Anti-Expo: paghiamo tuttora i danni provocati dalla cultura marxista dell’odio
Milano da bruciare
Da dove proviene la cultura degli
sfasciatori di vetrine? Attenzione, non
solo del black block, come dire, “medio”, ma di coloro che ne condividono l’odio verso la
società di mercato, il liberalismo, la democrazia rappresentativa, di cui la sciagurata manifestazione anti-Expo di Milano,
nel suo complesso (dagli slogan alle automobili incendiate), rimane la prova più evidente.
L’Italia, negli anni Sessanta e Settanta dell'altro secolo, ha vissuto il lungo periodo dell' egemonia culturale marxista,
nelle sue varie versioni (“moderate” e radicali, tutte comunque anticapitaliste).
Facciamo un solo esempio. Nel 1976 riuscì
il Compendio del Capitale di Carlo Cafiero, primo tentativo (1878) di
portare Marx al popolo. Ma il punto che qui interessa è un altro.
Chi lo pubblicò? Garzanti. Non un editore qualunque. E in quale veste?
Nella popolarissima collana “Argomenti”.
Il che presupponeva una distribuzione a largo raggio, perfino nelle edicole ( dove chi
scrive acquistò la propria copia). L’Introduzione, affidata a un economista "psiuppino", era addirittura esplosiva. Poche e sbrigative parole su Cafiero (*),
poi il lungo comizio da fabbrica occupata.
O se si preferisce da cattivo maestro.
«La crisi che, dopo un lungo
periodo quasi ininterrotto di sviluppo, colpisce tutto il mondo capitalistico e travalica da crisi
economica a crisi dei valori, degli ideali borghesi, della stessa morale,
mostra non tanto l’inettitudine dei governanti e la loro corruzione, non solo
che i tanto decantanti strumenti keynesiani poco possono fare, non solo che i grandi
strumenti di persuasione non riescono ad imporre un punto di vista “borghese”,
quanto soprattutto la “necessità” della rivoluzione e il limite storico del
capitalismo. L’imperialismo Usa è potente ma non imbattibile come dimostra la
guerra del Vietnam; la “sporca guerra” si ritorce contro la società americana
dando luogo a processi di presa di coscienza politica che avviano ad
incriminare quella che sembrava la più stabile società capitalistica. E’ nei
paesi avanzati che emerge con più forza ed evidenzia il “bisogno di comunismo”,
la necessità cioè di rompere il vincolo dei rapporti sociali di produzione per
permettere il pieno dispiegarsi della forze produttive» (pp. 10-11) .
Esageriamo? No. L’esempio
è utile, perché rinvia al piccolo cabotaggio ( parliamo
di un prodotto editoriale “medio”) e di conseguenza a una
capillarità poi sedimentatasi, nonostante
tutto, nel pregiudizio collettivo antisistemico ( i "limiti storici", eccetera). Come prova la
manifestazione anti-Expo. Sicché, il comunismo è caduto, confutato nei fatti, per dirla con Del Noce, resta tuttavia, più vivo che mai, l’odio pregiudiziale verso tutto ciò che
viene liquidato come borghese. Certo, si
tratta di subculture, spesso marginali. Però…
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento