House of Cards, serie televisiva, madre di tutti i realismi politici?
La politica secondo Frank Underwood
A nostro avviso, al di là degli aspetti più
romanzeschi tipici delle fiction televisive americana, House of Cards è forse il
migliore avviamento allo studio del
potere, come dire, pop. Insomma, capace di
giungere a tutti. Certo, poi,
ogni spettatore "riceverà", secondo le proprie simpatie politiche e “idealità” (per dirla all’antica).
Diciamo subito che il programma non è per
teneri di cuore: virtuisti,
fautori della democrazia diretta,
proceduralisti. Frank Underwood apparentemente è un concentrato di realismo politico, applicato
alla sua volontà di potere, Di qui, il rischio di trasformarsi in tiranno, nell’accezione di colui che governa contro le
leggi, per auto-affermarsi, accusa
infatti mossagli dagli avversari.
In effetti, se a contare è solo
la fame di potere, e quindi il realismo
non è “auto-applicato”
(lo si applica agli avversari ma non a se stessi), il rischio esiste: nel senso
che la regola, dell’ ”immaginazione del disastro” (che anima il buon realismo
politico, Jerónimo Molina docet) deve valere in termini previsionali anche per le proprie capacità di
provocare catastrofi, magari puntando su politiche personalistiche... Il che significa che Frank Underwood, prima
che realista, è giocatore. In ogni tiranno, c’è un giocatore, che scommette su se stesso (e talvolta contro se stesso). Ma, attenzione, un elemento di
gioco, è rinvenibile anche nel realista “buono”. Si pensi, per fare due esempi fin troppo alti, a Cavour e
Bismarck, abili giocatori al tavolo della politica (il primo anche nella vita privata), ma
sempre con l’occhio critico, su ciò che è realmente possibile. Insomma, è un
problema di misura, di quantità modiche…
Concludendo che cos’è la politica
per Frank Underwood? Auto-affermazione. Quindi House of Cards, insegna a distinguere tra realismo politico vero e falso. Il che non è poco.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento