sabato 27 febbraio 2016

Elezioni in Iran
Ma quali conservatori e riformisti…



L’atteggiamento  dei media italiani  (non solo)  verso le elezioni iraniane ha dei lati comici, ricorda quello  nei riguardi di   tutto ciò che accade nella  Chiesa Cattolica.  Anche  per Teheran si propone il solito falso e  ridicolo  schema della sfida  tra conservatori e riformisti, dando per scontato che i riformisti siano sempre di sinistra e perciò  meglio dei conservatori.  I vecchi romani, anticlericali o meno,  sapete invece  cosa  dicevano di preti e papi?  “Ammazza ammazza è tutta  'na razza”.  E il dotto schema,  potrebbe essere esteso anche all'Iran. 
Insomma, dal tono giulivo  di certi servizi, pare che da un  momento all’altro, debba apparire sullo schermo per la conferenza della vittoria il classico leader riformista europeo, socialista e libertario. E invece, basta seguire, neppure con  attenzione le immagini, per scoprire davanti ai seggi,  leader, quando abbigliati all'Occidentale, vestiti peggio di Togliatti, donne in abiti tradizionali con il viso coperto, uomini  nervosi, con gli occhi lucidi,  appena usciti da "Ladri di biciclette". Insomma,  un paese povero, arretrato, torvo, addirittura - pardon -  incazzato. E non si sa neppure con chi (oddio a Tel Aviv, pardon Gerusalemme, lo dicono, ma  nessuno ascolta...).  E questo potrebbe essere un problema nel problema. 
E pensare che con lo Scià, la Persia si era modernizzata e laicizzata: guardava al mondo occidentale, fiduciosa nel progresso civile e politico. Non era ancora  un Libano (prima della catastrofe), ma quasi. Altro che il  fantasticare oggi, a comando editoriale,  su Lolita a Teheran.   
Si dirà che il nostro è un quadro di maniera e soprattutto filo-occidentale  e che lo Scià con gli oppositori non aveva  mano leggera. E sia.  Però dopo la caduta di Reza Pahlavi, presero il potere gli oscurantisti, poi esplose la guerra  Iran-Iraq (che con lo Scià al potere non sarebbe divampata), durata quasi un decennio. Fame, morti e miseria.  Dopo di che Saddam Hussein, il rais iracheno, che non era un genio militare, decise di  invadere il Kuwait... E così via, per colpi e contraccolpi, lungo il  terreno minato dei conflitti geo-religiosi interni  ed esterni  all'Islam,  fino al disastro del Bataclan di Parigi.  
Gli Stati Uniti (per non parlare di britannici, francesi e italiani, che pure facevano affari in Persia), invece di tenere in piedi lo Scià non mossero un dito.   La colpa storica  di quel che oggi  sta accadendo, se proprio si vuole fare un nome, non si può non  ascrivere al debole pacifismo psico-culturale (direbbe Kissinger) del  presidente Jimmy Carter, probabilmente il peggiore, con Barack  Obama, dell’altro e di questo secolo.
Semplifichiamo? Forse. La  vediamo con gli occhi dell'Occidente? Certo.  E con quali altri occhi? Di politica stiamo parlando.  Sicché, per dirla tutta, ogni volta che si vota in Iran  e viene proiettato il solito film sulla sfida  tra conservatori e riformisti,  ripensiamo - con rabbia -  agli editoriali del generale Nino Pasti, su “Relazioni Internazionali”,  prestigiosa rivista italiana di politica estera, anno di grazia 1978, quando ridicolizzando il carattere moderno del traballante regime dello Scià,  scriveva del progetto khomeinista come esempio di rivoluzione non violenta.  In realtà,  il  31 gennaio 1979, giorno del ritorno in patria dell'anziano ayatollah, celebrato da Pasti,  indica un punto di non ritorno, sul quale l'Occidente non ha mai riflettuto a dovere. 
Pasti era vicino al Pci - e suocero di Corrado Augias, ci dicono.  Mentre i comunisti italiani all’epoca andavano e venivano da Mosca.  E la  Russia di Brežnev probabilmente era dietro le quinte della rappresentazione in nero . Di lì a poco, con l’Iran impegnato a "revisionare" il proprio passato, l’Unione Sovietica avrebbe invaso l’Afghanistan.  E anche questa sarebbe una storia da riscrivere. Altro che conservatori e riformisti...
  
Carlo Gambescia     

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