giovedì 22 dicembre 2022

Falce e Mirtillo, la scomparsa di Alberto Asor Rosa

 

 


Qualcuno un giorno dovrà scrivere la storia “non autorizzata”, come recitano certe biografie statunitensi, della Facoltà di Lettere della Sapienza. Prima nelle mani di professori di storia romana e letteratura latina, in attesa del pucciniano “ sole” di Roma, reinventato da un nuovo Cesare in camicia nera, poi nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, possesso di diritto quiritario (visto che siamo argomento) della nomenclatura intellettuale del partito comunista e dell’azionismo più sfegatato. Inutile fare nomi, a destra come a sinistra, per un rispetto verso professori che comunque sia dal punto di vista tecnico la sapevano lunga. Ne facciamo solo due, Sapegno e Paratore.

A questo pensavamo a proposito della scomparsa del professor Alberto Asor Rosa, allievo di Sapegno, ma privo di quel superiore fare olimpico del suo Maestro. Asor Rosa fu invece nemico giurato di professori liberali o socialisti democratici come Romeo, De Felice, Garosci, che negli anni settanta tentavano di fare lezione. De Felice, passò (ma sarebbe meglio dire si rifugiò) a Scienze politiche, dove però fu contestato altrettanto ferocemente. Per la cronaca, tra i contestatori, vi era un giovane Paolo Cento, allora come oggi, fervente illetterato.

Di queste persecuzioni nel 2022, per ragioni di bon ton politico, non si parla più. Non è elegante. Invece sarebbe utile e giusto sapere che negli anni Settanta, Romeo e De Felice, due grandissimi storici, pensarono seriamente di trasferirsi all’estero. Sartori, altro professore liberale, di fama mondiale, invece mise in atto. E fece bene.

Comunque sia, Asor Rosa, che, se ci si passa la caduta di stile, negli anni perse il pelo ma non il vizio, coccolò sempre l’estremismo politico. Al punto di evocare nel 2011, un colpo di stato per togliere di mezzo Berlusconi. Attenzione, Asor Rosa, non pensava e felpati professori tipo Monti, ma a esercito, polizia e carabinieri (*).

In realtà Asor Rosa resta il classico leninista da strapazzo. L’espressione può apparire volgare, ma come definire chi per tutta la vita di professore ha teorizzato la storia della letteratura italiana solo in termini di puri rapporti di potere, incendiando, come si diceva un tempo, le menti dei “giovani virgulti? Per poi fare che cosa? Una splendida carriera accademica in termini di falce e mirtillo? Di proclami incendiari e tisane al mirtillo.

Non ne facciamo una questione di coerenza rivoluzionaria, alla Renato Curcio per intendersi, uomo comunque intelligentissimo (forse più di Asor Rosa), passato dai laboratori sociologici alla pratica rivoluzionaria. Ma parliamo di una specie di leninismo, per l’appunto da strapazzo, dilettantistico, ma non meno pericoloso, che rischia quasi sempre di mandare al massacro gli altri, per poi scusarsi, non tanto per i frutti avvelenati della predicazione, ma per non aver saputo intercettare le condizioni storiche della rivoluzione perfetta.

Sotto questo aspetto l’intera produzione scientifica di Asor Rosa non è degna di essere definita tale. Si pensi ai faldoni di atti giudiziari che i commessi dei tribunali trascinano stancamente su carrellini a rotelle. L’ intera opera di Asor Rosa è una specie di processo politico alla letteratura italiana. Ad esempio, le sue pagine sulla cultura dell’Italia Unita (Einaudi), in particolare quella dopo il Risorgimento, hanno un carattere giudiziario: i suoi non sono giudizi storici ma sentenze della Corte di Cassazione, e senza rinvio.

In argomento, si metta a confronto la pagina di Sapegno, che aveva assorbito, pur allontanandosi, la pietas crociana, da quella di Asor Rosa che non perdonava nessuno.

Va però detto che le sue critiche al Pasolini romanziere, in Scrittori e popolo, restano fondate. Però il punto è che il romanticismo politico pasoliniano, sul piano della pratica rivoluzionaria, ha fatto meno danni della Letterepoli critico-giudiziaria di Asor Rosa.

Ovviamente, il populismo è non meno pericoloso del terrorismo. Però resta un fatto di mentalità, certo non facile da contrastare. Ma sempre preferibile al famigerato “armi della critica” ( tra l’altro titolo di un’antologia celebrativa di scritti anni Sessanta di Asor Rosa), che si trasforma quasi sempre in “critica delle armi”.

Dopo di che, c’è sempre chi andrà a sorbirsi una tisana al bar e chi invece preferirà impugnare una pistola.

I primi si chiamano anche cattivi maestri.

Carlo Gambescia

(*) Qui un nostro commento del 2011 : https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2011/04/asor-rosa-lo-stato-di-mergenza-un.html .

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