venerdì 23 dicembre 2022

“Storicizzare” Voltaire

 


Per capire come Voltaire ancora viva e lotti insieme a noi liberali, basta accendere la radio e apprendere che in Afghanistan alle donne viene impedito l’accesso all’ università. L’intolleranza non è mai stata sconfitta del tutto. E chi sa se lo sarà mai. Di qui l’importanza di continuare a leggere e rileggere Voltaire: il filosofo, il drammaturgo, lo scrittore, il “giornalista” e, ultimo ma non ultimo, lo storico.

E qui giunge a puntino, come si dice, quel “monumento” cartaceo appena uscito, che consiste nella raccolta delle sue Opere storiche , cura di Domenico Felice, autentico stacanovista della storia del pensiero illuminista (Giunti-Bompiani/il Pensiero Occidentale, pp. 3120, testo a fronte, euro 90.00). Raccolta preceduta da un’altra opera fondamentale in ambito di storico, sempre di Voltaire, uscita nel 2017 nei Millenni Einaudi, curata ça va sans dire dal professor Felice, il celebre Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni.

Sicché, chi voglia respirare dell’aria fresca, anche in Occidente, dove l’organicismo welfarista e il fondamentalismo del politicamente corretto (a destra come a sinistra) non sono da meno, seppure secondo “modalità dolci”, non afghane, ora dispone di un quadro pressoché completo.

La raccolta, frutto di un eccellente lavoro a più mani, di curatela e traduzioni, coordinato da Domenico Felice (che tra l’altro si avvale di una dotta e sottile introduzione di Roberto Finzi, altro illustre specialista, scomparso di recente) comprende i seguenti studi: 1) Sulle diverse maniere di scrivere la storia (raccolta di scritti vari metodologici, come si direbbe oggi) a cura di Riccardo Campi; 2) Storia di Carlo XII re di Svezia, traduzione di Luigi Delia, rivista e annotata da Pietro Venturelli; 3) Il secolo di Luigi XIV , traduzione di Carlo Tugnoli, rivista e annotata da Domenico Felice; 4) Annali dell’Impero dal Regno di Carlo Magno e Appendice, a cura di Domenico Felice; 5) Storia della guerra del 1741 e Appendice, traduzione di Carlo Tugnoli e annotazione di Domenico Felice; 5) Storia dell’Impero russo sotto Pietro il Grandee Appendice, traduzione di Simón Gallegos Gabilondo, rivista e annotata da Piero Venturelli; 6) Compendio del secolo di Luigi XV e Appendice, curata da Riccardo Campi.

La lista può apparire noiosa, ma a differenza delle cattedrali medievali, opere quasi sempre anonime, questa “cattedrale” storica voltairiana ha i suoi architetti, che meritano la nostra riconoscenza. Di qui l’importanza dei nomi e dei cognomi.

Solo un’ultima cosa, prima di entrare nel merito della raccolta. Come ricorda Domenico Felice, altri lavori storici dei quali il cultore avrà rivelato l’assenza ( come Histoire du Parlement de Paris Fragments sur l’Inde et sur le général Lalli), verranno pubblicati in una successiva raccolta di scritti giuridici.

Croce o Diaz? Ecco il dilemma. Che si pone, per chiunque abbia in biblioteca due opere che in ambito italiano racchiudono ermeneutiche opposte, o quasi, sulla natura del lavoro storico voltairiano: il Croce di Teoria e storia della storiografia (1927) che parla di astrattezze e “prammatismo” . Il Furio Diaz, di Voltaire storico (1958) che invece ne rivendica la concretezza. Probabilmente semplifichiamo troppo. Del resto non siamo storici delle idee ma umilissimi sociologi.

Per dirla altrimenti, e proprio in sociologhese: nell’opera storica di Voltaire, il mutamento sociale rinvia alle libere scelte degli individui e a una “certa” idea di progresso, storicizzato secondo le concrete possibilità delle differenti epoche (Diaz)? Oppure tutto si riduce a un astratto e antistorico accumulo di curiosità nei più diversi cassettini storici, sempre in bilico tra astrattezze e convenienze del momento (Croce)?

Il gruppo di fucilieri che ha introdotto e curato l’articolata raccolta, Finzi, Felice, Campi. Venturelli sembra essere dalla parte di Furio Diaz: tutti pronti ad aprire il fuoco contro certi eccessi cuochiani di Croce.

E qui si noti una cosa. Dal punto di vista della (presunta) astrattezza, Hayek, che in Legge, legislazione e libertà, cita Voltaire una sola volta nel testo, e quasi di sfuggita, lo riconduce, diciamo a grandissime linee nell’alveo dei costruttivisti. Però – ecco il punto interessante – si guarda bene dall’approfondirne il pensiero: Hayek fiuta il pericolo e preferisce concentrare il suo fuoco, e giustamente, su Bentham, vero e proprio ingegnere sociale (*).

Cosa significa? Che il pensiero di Voltaire è complesso, o meglio molto articolato. E che della cosa, prudentemente, si è accorto anche il più grande teorico del liberalismo novecentesco. Che, infatti, a Croce non piaceva. Ma questa è un’altra storia che riporta alla mancata edizione italiana, per i tipi di Laterza, de La via della schiavitù.

Articolato in che senso? Che la pallottola che uccide Carlo XII, o il vaiolo che porta alla morte Luigi XV, sono secondo Voltaire fatalità che si possono trasformare in opportunità. Che gli uomini devono riuscire a cogliere: nel primo caso concentrandosi, post factum , sulle vere riforme interne, nel secondo ricorrendo al vaccino. E cos'è tutto ciò?  Se non un'occasione di progresso ben individuata da Voltaire (oggi si direbbe “ una finestra”)?

E qui va fatta un’altra osservazione: l’invenzione – anche istituzionale – procede lungo un cammino dall’alto verso il basso: saranno i nobili a farsi inoculare il vaccino per primi dando così l’esempio. La spirale del progresso, secondo Voltaire, ha bisogno, per essere avviata, degli uomini migliori, comunque eccezionali e in circostanza (che costituiscono l’eccezione ambientale). Uomini che però sono quasi sempre in alto, come ad esempio Luigi XIV e Pietro Il Grande.

Qui risiede la differenza tra Voltaire e Guizot. Non sobbalzino sulla sedia gli specialisti di storia delle idee.

Tra Voltaire e Guizot si frappongono la Rivoluzione e Napoleone. Voltaire crede nello statista illuminato, Guizot (ma anche Constant e Tocqueville) ne ha invece assaggiato la frusta. Di qui una diversa valutazione, ad esempio, dello sviluppo delle istituzioni parlamentari in Francia e in Gran Bretagna: entrambi ammiratori, ma Voltaire alla luce della Francia pre-rivoluzionaria, Guizot, di quella post-napoleonica. E qui sarebbe interessante rileggere la Histoire du Parlement de Paris in parallelo con le opere guizotiane dedicate alle sviluppo delle istituzioni rappresentative in Francia, a partire da De gouvernement répresentatif (1816).

Sicché – forse sintetizzando troppo – nei processi di innovazione (chiediamo scusa per il sociologhese) per Guizot i grandi uomini sono l’eccezione ambientale, per Voltaire la regola.Come dire? Il necessario plusvalore innovativo.

In Guizot, i processi sociali vanno assecondati (dal basso verso l’alto), in Voltaire esiste invece il gusto della sfida dell’uomo di eccezione ( dall’alto verso basso). A Voltaire sembrano sfuggire, in termini di effetti di ricaduta,  le asprezze cripto-totalitarie. Non per colpe proprie, ma per semplici ragioni anagrafiche: perché nato e morto prima.

Ciò non significa, come sostiene giustamente Diaz, che Voltaire, pur nel suo élitismo (che a dire il vero ritroveremo, rivisto e corretto anche nel Guizot politico “dell’arricchitevi”), talvolta schematico, ignori come il progresso si nutra di tutti gli aspetti della realtà, nel bene come nel male.

Proprio secondo Guizot, Voltaire sapeva cogliere, come scrittore, gli aspetti poetici, diciamo romantici, anche positivi della realtà, perfino di certe usanze sociali di quei secoli “bui”, che in qualche modo ancora persistevano nel secolo XVIII. Però Voltaire, aggiunge Guizot, risentiva dello spirito di questo secolo, e perciò  secondo un micidiale  gioco di azioni e reazioni  tendeva a condannarlo in blocco (**).

La domanda probabilmente è oziosa, però in qualche modo intellettualmente necessaria: come avrebbe reagito Voltaire alla Rivoluzione e Napoleone? Natura o cultura? Colpe umane, frutto di un antropologia negativa? O abuso della ragione?

Hayek e Guizot hanno parlato di abuso della ragione. Ma post factum. Troppo facile. Ciò significa, che anche Voltaire, in coerenza con la lezione di Diaz, va “storicizzato”. E in questo senso la raccolta curata da Domenico Felice è un importantissimo contributo alla discussione critica e scientifica. Ma anche, cosa non meno importante, a far sì che Voltaire possa continuare a vivere e lottare insieme a noi liberali.

Carlo Gambescia

(*) Si veda F.A. Hayek, Legge, legislazione e libertà, Il Saggiatore, Milano 1989, p. 37.
(**) Il punto è svolto in F. Guizot, Storia della civiltà in Francia, a cura di R. Pozzi, Utet, Torini 1974. pp. 767-768.

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