Elezioni in
Iran
Ma quali conservatori e riformisti…
L’atteggiamento
dei media italiani (non solo) verso le elezioni
iraniane ha dei lati comici, ricorda quello nei riguardi di tutto ciò che accade nella Chiesa Cattolica.
Anche per Teheran si propone il
solito falso e ridicolo schema della sfida tra
conservatori e riformisti, dando per scontato che i riformisti siano sempre di sinistra e perciò meglio dei conservatori. I vecchi
romani, anticlericali o meno, sapete invece cosa dicevano di preti e papi? “Ammazza ammazza è tutta 'na razza”. E il dotto schema, potrebbe essere esteso anche all'Iran.
Insomma,
dal tono giulivo di certi servizi, pare
che da un momento all’altro, debba
apparire sullo schermo per la conferenza della vittoria il classico leader
riformista europeo, socialista e libertario. E invece, basta seguire, neppure
con attenzione le immagini, per
scoprire davanti ai seggi, leader, quando abbigliati all'Occidentale, vestiti peggio di Togliatti, donne in abiti
tradizionali con il viso coperto, uomini nervosi, con gli occhi lucidi, appena usciti da "Ladri di biciclette". Insomma, un paese povero, arretrato, torvo, addirittura - pardon - incazzato. E non si sa neppure con chi (oddio a Tel Aviv, pardon Gerusalemme, lo dicono, ma nessuno ascolta...). E questo potrebbe essere un problema nel problema.
E
pensare che con lo Scià, la
Persia si era modernizzata e laicizzata: guardava al mondo
occidentale, fiduciosa nel progresso civile e politico. Non era ancora un Libano (prima della catastrofe), ma quasi. Altro che il fantasticare oggi, a comando editoriale, su Lolita a Teheran.
Si
dirà che il nostro è un quadro di maniera e soprattutto filo-occidentale e che lo Scià con gli oppositori non aveva mano leggera. E sia. Però
dopo la caduta di Reza Pahlavi, presero il potere gli oscurantisti, poi esplose la guerra Iran-Iraq (che con lo Scià al potere non sarebbe divampata), durata quasi un
decennio. Fame, morti e miseria. Dopo di che Saddam Hussein, il rais iracheno, che non era un genio militare, decise di invadere il Kuwait... E così via, per colpi e contraccolpi, lungo il terreno minato dei conflitti geo-religiosi interni ed esterni all'Islam, fino al disastro del Bataclan di Parigi.
Gli
Stati Uniti (per non parlare di britannici, francesi e italiani, che pure
facevano affari in Persia), invece di tenere in piedi lo Scià non mossero un
dito. La colpa storica di quel che oggi sta accadendo, se proprio si vuole
fare un nome, non si può non ascrivere al debole pacifismo psico-culturale (direbbe Kissinger) del presidente Jimmy Carter, probabilmente il peggiore, con Barack Obama, dell’altro e di questo secolo.
Semplifichiamo? Forse. La vediamo con gli occhi dell'Occidente? Certo. E con quali altri occhi? Di politica stiamo parlando. Sicché, per dirla tutta, ogni volta che si vota in Iran e viene proiettato il solito film sulla sfida tra conservatori e riformisti, ripensiamo - con rabbia - agli
editoriali del generale Nino Pasti, su “Relazioni Internazionali”, prestigiosa rivista italiana di politica estera, anno di
grazia 1978, quando ridicolizzando il carattere moderno del traballante regime dello Scià, scriveva del progetto khomeinista come esempio di rivoluzione non
violenta. In realtà, il 31 gennaio 1979, giorno del ritorno in patria dell'anziano ayatollah, celebrato da Pasti, indica un punto di non ritorno, sul quale l'Occidente non ha mai riflettuto a dovere.
Pasti
era vicino al Pci - e suocero di Corrado Augias, ci dicono. Mentre i comunisti italiani all’epoca andavano e venivano da
Mosca. E la Russia di Brežnev probabilmente era dietro le quinte della
rappresentazione in nero . Di lì a poco, con l’Iran impegnato a
"revisionare" il proprio passato, l’Unione Sovietica avrebbe invaso
l’Afghanistan. E anche questa sarebbe una storia da riscrivere. Altro che
conservatori e riformisti...
Carlo Gambescia
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