Trump lo accusa di essere un bugiardo. Musk lo liquida come un demagogo pericoloso. Si insultano, si sfidano a distanza, si liberano delle grandi promesse di aiuto reciproco come fossero abbonamenti scaduti.
La rottura, tanto strombazzata, tra Elon Musk e Donald Trump non ha nulla a che vedere con un conflitto di idee. Si tratta, molto banalmente, di uno scontro tra due ego ipertrofici che non tollerano concorrenza nel proprio culto della personalità.
Musk, imprenditore-messia per vocazione e paladino della cosiddetta libertà algoritmica, ha sempre preferito muoversi tra ambiguità e opportunismo: un po’ libertario, un po’ guru hi-tech, con qualche deriva reazionaria non troppo dissimulata. Ma, come tutti i signori del digitale, non difende un’idea di civiltà, bensì il proprio patrimonio simbolico e finanziario.
L’acquisizione di Twitter — oggi X — fu accolta da molti come l’avvento di una nuova era per la libertà d’espressione. In realtà, si è passati semplicemente da una moderazione opaca, tra le righe, alle disarmonie dell’ arbitrio personale, diretto, meno burocratico ma più capriccioso. Se Trump diventa un intralcio, Musk lo silenzia. Punto.
Trump, dal canto suo, ha sempre preteso lealtà cieca, in stile “o con me o contro di me”, tipo grande dittatore. E chi non si allinea, anche se si chiama Elon Musk, diventa subito un nemico. Il trumpismo non è mai stato una dottrina politica, ma una liturgia mediatico-politica. Ripetitiva, caotica, narcisista. Con addentellati a destra, ma in chiave, assai sciatta, di personalizzazione totale di una destra svuotata di pensiero e piena di slogan.
Al riguardo la cosa più interessante, tuttavia, non è la rottura in sé. È il modo in cui viene recepita da certa destra – americana ed europea – che ancora si ostina a cercare salvatori nei miliardari eccentrici o nei tribuni ipermediatici. Come se bastasse l’odio per i “woke” per costruire una visione del mondo.
Il conservatorismo, soprattutto se illuminato, liberale diciamo, è tutt’altra cosa. È sobrietà, istituzione, gerarchia, senso del limite. Musk non possiede la cultura politica di un Kissinger. Trump non sfiora nemmeno la statura – morale prima ancora che intellettuale – di un Nixon. Nixon, quello dello scandalo Watergate ( e abbiamo detto tutto…). Ma, cosa fondamentale, nessuno dei due ha mai mostrato un reale interesse per la costruzione di un ordine stabile, duraturo, fondato su qualcosa di diverso dalla propria immagine riflessa in uno schermo.
In Musk e Trump non c’è l’animus dello statista. Solo narcisismo tossico. Chi indaga deve perciò difendere la ragion analitica non nel processo (indagando chi abbia ragione tra Trump e Musk, e così via), ma dal processo (indagando, come cerchiamo di fare qui, la gestazione culturale dei Trump e dei Musk).
Il loro scontro non è il sintomo di una dialettica politica viva, bensì l’ennesimo effetto collaterale di una politica ridotta a comunicazione, per di più menzognera, gestita da influencer e followers che animano i social a colpi di like e invettive. Si fronteggiano nel vuoto delle idee, come avatar narcisisti privi di centro di gravità. Nel frattempo, l’Occidente reale – accerchiato da nemici esterni e interni – rischia di restare afono, consegnato a figurine carismatiche che litigano su X come due adolescenti in piena tempesta ormonale.
Pertanto se facciano pace o meno, nulla toglie nulla aggiunge alla crisi che l’Occidente sta attraversando. Trump e Musk sono parte del problema non la soluzione del problema. Quindi tutto il gossip che impazza sui retroscena del dissidio, il 90 per cento di ciò che si legge sul Internet, non ci aiuta a contestualizzarlo culturalmente. Pura spazzatura digitale.
Del resto che altro aspettarsi da “difensori della civiltà occidentale” che ignorano i classici del pensiero liberale?
Qualche analfabeta politico ha accostato il grande Ronald Reagan e l’immensa signora Thatcher a Trump e Musk. Addirittura in Italia c’è chi ha avvicinato Giorgia Meloni alla Lady di Ferro. Scherziamo? Margaret Thatcher conosceva Hayek a memoria. La Meloni non è andata oltre quella specie di Via col Vento in chiave fantasy, una bufala, per adolescenti bullizzati e bulimici, che risponde al titolo de Il Signore degli Anelli.
Il punto è che la destra che affida il proprio futuro a Musk e Trump – e in Europa non mancano gli epigoni, a cominciare da Giorgia Meloni – non è in crisi di leadership: è in crisi di cultura. Non cerca ordine, ma visibilità. Non progetta, rincorre. Così, mentre due egolatrie si affrontano nel vuoto digitale, ciò che davvero manca non è un capo, ma un pensiero.
E nel vuoto di pensiero, si badi bene, il fascismo ha sempre sguazzato.
Carlo Gambescia

Nessun commento:
Posta un commento