Vorremmo richiamare l’attenzione su un fatto importante.
Il vero punto da prendere in considerazione, in merito al recente attacco ai siti atomici iraniani, non è tanto quello dei danni arrecati – dunque della giustificazione militare in senso stretto – quanto la giustificazione, per così dire, metafisica fornita da Trump e corifei.
Parliamo di una spiegazione che non si fonda sull’esperienza, sulla logica, come accade in una conferenza stampa tecnica, dove – come ieri – il generale Dan Caine, capo dello Stato maggiore congiunto, ha illustrato al pubblico, “alla lavagna”, la dinamica dell’operazione.
No, qui siamo su un altro piano: quello di una comprensione più profonda e, per certi versi, più inquietante della realtà. Sempre ieri, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth, al fianco di Caine, ha alzato la voce – fino a gridare come un ossesso – puntando il dito contro i giornalisti: “Voi, proprio voi, mentite su Trump. Non potete farne a meno, ce l’avete nel Dna, nel sangue. Sperate che fallisca” (*).
Ecco la metafisica. Una metafisica del male. Una condanna a priori del ruolo critico – e diremmo naturale – che la stampa, soprattutto negli Stati Uniti, esercita nei sistemi liberal-democratici.
Il problema, insomma, non è solo l’attacco, proditorio o meno, all’Iran. Il vero punto è il contesto illiberale al quale i trumpiani si richiamano per troncare ogni forma di critica, persino l’interrogativo più timido: il contesto della negazione, aperta e spudorata, della libertà di stampa.
Biden, Obama, i due Bush, Clinton, Reagan, Carter, Ford: nessuno di loro si è mai spinto a tanto. Nemmeno Nixon – pur con le sue ben note propensioni illiberali – arrivò a bollare, in un contesto formale, la stampa come nemica della democrazia. Anzi, si dimise. Accettò, da “cattivello”, le regole del gioco.
E volendo andare ancora più indietro, si scopre come, pur con tutti i limiti, l’establishment americano abbia sempre mostrato, quantomeno formalmente, rispetto verso la libertà di stampa. Quando sbagliava, tornava sui propri passi, sotto la spinta delle prime reazioni politiche e giornalistiche.
Tutto bene, dunque? No, perché accanto alla grande tradizione liberal-democratica americana ne esiste un’altra: più sotterranea, minoritaria, ma pericolosissima.
Una tradizione che riaffiora nei momenti di crisi reale o percepita: l’odio verso la stampa libera, alimentato da un immaginario populista, complottista, e di estrema destra. Quel filone che il grande storico Richard Hofstadter definì “politica paranoide” (**).
Hofstadter cita – tra gli altri – l’anti-massoneria ottocentesca, l’anticattolicesimo, il maccartismo, la John Birch Society, e certe forme di populismo radicale.
Fenomeni che riconduce a un preciso paradigma, che si regge su cinque pilastri: 1)Sospetto ossessivo verso presunti complotti; 2)Dualismo morale (bene assoluto contro male assoluto);3)Retorica apocalittica e tono messianico;4)Personalizzazione del nemico, con tratti demonizzanti; 5)Paura della perdita del controllo da parte del gruppo dominante (di solito reazionario, antimoderno).
Non è difficile cogliere come l’odio verso la libertà di stampa – vera pietra angolare della modernità politica – espresso da Pete Hegseth, rientri in pieno in tale cornice paranoide.
Un odio che ci riporta a un evento emblematico di questa “metafisica paranoide”: l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, compiuto da sostenitori di Trump e da lui stesso istigati.
Un’azione motivata dalla convinzione – delirante – di un’elezione rubata da una cospirazione globale. Un incubo politico, nutrito da una narrazione messianica (“salviamo l’America”), da simboli millenaristici, bandiere confederate, croci cristiane, slogan di QAnon.
In sintesi: il conservatorismo sano rispetta le istituzioni. La politica paranoide le respinge, le considera corrotte. Ed è in quest’ultima che si collocano Trump e seguaci. Non è un caso che molti conservatori classici si siano dissociati da lui.
Dunque, lo ripetiamo: il trumpismo, lungi dall’essere un’anomalia, è perfettamente in linea con lo stile paranoico analizzato da Hofstadter già negli anni Sessanta.Le vere novità sono altre: 1) La volontà di potenza strabordante di Trump; 2) La potenza dei media digitali (TV, social, algoritmi); 3) La radicalizzazione online; 4) La trasformazione dello stile paranoide in elemento dominante del Partito Repubblicano.
Pertanto è di questo che bisognerebbe parlare: della metafisica paranoide. Non (o almeno, non solo) delle superbombe del generale Caine.
Per dirla con una metafora (quasi) classica: guardare alla Luna, non al dito.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.dire.it/26-06-2025/1162862-le-bombe-sono-esplose-la-surreale-conferenza-del-pentagono-che-non-puo-smentire-trump-video/ .
(**) R. Hofstadter, Lo stile paranoide nella politica americana, in A. Campi e L. Vasarano (a cura di), Congiure e complotti. Da Machiavelli e Beppe Grillo, Rubbettino Università, Soveria Mannelli (CZ), 2016. Ora, anche Adelphi, Milano 2021.

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