giovedì 1 dicembre 2022

Il romanticismo politico di Pasolini

 


Cominciamo dalla fine. Innanzitutto, fine, perché si sta concludendo l’anno del centenario pasoliniano (1922-2022). In secondo luogo, perché chi desideri capire qualcosa sul Pasolini intellettuale, non può che iniziare da Salò o le 120 giornate di Sodoma, ultimo film girato, oggi recuperabile su YouTube (*).

Se si spoglia il film dalla sovrastruttura spettacolare, diciamo dalle immagini in perfetto modernismo sadomaso, diremmo quasi calligrafico, che all’epoca provocarono sequestri e problemi giudiziari, si può cogliere, diremmo sociologicamente, il Pasolini intellettuale.

Con questo termine indichiamo il ruolo sociale storico dell’ intellettuale come giudice della modernità. Perciò il termine recupera, assemblando, il Pasolini scrittore, poeta, regista, artista e quant’altro.

Salò racchiude un’ interessante metafora sul potere e i suoi tremendi abusi, che però, come vedremo, resta sospesa a metà. Qui comunque l’interesse del film.

Veniamo subito al punto. Pasolini è un intellettuale romantico, quindi anticapitalista, che accetta senza battere ciglio l’equazione borghesia-fascismo. Come si può facilmente scoprire dall’estrazione sociale dei quattro protagonisti. In questo modo, per Pasolini, lo sbocco naturale della modernità capitalistica, a direzione borghese, è in una specie di macchina spersonalizzante che fagocita gli esseri umani. Come prova il duro inquadramento e sfruttamento fisico degli altri giovani protagonisti, fascisti o meno, da parte di borghesi fascisti e capitalisti.

In qualche misura Pasolini è un luddista romantico, che però non si propone di distruggere come agli inizi del capitalismo le macchine che sottraggono lavoro agli operai. Pasolini vuole invece usarle contro il capitalismo stesso. Sicché la “macchina cinematografica”, dopo la macchina per scrivere, secondo una specie di processo scalare, non è altro che lo strumento di un modernismo tecnico, utilitaristico, per abbattere il modernismo capitalista tout court.

Sotto questo aspetto la tecnologia cinematografica a sfondo sadomaso del film, non è altro che l’occasione per impiccare il capitalismo con la corda fornita dal capitalismo stesso. E in particolare dalla macchina delle macchine: l’industria cinematografica con le sue potenti tecniche espressive, che Pasolini mette al servizio del suo romanticismo politico o se si preferisce del suo modernismo reazionario: moderno nei mezzi,  reazionario o comunque ambiguo nei  fini anti-individualistici.

In qualche misura – e nessuno se n’è accorto – Salò è un film reazionario: di un’ antimodernità assoluta, perché riduce la modernità borghese e liberale a una specie di “fasciolibertinismo” di massa. In cui il fascismo, come sosteneva Del Noce, filosofo cattolico conservatore, al quale Pasolini non dispiaceva, non era che la prima fase “sacrale”, di un processo totalitario, che attraverso la società dei consumi, che ne rappresentava la fase “profana”, tramutava gli uomini, e in particolare le masse, in impersonali soggetti e oggetti di piacere.

Dicevamo di Salò come metafora di un potere che abusa. Purtroppo il processo cognitivo pasoliniano, come anticipato, si ferma a metà strada, perché il suo romanticismo politico antimoderno gli impedisce di comprendere la natura liberale della società moderna. E quindi le sue enormi potenzialità. Certo, anche limiti, che però possono essere contrastati, solo se si crede nell’individuo e nella sue forza  creativa.

Potenzialità che egli nega al liberalismo, ma non al marxismo, illudendosi così di salvarsi in corner.

In realtà il marxismo è vissuto da Pasolini romanticamente, in chiave idealizzata e anti-individualistica (di qui il suo “reazionarismo”). La società post liberale è concepita come una nuova storia dell’umanità, una nuova fase che deve succedere alla preistoria capitalistica, borghese e inevitabilmente fascista. Qui Pasolini sposa una visione parareligiosa, comune anche ad altri intellettuali marxisti che lo conduce a confidare nella forza salvifica del partito, come benefica entità olistica.

Perciò in Pasolini manca assolutamente una moderna teoria dell’individuo: il soggetto è visto da Pasolini come una specie di schiavo di una struttura sociale oggettiva, ripetiamo, marxisticamente giudicata come preistorica.

Il punto è piuttosto complicato, ricco di ambiguità e sfumature, difficile da spiegare, anche per ragioni di spazio.

Comunque sia, in sintesi, Pasolini sembra muoversi tra preistoria e storia, aderendo a un visione evolutiva, diciamo marxista, e antistoria, come negazione del ruolo, spesso inconsapevole, dell’individuo nella storia tout court. Di sicuro Pasolini aveva letto il Marchese de Sade ma non Adam Smith.

Di conseguenza, il suo approccio alla realtà sociale è olistico: ingloba l’individuo nel tutto sociale. Di qui la sua incomprensione delle moderne rivoluzioni liberali ridotte a mediocri tributarie del capitalismo, sentina di vizi per dirla all’antica. Di qui, ripetiamo, il suo “reazionarismo” che si nutre di un romanticismo politico marxista, tutto pasoliniano. Questa la sua cifra individuale, diremmo personale, di intellettuale collettivo.

Insomma, Pasolini è un intellettuale romantico, un modernista reazionario, che vuole usare gli strumenti della modernità contro la modernità. Un olista che riduce l’individuo al rango di sfruttatore e di sfruttato, come si mostra in Salò, persino in chiave fin troppo didattica (**).

Questo atteggiamento, romantico-olista, giornalisticamente racchiuso nella formuletta, oggi dai foschi colori populisti e complottisti, del “Pasolini che denuncia il Palazzo”, è molto apprezzato da intellettuali e movimenti antisistemici anticapitalisti e antiliberali. Come pure da certo autolesionismo culturale portato a rinnegare sistematicamente la tradizione liberale e borghese dell’Occidente.

Concludendo, per dirla in chiave giornalistica, Pasolini intellettuale fasciocomunista? Parliamone.

Carlo Gambescia

(*) Qui:
https://www.youtube.com/watch?v=AbSCQM5mkBQ. Sembra anche, come si legge, in versione integrale.

(**) Per un approfondimento del pensiero “sociologico” pasoliniano rinviamo al nostro Sociologi per caso, Edizioni Il Foglio 2016, cap. IX (“Pasolini, Berlinguer e la sociologia dell’austerità”).

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