domenica 3 maggio 2015

Anti-Expo:  paghiamo tuttora i  danni  provocati dalla cultura marxista  dell’odio
Milano da bruciare




Da dove proviene la cultura degli sfasciatori di vetrine?  Attenzione, non solo del black block, come dire, “medio”,  ma di coloro che ne condividono l’odio verso la società di mercato, il liberalismo, la democrazia rappresentativa,  di cui la sciagurata manifestazione anti-Expo  di  Milano, nel suo complesso (dagli  slogan alle  automobili incendiate),   rimane  la prova più evidente.
L’Italia,  negli anni Sessanta e Settanta dell'altro secolo,  ha vissuto il lungo  periodo dell' egemonia  culturale marxista, nelle sue varie versioni (“moderate” e radicali, tutte comunque anticapitaliste).  Facciamo un solo esempio. Nel 1976 riuscì il Compendio del Capitale  di Carlo Cafiero, primo tentativo (1878) di portare Marx al popolo. Ma il punto che qui interessa è un altro. 


Chi lo  pubblicò? Garzanti.  Non un editore qualunque.   E in quale  veste? Nella popolarissima collana “Argomenti”. Il  che presupponeva  una distribuzione a  largo raggio,  perfino nelle edicole ( dove chi scrive acquistò la propria copia). L’Introduzione, affidata a un economista "psiuppino", era addirittura esplosiva. Poche e sbrigative parole su Cafiero (*), poi il lungo comizio da fabbrica occupata.  O se si preferisce da cattivo maestro.

«La crisi che, dopo un lungo periodo quasi ininterrotto di sviluppo, colpisce tutto  il mondo capitalistico e travalica da crisi economica a crisi dei valori, degli ideali borghesi, della stessa morale, mostra non tanto l’inettitudine dei governanti e la loro corruzione, non solo che i tanto decantanti strumenti keynesiani poco possono fare, non solo che i grandi strumenti di persuasione non riescono ad imporre un punto di vista “borghese”, quanto soprattutto la “necessità” della rivoluzione e il limite storico del capitalismo. L’imperialismo Usa è potente ma non imbattibile come dimostra la guerra del Vietnam; la “sporca guerra” si ritorce contro la società americana dando luogo a processi di presa di coscienza politica che avviano ad incriminare quella che sembrava la più stabile società capitalistica. E’ nei paesi avanzati che emerge con più forza ed evidenzia il “bisogno di comunismo”, la necessità cioè di rompere il vincolo dei rapporti sociali di produzione per permettere il pieno dispiegarsi della forze produttive»  (pp. 10-11) .

Esageriamo?   No. L’esempio è  utile,  perché rinvia al piccolo cabotaggio ( parliamo di un prodotto editoriale “medio”) e di conseguenza  a  una capillarità  poi sedimentatasi, nonostante tutto, nel pregiudizio collettivo antisistemico ( i "limiti storici", eccetera). Come prova la manifestazione anti-Expo. Sicché, il comunismo è caduto, confutato nei fatti, per dirla con Del Noce,  resta tuttavia, più vivo che mai, l’odio pregiudiziale verso tutto ciò che viene liquidato come borghese.  Certo, si tratta di subculture,  spesso  marginali.  Però…
Carlo Gambescia

 (*) Per una seria analisi dell’opera di Cafiero si veda  Gian Mario Bravo, Marx ed Engels in Italia, Editori Riuniti 1992, pp. 100-107.            

Nessun commento:

Posta un commento