giovedì 18 febbraio 2016

In margine all'intervista concessa da  Antonio Caracciolo a Giovanna Canzano
M5S?
Giacobini, solo Giacobini…




Ebbene sì, non  credo nell' evoluzione democratica del M5S. A mio avviso si tratta di una specie di malato terminale,  pieno zeppo di metastasi anti-liberali. Giacobini famelici adoratori della ghigliottina. Un partito  irrecuperabile alla liberal-democrazia.  E dunque pericoloso.
Le mie sono parole molto dure. La metafora ippocratica, forse ripugnante. Parole, insomma, che possono ferire. Ma così stanno le cose. Del resto, oltre a una certa esperienza di vita, ho sulle spalle troppi libri,  studi e  letture sociologiche  per cambiare idea su un partito che celebra tanto la libertà  per poi inevitabilmente avvilirla,  se non cancellarla,  al suo interno. 
Inevitabilmente. Sì proprio così. Un passo indietro. Perché il M5S dovrebbe essere “diverso”? In fondo, siamo davanti a una regolarità o costante della politica, studiata a fondo da Roberto Michels, più di cento anni fa: il controllo dei pochi sui molti è implicito nella natura organizzativa dei fenomeni politici. Dove c’è organizzazione, c’è una élite che  presiede all’ organizzazione, e che quindi  finisce sempre per differenziarsi, per stile, abitudini, qualità. E predominare.
Eliminare  alla radice qualsiasi forma di organizzazione politica, come propugnano gli anarchici (le cui critiche però non sono mai banali), è perciò impossibile, se non regredendo al povero livello  di una società di cacciatori-pescatori-raccoglitori (ma anche lì  nascerebbero capi naturali, come è nel normale ordine delle cose sociologiche,  e via da capo…).
Pertanto  quale può essere la soluzione? Fare buon viso a cattivo gioco, tentando di controllare  i controllori.  Dove possibile però.  
Il che spiega l’accenno -   nell’interessante intervista concessa a Giovanna Canzano (si veda sotto) - dell’amico Antonio Caracciolo,  buon filosofo del diritto,  ai “problemi organizzativi” del M5S.  E di qui alla necessità di  una maggiore  tutela, sul piano organizzativo appunto,  della libertà di espressione e  candidatura.
Come Antonio sa,  forse meglio di me, il liberalismo moderno - semplificando al massimo-  non è altro che una forma di autodifesa dell’individuo dallo strapotere organizzativo in primis dello stato,  puntando su un sistema di controlli e tutele regolato dalle leggi.  Ovviamente, il liberalismo propugna e  favorisce anche  l’autodifesa all’interno di ogni tipo di organizzazione, quindi anche dei  partiti.
Ora, apprezzo molto - e per certi versi ammiro - la dedizione politica dell'amico Antonio,  ma nel  M5S scorgo  un nemico, direi assoluto,  del  liberalismo.  Penso a  un movimento che si appella a un’idea di democrazia maggioritaria a sfondo tirannico.  Cito qui,  solo il  mantra  del 51 per cento… Come se opposizioni e minoranze potessero sparire di colpo,  una volta conquistato il potere... Un’idea pericolosa,  dietro la quale, come dicevamo,  non può non nascondersi, come in tutte le organizzazione politiche ( a prescindere dal regime),  una élite dirigente che impone le sue idee: idee, ripeto, che non sono sicuramente liberali.  Quindi abbiamo  due mali in uno:  quello  naturale  di tutte le organizzazioni, una élite che  comanda e decide per tutti; quello artificiale (per così dire) della professione di un’idea  totalitaria di democrazia.   
Converrà l’amico Antonio che parlare dell’importanza di un  sistema di tutele di natura liberale a una minoranza che controlla in modo ferreo un partito, come il M5S  e che  per giunta  crede, altrettanto fermamente,  nella  visione giacobina della democrazia,  sia impresa sicuramente improba se non impossibile.
E non mi si dica, che il Paese ha bisogno di questo.  Perché si tratta della classica  fallacia argomentativa di composizione, dove si scambia la pars (M5S)  pro  toto (il popolo italiano)…
Molto apprezzata dai dittatori di ogni tempo.

  Carlo Gambescia  




      

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