Anche l’analista più serio e distaccato, in questo momento storico, non può evitare una certa inquietudine. Un senso di spaesamento attraversa chiunque creda nei valori del liberalismo politico. Il mondo sta cambiando rapidamente, e non in meglio.
Negli anni Trenta si inneggiava ai nuovi “miliziani del bene”, guidati da Hitler, Mussolini e da altri leader fascisti e nazionalisti. Oggi si celebra con entusiasmo una nuova classe dirigente che, pur non condividendo le stesse forme, ne evoca lo spirito: Donald Trump, in testa, con la costellazione politica e culturale che gli ruota attorno, fino a irraggiarsi in Europa e oltre.
“Trump sta riportando la pace in Medio Oriente”, titolano oggi alcuni giornali. “Trump accolto come un re dagli alleati Nato”, recita un altro. Ma a quale prezzo? La “pace”, sempre se sarà tale, viene perseguita con metodi esclusivamente muscolari: appoggiando governi militarizzati come quello del prussiano Netanyahu; rafforzando legami con monarchie sunnite poco inclini ai diritti civili, e trattando l’Iran sciita non come un attore politico, ma alla stregua di un ragazzino da punire: un monello da tenere per l’orecchio, lasciando che scalci nel vuoto.
Nel frattempo, anche in Europa si respira lo stesso clima. Giorgia Meloni, parlando di riarmo europeo, cita con soddisfazione il motto latino “Si vis pacem, para bellum” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra”). Ma è davvero questa la strada giusta?
A prima vista, queste posizioni sembrerebbero coerenti con una visione realista della politica: la forza come strumento necessario per mantenere l’ordine. Tuttavia, c’è una differenza fondamentale tra il realismo politico liberale e quello promosso dalla nuova destra globale.
La differenza è nell’aggettivo: liberale.
Ci spieghiamo meglio. Da realisti politici, non dovremmo essere contenti della piega che hanno preso gli eventi? Il principio, ripetuto da Trump e altri, della forza che deve farsi largo per portare alla pace, non è condiviso e rilanciato da ogni buon realista politico? Cosa c’è allora che non va in questa nuova destra mondiale? Cosa rende diverso il realismo politico di Trump, Netanyahu, Meloni, e così via, dal realismo politico liberale?
Sappiamo che quel che stiamo per dire non è analitico. Anzi, diciamolo pure, ha natura impressionistica. Ci assumiamo tutta la responsabilità. Ma il nostro, piaccia o meno, è il tempo delle suggestioni.
La nuova destra muscolare, che ora comanda a Washington, e che rappresenta una specie di faro luminoso per il composito mondo delle destre mondiali resuscitate a seconda vita è tutto fuorché liberale. Destra muscolare inclusiva (tra le altre forze, più “locali”) di fascisti, reazionari, populisti, nazionalisti, razzisti, fondamentalisti religiosi.
Ripetiamo: fare di tutta l’erba un fascio non è lodevole sotto il profilo analitico. Dovremmo invece approfondire le differenze tra le varie componenti, così come tra figure con storie diverse come Meloni, Trump, Netanyahu. Scusandoci, diciamo pure, che sarà argomento di un altro articolo.
Torniamo sul punto. Cosa si intende per liberalismo?
Liberalismo, soprattutto in politica, è senso del limite: capire dove ci si deve fermare, soprattutto nell’uso della forza. E se c’è una cosa di cui è priva questa nuova destra mondiale, è proprio il senso del limite.
Si pensi al liberalismo politico di Tocqueville, Aron, Freund, Berlin – solo per fare alcuni nomi – che riconosce l’importanza dei confini: morali, giuridici, istituzionali. La forza può essere necessaria, ma va sempre temperata dal rispetto della persona, dei diritti, della pluralità. È questo senso del limite che oggi sembra mancare.
Il liberalismo politico, pur consapevole dell’esistenza di regolarità metapolitiche (circolazione delle élite, conflitto, esistenza del nemico, eccetera), mette al centro l’individuo, con i suoi diritti e la sua dignità. Non vuole sacrificarlo al culto della forza per la forza.
La nuova destra, al contrario, privilegia ipnotiche entità collettive: la comunità nazionale, religiosa, razziale o ideologica. In nome di queste entità, ripetiamo, l’individuo può essere sacrificato, limitato, ridotto a ingranaggio. Il passaggio non è banale. Quando si oltrepassano i confini liberali, si rischia di veder tornare a galla tutta la vecchia spazzatura della storia.
Di questa deriva facciamo tre esempi concreti, in chiave scalare per gravità, dall’alto verso il basso, che comunque rinviano alla stessa forma mentis muscolare: 1) Israele: dopo i tragici fatti del 7 ottobre, la risposta militare è comprensibile. Ma resta il dovere di rispettare i diritti umani e il diritto internazionale; 2) Stati Uniti: i recenti attacchi ai siti nucleari iraniani, senza valutare le conseguenze, possono scatenare crisi imprevedibili, sempre a danno di individui coinvolti loro malgrado; 3) Italia: trasformare reati d’opinione (come un blocco stradale) in reati penali gravi rischia di limitare e intimidire il diritto di manifestazione dell’individuo.
Dinanzi alla catastrofe politica che si va preparando, cosa si può dire? Come può sentirsi un liberale realista, circondato da una destra che non riconosce più limiti morali né istituzionali? Che si affida alla forza, alla semplificazione, alla comunità chiusa? Disprezzando l’individuo? E che però blatera di pace? Anzi, sembra addirittura capace di imporla? Addirittura in un clima di crescente consenso?
Si può sentire spaesato. Qui però va fatta un’ osservazione finale.
Mentre da una parte ci si interroga — più o meno con finezza — sul destino del liberalismo, dall’altra si marcia compatti, si battono i pugni sul tavolo e si urlano slogan a reti unificate.
Il nuovo ordine si costruisce a colpi di forza e identità collettive, mentre i liberali sembrano occuparsi di sfumature e bon ton politico.
La verità è che, paradossalmente, chi difende i limiti, oggi, sembra aver perso anche quello del coraggio.
E allora diciamolo chiaramente: se il liberalismo è diventato il salotto buono dove si parla con civiltà mentre fuori si sfondano le porte della città liberale a colpi di ariete, allora è tempo di svegliarsi. Perché o si resiste – anche scomodi, anche soli – o si scompare, educatamente.
Carlo Gambescia
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