Il libro
della settimana: Mario Missiroli, La
monarchia socialista, Le lettere, Firenze 2015, pp. 138, Euro 15,00 ( recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange) .
http://www.lelettere.it/site/e_Product.asp?IdCategoria=&TS02_ID=1960 |
Una nuova edizione, impreziosita da
un’introduzione di Francesco Perfetti ed arricchita di un’appendice (tra cui è
bene ricordare la recensione a suo tempo scritta da Giovanni Gentile ed il
breve saggio di Adriano Tilgher) di un libro famoso (pubblicato nel 1913). La
sintesi che fa Tilgher del libro è esemplare per chiarezza e concisione “La
storia del Risorgimento italiano e della terza Italia è per Missiroli un
capitolo di storia delle religioni. Il problema della nuova Italia non
consisteva, infatti, solo nel cacciare lo straniero dalla penisola e nel
fondere in uno i sette Stati in cui era divisa, ma nel costituire l’Italia a
Stato moderno liberale, inteso lo Stato moderno liberale come comunità
spirituale, sostanza etica dei cittadini…Ora uno Stato così concepito è
assolutamente inconciliabile con la
Chiesa cattolica” per cui “il problema del Risorgimento
italiano è problema essenzialmente religioso. E come tale lo sentirono gli
uomini della Destra storica. Ma esso non trovò la sua soluzione né poteva
trovarla in un Paese rimasto cattolico nell’anima e che non aveva avuto la sua
Riforma religiosa, che non aveva sostituito alla visione cattolica la visione
idealistica della vita, alla sovranità del dogma la sovranità della ragione…
Uno stato simile non poteva avere vita interiore e profonda: poteva fare
amministrazione, non politica” e prosegue “Attraverso il trasformismo di
Depretis e di Giolitti la monarchia riesce ad affogare la politica
nell’amministrazione e a soffocare ogni contrasto politico, ogni lotta di
partiti, ogni battaglia ideale”. Così nella recensione, Gentile (sulla “Critica”
del 20/05/1914) ritiene che la tesi di Missiroli è “che la rivoluzione italiana
non è stata una vera e vitale rivoluzione, perché non è stata preceduta da una
rivoluzione religiosa e s’è risoluta quindi in un movimento politico
artificiale, senza basi, senza radici nello spirito del popolo”; ma, sostiene
il filosofo, il difetto del saggio è “quale che sia l’importanza che si voglia
attribuire al problema religioso, esso è un solo problema, cioè un solo aspetto
della vita d’un popolo, e della vita dello spirito, come pare che implicitamente
ammetta lo stesso Missiroli; e ridurre quindi tutta la Storia d’Italia dal ’48 in
poi al solo problema religioso non può significar altro che volerla considerare
da un punto di vista unilaterale, astratto, insufficiente”.
A rileggere il libro a oltre un secolo di
distanza, e facendo uso di concetti che le “scienze umane” hanno elaborato
(prevalentemente) dopo che fu scritto, ciò che è stimolante nell’opera è
riconducibile ai concetti di legittimità
ed integrazione come principali
chiavi di lettura del Risorgimento e dello Stato unitario (non solo quello
monarchico, ma anche il successivo repubblicano).
Il Risorgimento italiano, diversamente
dall’unificazione – quasi contemporanea – della Germania, non fu fatta solo
contro l’Altare ma anche contro i Troni. Diversamente da quanto fece Bismarck
(e da quello che aveva in mente Cavour) i sovrani degli Stati pre-unitari furono
detronizzati e i loro territori annessi. L’unificazione apparve, a buona parte
dei loro sudditi, come guerra di conquista. A cui seguì una lunga guerra
partigiana nel mezzogiorno continentale, le cui conseguenze non sono ancora
state del tutto riassorbite. Bismarck ebbe l’accortezza di costruire uno Stato
(il Reich) sopra quelli esistenti e non al
posto di questi. I vari monarchi tedeschi continuarono a regnare pur se
subordinati al potere imperiale, Ciò evitò guerre civili e contribuì alla legittimità
dell’Impero, dato che i vecchi sovrani, oltre a regnare nei loro possedimenti,
erano rappresentati al vertice dell’Impero tramite il Reichsrat. Guglielmo
Ferrero notò che la monarchia nazionale dei Savoia godeva, al contrario, di una
quasi-legittimità, ossia di una legittimità monca e dimidiata, riconosciuta da
solo una parte della popolazione. Da allora questa è stata caratteristica dello
Stato unitario: la
Repubblica e in particolare il regime nato dalle elezioni del
1948 non aveva il consenso di circa metà degli elettori italiani (sommando
l’opposizione – maggioritaria – di sinistra a quella di destra). Crollato il
comunismo, il fazionismo (male
storico italiano) si è ripresentato come antiberlusconismo; nella fase
contemporanea al non expedit del
cattolicesimo post-unitaria si è sostituito il non liquet di elettori che non vanno a votare, il quale si aggiunge
al voto ai partiti anti-sistema.
Pertanto il problema principale cui rivolsero
l’attenzione i più attenti governanti dello Stato unitario, fu quello dell’integrazione: come integrare in quello
la parte degli italiani che lo rifiutavano.
La politica di Giolitti, che cercò – e in parte
riuscì – nel blandire i socialisti con concessioni (prevalentemente)
economiche, e i cattolici con altre, ma soprattutto evitando motivi (e
pratiche) in contrasto, culminata nel patto Gentiloni, ne fu un esempio. Come
lo fu quella di Mussolini, con lo sviluppo di uno Stato assistenziale e il
concordato con la Chiesa.
Alla stessa esigenza d’integrazione si deve l’impianto –
ormai - invecchiato della Costituzione repubblicana.
Missiroli comprese ciò solo a metà, come d’altra
parte molti intellettuali allo stesso contemporanei. Se è vero che una riforma
e una sensibilità religiosa è il miglior sostegno per il reggimento politico,
occorre comunque praticare l’arte della politica, la quale, secondo Giolitti
era simile a quella del sarto: che se ha un cliente gobbo, deve cucire un
vestito con la gobba. Se non lo fa, il vestito è mal riuscito. Lo Stato
unitario ha sempre avuto la gobba, in parte a causa del carattere,
dell’inclinazione e delle passioni degli italiani, in altra per il modo in cui
è nato. E non è affatto sicuro né allora, né, tantomeno, ora, che fare
dell’idealismo tedesco-napoletano, dello Stato etico la “religione civile” (a parte
il problema decisivo del riuscirvi) sia la cura di quella gobba.
Teodoro
Klitsche de la Grange
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