giovedì 11 febbraio 2016

Luoghi comuni ( della politica)
Lo ha detto la Costituzione!
Ma mi faccia il piacere…”


Seguivamo ieri un dibattito politico,  dove un interlocutore, per chiudere la bocca all’altro, gli sparava in faccia:  “È scritto nella nostra Costituzione”.  Ora, argomenti di questo genere, sociologicamente, lasciano il tempo che trovano.  Facciamo un esempio: se invece della Costituzione  italiana,  in altra discussione, ci si riferisse alla costituzione portoghese  dei tempi di Salazar, un fior di conservatore,  per alcuni addrittura un fascista, la si potrebbe  difendere  con la stessa passione?  Sì e no. Si, se  si crede  nei valori che una certa  carta costituzionale incarna -  quella salazariana, italiana eccetera -  no se li si rifiuta.
Insomma  la parola, per così dire, sociologicamente magica, è  "credenza". Pertanto, dire  “è scritto nella nostra Costituzione” è un argomento politico come un altro: vale per coloro che vi credono. E può essere usato, per conquistare coloro che non vi credono, alla stregua  di un qualsiasi altro programma elettorale.  Con una differenza piuttosto rilevante però. Che, dal momento che  politica e forza vanno sempre insieme,  in assenza di un libero consenso,   ecco che, anche la costituzione più democratica del mondo,  implica, per farsi ubbidire -  certo,  in ultima istanza -  il ricorso a polizia  e carabinieri. Detto diversamente:  la costituzione è una legge fondamentale mentre un programma politico è qualcosa di meno vincolante e quindi pericoloso,  finché non si trasforma in leggi  approvate dal Parlamento. Quindi credere troppo nei principi, spesso astratti perché programmatici,  racchiusi in una costituzione può essere pericoloso.  Tra l'altro, della nostra Costituzione, quando si dice il caso, si è sempre decantato  proprio il "valore programmatico"… Prendendo, furbamente e politicamente, se ci passa l’espressione, due piccioni con un fava: uno, tentare di  accontentare tutti i partiti o quasi, grazie a una indeterminatezza di contenuti tipica di ogni programma politico;  due, instillare nella mente dei cittadini l’idea giacobina  che ogni costituzione, come nella fase più acuta della Rivoluzione francese, sia una specie di sega elettrica con la quale si può modellare la siepe-Italia a piacimento… Insomma, che tutto era ed è possibile, anche cambiare gli italiani, se serve - pardon per la caduta di stile - a mazzate. A Parigi, si usava la ghigliottina, ma questa è un’altra storia…    
Poi, per tornare a noi,  non è stato così, e non poteva non essere così: per la questione, come dicevamo, che non tutti si riconoscono eccetera, eccetera. Però l’idea giacobina della sega elettrica, continua a colpire l’immaginario dei facinorosi di qualsiasi colore politico.
Cosa significa tutto questo? Che la politica è consenso ma anche forza. Forza che si nasconde, anche dietro i valori più nobili. Anche quelli della “Costituzione più bella del mondo”, come asserisce l’attore Benigni, interpretando però i desiderata degli orfani di un Berlinguer,  certo sempre meno trinariciuti dei brigatisti.  Ma scontentando tutti gli altri, comunisti  e non. Ad esempio, un  ultracomunista come Toni Negri, nella Costituzione italiana, scorge  vergognosi contenuti  tipici di certo riformismo piccolo borghese di stampo socialdemocratico. Per contro liberali e conservatori, vi vedono pericolosi elementi di socialismo se non di comunismo.  Per non parlare dei neo-fascisti, un tempo pesantemente minacciati di scioglimento. Punti di vista, molto diversi, insomma.  Credenze, come dicevamo. E potremmo continuare.
Allora, politica senza principi (costituzionali)? No, ma con juicio, senza enfatizzazioni giacobine.    

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento