mercoledì 6 maggio 2015

House of Cards, serie televisiva, madre di tutti i realismi politici?
La politica secondo Frank Underwood



A nostro  avviso, al di là degli aspetti più romanzeschi tipici delle fiction televisive americana, House of Cards è  forse il migliore avviamento  allo studio del potere, come dire, pop. Insomma, capace di  giungere a tutti.  Certo, poi, ogni spettatore "riceverà",  secondo le proprie simpatie politiche e “idealità” (per dirla all’antica).
Diciamo subito che  il programma non è  per  teneri di  cuore: virtuisti, fautori della democrazia diretta,  proceduralisti. Frank Underwood apparentemente è  un concentrato di realismo politico, applicato alla sua volontà di potere,  Di qui,  il rischio di trasformarsi in tiranno,  nell’accezione di colui che governa contro le leggi, per auto-affermarsi,  accusa infatti  mossagli dagli avversari.  
In effetti, se a contare è solo la fame di potere, e quindi il realismo  non è  “auto-applicato” (lo si applica agli avversari ma non a se stessi), il rischio esiste: nel senso che la regola, dell’ ”immaginazione del disastro” (che anima il buon realismo politico, Jerónimo Molina docet)  deve valere  in termini previsionali anche per le proprie capacità di provocare catastrofi, magari  puntando su politiche personalistiche... Il che significa che Frank Underwood, prima che realista, è giocatore. In ogni tiranno, c’è un giocatore, che scommette su se stesso (e talvolta contro se stesso).  Ma, attenzione, un elemento di gioco, è rinvenibile anche nel realista “buono”. Si pensi, per fare due esempi fin troppo alti,  a Cavour e Bismarck,  abili  giocatori al tavolo della politica (il primo anche nella vita privata), ma sempre con l’occhio critico, su ciò che è realmente possibile. Insomma, è un problema di misura, di quantità  modiche…
Concludendo che cos’è la politica per Frank Underwood?  Auto-affermazione. Quindi House of Cards, insegna  a distinguere tra realismo politico vero e  falso.  Il che non è poco. 

Carlo Gambescia        

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