Elezioni spagnole
di domenica scorsa, 24 maggio 2015. Intervista a Jerónimo Molina
Fine
di un ciclo
Jerónimo Molina è professore di Politica Sociale presso l’Università di Murcia. In lingua
italiana sono usciti alcuni suoi studi, tra i quali ricordiamo il brillante
saggio su Röpke. È uno spagnolo alto, elegante, dall’eloquio
fluente e riflessivo. Lettore onnivoro... Assistere,
come mi è capitato a una sua lezione, è come
osservare un cervello al lavoro. Uno spettacolo. Fortunati i suoi
studenti. Gli rivolgo alcune domande sul terremoto
politico di domenica. Siamo amici, anzi più che amici... Però userò il lei. Siamo tutti e due all’antica.
Professore, i popolari spagnoli, salutano e non ringraziano gli elettori...
Buona
battuta. Il presidente Rajoy ha
praticamente affondato il suo partito. Si pensi alle grandi promesse elettorali: di abbassare le imposte, di cambiare o modificare le
leggi, ideologicamente faziose, di Zapatero ( laicismo
educativo-scolastico imposto dall’alto;
matrimonio omosessuale, aborto quasi
libero), di riorientare la politica
contro il terrorismo. Lungi dal far
questo, il Partito Popolare ha massacrato fiscalmente le classi medie, ha recepito l’ingegneria sociale à la Zapatero , giudicata intoccabile e ha iniziato a scarcerare i
terroristi dell’ETA, per giunta in
modo massiccio e ricorrendo ad argomentazioni puramente legalistiche. Sullo sfondo, purtroppo, di una inarrestabile corruzione politica... Una tragedia.
Ma siamo in Italia o in Spagna? Il quadro
da lei tracciato, ha per me, italiano,
qualcosa, di familiare...
Non mi
piace giudicare gli altri. Poi amo molto
l’Italia. Alcuni miei lavori, come lei
ha ricordato sono usciti nella lingua di Dante. E
talvolta, come un soldato del Tercio, mi piace ripetere a me stesso: “España mi natura,
Italia mi ventura, Flandes mi sepultura”... Però atteniamoci alle elezioni spagnole... Dell’Italia,
parleremo un’altra volta. E bene.
Magari in occasione di un mio viaggio a Roma.
Capisco... Ne sarei felice. Torniamo a noi: i socialisti?
Per gli
stessi motivi, il PSOE non ha recuperato
voti. Anzi. Se il Partito Popolare è in grave crisi di identità, come del resto comprova questa famosa osservazione di
Rajoy: “Chi sogna un PP conservatore o liberale si prepari a fare i bagagli”, anche il PSOE non è da meno. Ha mostrato di non avere alcuna strategia.
Infatti imitare, e malamente, il giovanilismo e la demagogia della nuova sinistra, emergente, non ha dato il risultato sperato. Del resto
otto anni di Zapatero sono una eredità pesante.
Difficile risollevarsi.
Quindi largo alle forze politiche
giovani... Che ne pensa della vittoria
di PODEMOS?
Sotto
questo aspetto, il successo di PODEMOS é
indiscutibile. Soprattutto perchè
poggia su un discorso politico, come in Spagna non si
vedeva da anni. Resta da capire, nonostante
la retorica bolivarista dei suoi dirigenti - quasi tutti professori
universitari che non brillano per
preparazione - fino a che punto PODEMOS riuscirà a insediarsi nella Spagna rurale.
Perché?
Cosa vuole dire?
Ad esempio, Siviglia, si pensava, potrà accettare la sparizione di 1000 milioni di euro, frutto di corruzione interna al partito socialista, ma non il fatto che la candidata di PODEMOS a presiedere
C’è anche un altro partito che ha vinto le
amministrative...
Sì,
Ciudadanos o Ciutadans. Si tratta di un
partito di centrodestra, nato in Catalogna quale reazione alla politica di apartheid antispagnola del nazionalismo catalano. Non si può capire la nascita di questa forza
politica, senza conoscere dettagli come
la proibizione delle corride in Catalogna e l’impossibilità di studiare
spagnolo nelle sue scuole
pubbliche. Ideologicamente indefinibile,
Ciudadanos si propone di parlare
alle classi medie, nel tentativo di riunificarle. In meno di dei mesi, come partito, è riuscito a darsi una struttura nazionale. Il suo leader ha sostenuto che nessun nato
prima del 1978 (anno di approvazione della Costituzione vigente) dovrebbe dedicarsi alla politica... Insomma
che tutto ebbe inizio nel 1978... Ma è
serio sostenere certe tesi? Chi le
ricorderà, tra un mese o un anno? Oppure quando si voterà a novembre per le
politiche? Mah...
E sul piano esplicativo? Perché questa crisi? Può approfondire?
Diciamo
che la tesi preferita e ricorrente è quella delle due Spagne. In effetti, il voto urbano va a sinistra, il rurale no.
Però, si tratta di una tendenza che risale alla Rivoluzione francese...
Nulla di nuovo sotto il sole. Inoltre, il voto “conservatore” (intendendo con questo termine
il voto ai partiti classici: PP e PSOE)
predomina nelle fasce di età dei 45-50
anni, mentre i più giovani preferiscono i
partiti cosiddetti emergenti.
Quindi, se le cose stanno così, non si
può parlare di fine del bipartitismo?
Certo.
Perchè farne il capro espiatorio di tutti i mali spagnoli, quando più del 50
per cento dei voti si concentra sui due
partiti principali, PP e PSOE?
Casualmente, proprio in questi giorni sto leggendo la teoria dei periodi
politici di un suo illustre
concittadino, Giuseppe Ferrari...
Giuseppe Ferrari, un grande pensatore
sociale. Purtroppo, ecco la riprova che nessuno è profeta in patria... Da noi, in
Italia, è finito nel dimenticatoio... Perciò fa piacere che qualcuno ancora lo legga e
apprezzi. Comunque diceva?
Scrive
Ferrari: “ad ogni trentennio un nuovo dramma si presenta […] e si risaliamo più
oltre, noi vedremo i governi regolarmente rovesciati a capo di trent’anni da
mutazioni dove tutto cambia, dalla favorita del re sino al suo confessore”. .. Come non trovare conforto in tali parole. Tutto
sommato, il “dramma” delle elezioni di domenica, per molti una specie di maremoto dalle conseguenze
incalcolabili - da Rajoy all’ultimo deputato o consigliere regionale, orfani
del loro modus vivendi - non
è che una normale conseguenza...
Io direi “costante”...
Giusto.
Una “costante” politica, o metapolitica, se preferisce... Sono suo lettore...
E anche traduttore... Lasciamo però perdere i birignao tra di
noi... Che ai lettori..
Certo.
Dicevo, per riallacciarmi, alla saggezza politica di Ferrari, che si
tratta di una costante della vita
politica: il rinnovamento delle élite.
Che pertiene non soltanto alla politica
democratica o partitocratica. Ma al “politico”: ogni trenta o
quarant’anni il contado cambia... e cambiano anche i contadini che di
esso fanno parte. Parafrasando Pessoa, se guardo al presente con attenzione,
scopro che è già passato.
Conclusioni?
Siamo
dinanzi alla lex aeterna del ciclo politico.
Il passato che in qualche misura
torna sempre. Le elezioni di
domenica costituiscono una ulteriore tappa
verso la “degradazione” pluralista del potere dello Stato: dopo Franco, piaccia o meno, lo Stato Amministrativo, lo Stato
delle classi medie, eredità della dittatura, è finito nel tritacarne della democrazia . Insomma, il ciclo politico spagnolo, iniziato nel triennio 1976-1978, sventolando la bandiera del decentramento,
ora rischia di ammainarla,
dinanzi alle devastanti tendenze centrifughe, insite nel sistema stesso. Infine, alla tensione separatista o
indipendentista, “marchio di fabbrica”, come appena ricordato, della Costituzione vigente, va sommata la tensione
di un sistema di fatto
ingovernabile per la estrema frammentazione partitica, ma anche a causa della nascita e sviluppo di partiti che si basano, come dire, sul cupio dissolvi dell’ auto-odio spagnolo.
( a cura di Carlo
Gambescia © )
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