guerra. Si dirà che ha un valore programmatico: un’idea alla quale ispirarsi e non una regola concreta da applicare subito a cose concrete. Si pensi insomma a un frase solenne, scolpita nel marmo.

In realtà è proprio questo il problema: più si solennizza un principio, più si evita di valutarlo nelle sue cause ed effetti concreti. E l’articolo 11, a ben vedere, è figlio di un pacifismo ideologico: l’esatto contrario – perché a questo si aspirava – del bellicismo fascista, che aveva condotto a un’Italia sconfitta, occupata e desiderosa di espiare, forse troppo. Fascismo, si badi, che fu sconfitto sul campo. Insomma altro che porgere – e giustamente – l’altra guancia.

Se l’articolo 11 fu scritto in un contesto storico comprensibile, non significa che sia giustificabile sul piano della teoria metapolitica. E per due ragioni. 

1) Perché ignora il fatto che la guerra è una regolarità metapolitica, qualcosa che nella storia si ripete regolarmente, la storia non è solo guerra, come non è neppure solo   pace, è un alternarsi di guerra e di pace; di qui, ripetiamo, il carattere di regolarità, piaccia  o meno, della guerra, alla quale segue sempre una fase di pace, che sarebbe più corretto definire "armistiziale", e così via; 

2) Perché un ordinamento che “ripudia la guerra” in linea di principio è un ordinamento che rinuncia, almeno formalmente, alla sovranità piena, che affida la propria difesa e proiezione esterna a soggetti terzi, alleanze, “missioni” definite da altri. E così è stato.

Del resto – e non per caso – il nostro interventismo si è sempre nascosto dietro forme mediate, indirette, talvolta persino mimetiche. Ma c’è di più: ora che l’ombrello americano pare cedere alle intemperie della storia, e quello Onu troppo striminzito e malridotto per ripararsi dalla pioggia, si scopre – con finta sorpresa – la necessità di un’armata europea. Nel frattempo, da Mosca si ride – e non poco – del nostro articolo 11.

Ma l’ipocrisia non è solo nella prassi: è nella norma stessa. E qui vale la pena di richiamare l’articolo 52 della Costituzione, là dove si parla della “difesa della Patria come sacro dovere del cittadino” (**). 

Parole forti, solenni. Che tuttavia mal si conciliano con l’articolo 11, quello che ripudia la guerra. Una contraddizione? Forse. O, più semplicemente, una toppa peggiore del buco. Anche perché, rimanendo inchiodati all’idea di una patria rigorosamente italiana, a chilometro zero, si finisce per soffocare in culla qualsiasi ipotesi di esercito europeo. 

Dopotutto, cosa c’entra l’Europa con il “sacro dovere” del cittadino italiano di difendere il suolo patrio? Interrogativo legittimo, specie in un paese dove c’è ancora chi rimpiange la lira e, al solo sentore di Bruxelles, storce il naso.

In realtà il punto è che una liberal-democrazia reale, adulta, dovrebbe riconoscere la guerra come possibilità politica. E prima ancora metapolitica. Insomma, a prescindere.

Un potere politico serio non "ripudia" o "brama"  per principio, ma decide, valuta, assume responsabilità. Il ripudio assoluto non è segno di civiltà, ma di infantilismo giuridico e metapolitico. Come del resto, per contro,  la brama assoluta. Per capirsi, riguardo alla guerra, il fascismo è bellicista, la liberal-democrazia è  "riflettivista". E c'è una bella differenza. Il che  però non significa che Giorgia Meloni non debba essere tenuta d'occhio, perché, per parentele ideologiche, rinvia al bellicismo fascista. Per capirsi: bellicisti e pacifisti pari sono. Altra cosa è il "riflettivismo" liberale.  

In realtà l’articolo 11 si iscrive perfettamente in una visione della Repubblica italiana come entità “morale” e non come soggetto storico. Un’idea tipica della cultura postbellica italiana: quella di uno Stato che deve espiare, non agire. E che deve sempre porgere l’altra guancia. Un’idea che ha alimentato l’antipolitica pacifista travestita da legalitarismo, la demonizzazione di ogni interesse collettivo, il culto delle “istituzioni” come entità astratta separata dalla realtà. E che potrebbe aver nascosto sotto la cenere pacifista, quando si dice il caso (simbolico), la fiammella del bellicismo fascista.

Il risultato è che celebriamo ogni anno la Repubblica come un “valore” ma senza domandarci quale Repubblica. Una Repubblica che non sa difendersi? Una Repubblica che non concepisce più la politica come conflitto regolato? Una Repubblica che celebra la pace salvo poi sfilare con la banda e le Frecce Tricolori?

Il 2 giugno dovrebbe servire a questo: a interrogarsi sul senso di una Repubblica che, nel nome della pace, ha finito col negarsi il diritto alla forza legittima. Perché in politica – come sapeva bene Machiavelli – chi rifiuta il conflitto per principio non lo evita: lo subisce.
 

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/principi-fondamentali/articolo-11 .

(**) Qui: https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/parte-i/titolo-iv/articolo-52 .

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