lunedì 18 maggio 2015

La riflessione
Il corpo del cittadino
di Giuliano Borghi




Il consolidarsi dello Stato Moderno Europeo, mentre da un lato riesce a porre fine alle guerre a giustificazione religiosa e a normalizzare il conflitto civile, da un altro lato afferma la concezione personale e patrimoniale della Sovranità. Da quel momento la sovranità sta nel corpo del re e il sovrano è tale in quanto è il titolare e colui che esercita la sovranità. Il re fornisce il suo corpo al regno ed è nel suo corpo e nelle sue mani  che i diritti e gli interessi dei sudditi e i diritti e gli interessi dello stesso monarca riposano uniti. Il monarca fa corpo con il regno, fa tutt’uno con la sovranità. E tale assolutezza rimane anche quando dovesse ritenere, per un qualsiasi motivo, di affidare ai suoi politiques il temporaneo e parziale esercizio del governo. I sudditi, a dire il vero, sono assenti e possono solamente assistere come spettatori passivi alla maestosa recita della sovranità sulla nuova scena del mondo. Si ha qui la prima sequenza della concezione moderna della Sovranità.
Nell’autunno della forma assoluta della Sovranità, si apre la seconda sequenza di essa, quella impersonale. Ora, con la Rivoluzione Francese,  viene proclamato titolare della sovranità il  popolo. Il popolo è una sola cosa, “popolo in corpo”, ed è tutt’uno con la sovranità che è legittimato ad esercitare.  Solo che, mentre sotto il monarca il  rapporto tra re e sudditi era diretto e trasparente, ora questo rapporto continua a sussistere, ma notevolmente offuscato.
Il popolo, in effetti, è solo un nome astratto, che non coincide né con il singolo cittadino, né con la  somma dei cittadini, e neppure con i suoi rappresentanti politici, anzi supera la loro concretezza esistenziale al punto tale che se tutti dovessero scomparire, sopra questo vuoto continuerebbe ad aleggiare il popolo e l’impersonalità della sua potenza. Definiti “cittadini” e non più sudditi del re, gli uomini del popolo continuano tuttavia ad essere sudditi, formalmente titolari della Sovranità, ma nei fatti aggregato passivo ristretto nella gabbia di uno spettro giuridico-finanziario. Sostenere che il popolo ubbidendo alle leggi ubbidisce a se stesso è un mero artifizio retorico. Formalmente lo Stato traduce giuridicamente il popolo, ma quelli che prevalgono, e governano, sono gruppi ristretti che, proclamandosi “rappresentanti”del popolo impongono i loro vizi privati come pubbliche virtù. Lo Stato, è vero che legittima il suo principio nel “popolo” e attraverso la legge giustifica la sua autorità su di esso. Ma il corpo concreto mediante il quale vive, se non è più quello del re, non è neppure quello dei cittadini. E’ piuttosto l’insieme degli apparati politici, giuridici, militari, finanziari a fornire il tessuto reale nel quale si reifica l’entità astratta dello Stato.
Più ancora, la dimensione patrimoniale della sovranità del popolo è stata recisa dal foro pubblico e consegnata, nei penetrali privati delle banche e delle borse,  nelle mani di affaristi e finanzieri per costituzione e per statuto indifferenti alla res publica.
Il vero sovrano  è  unicamente colui che decide. Se al posto dei Cittadini sono ben altri a decidere, è evidente che è solo una letale mistificazione affermare che in “democrazia” sovrano è il popolo, perché giustificherebbe un sistema che il popolo, invece,  uccide.
Occorre puntare, pertanto, ad una ulteriore sequenza della sovranità, che la veda incarnata nei corpi concreti dei singoli cittadini, che si fanno metafora organica della Città e dove  il presupposto dell’esistenza dello  Stato risieda nell’essere  comunità personale e patrimoniale dei Cittadini.
 Sarebbe sufficiente porre come punti fermi che:
. la proprietà dei beni dello Stato venisse attribuita ai Cittadini
. il reddito del capitale dello Stato, mezzo con il quale si rende reale il godimento della proprietà       comune, fosse distribuito ad ogni cittadino come suo pieno diritto soggettivo
.  la moneta divenisse proprietà dei cittadini all’atto della sua emissione
. la cittadinanza fosse un privilegio civico che si deve meritare attivamente e continuamente e che non si può acquistare, una volta per tutte, come una carta di credito, o come mera conseguenza automatica di un ius solis e neppure di un ius sanguinis.


Giuliano Borghi


Giuliano Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi.  Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.

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