martedì 31 marzo 2020

Cosa ci aspetta dopo il Coronavirus?
C’ è un brutto passato nel nostro futuro

Quando e come  si riprenderà l'Italia da questa overdose di assistenzialismo e autoritarismo? Bella domanda.  Alla quale è difficile, se non impossibile rispondere. Parliamo di un  Paese, storicamente distinto da piagnoni, mendicanti, avventurieri (anzi “condottieri”), con qualche colpo di genio, qualche eccellenza, ma privo di spina dorsale economica, spina dorsale liberale. Mai veramente approdato alla modernità. Forse alla post-modernità, ma senza passare per la prima.
In fondo, il problema  non è il Coronavirus.  E allora qual è?  
Diciamo subito che siamo al cospetto della prima epidemia populista-digitale della storia (saremmo  tentati di dire dell’intera storia umana), che ha visto un governo, di nuovo conio, presieduto (per  autodefinizione) da un “Avvocato del Popolo italiano”,   trasformare  un’epidemia stagionale, forse lievemente più forte del solito (i conti si faranno alla fine) in una pandemia psico-politica dalle devastanti conseguenze economiche e sociali. L’Italia populista sì è addirittura  proposta,  grazie alla pericolosa drasticità delle misure adottate, come apripista europeo:  una specie di modello occidentale, dopo la Cina. Un'Italia,  abilissima  nel segregare l' "amato" popolo pur di   salvarlo "tutto"  da  una catastrofe “reinventata”: la  Mecca per i populisti di tutto il mondo...
Qui è il problema. Sì, la catastrofe  “reinventata”. E gli effetti a catena prodotti dalla fiction politico-mediatica  sull’epidemia tutt’ora in onda e con grande successo (stando ai sondaggi favorevoli  per l’operato del Governo: vera sindrome sociologica di Stoccolma). Un fiction,  che, come “Don Matteo”  rischia di però non finire più.  Insomma, di avere  gravi  conseguenze per il futuro.
Di chi è la colpa?    Il giornalista  -  penso alle tante  scemenze che si leggono -  non può avere, proprio per mestiere  una visione generale,  innanzitutto perché  è sua   abitudine, dal momento che i tempi redazionali  sono ristretti,  correre subito alle conclusioni generali, anche se avventate. Inoltre, in questi giorni,   nelle prime pagine, ma anche in quelle interne  (ancora peggio televisioni, radio e social, questi ultimi  nelle mani di dilettanti), sono tornati a prevalere, più che mai,  i valori della cultura del romanzo d’ appendice, pesante eredità del populismo del XIX secolo, riversatasi nel populismo  del XXI: casi pietosi, intrighi politici, colpi di scena, sentimentalismo. E quel che peggio, un ipocrita “andare verso  il  popolo”, che non è più il popolo del  "Quarto Stato" di  Pellizza da Volpedo (da radici della rivoluzione industriale), ma  una massa disgregata di individualisti protetti, pronti a vendersi al primo offerente politico che spacci dosi di welfare tagliato con il veleno dell’autoritarismo. 


Di chi è allora la colpa, ripetiamo?  Intanto, di un servilismo verso il potere,  di cui l’ Italia,  a parte la parentesi Risorgimentale,  ha sempre dato prova.  Si dovrebbe fare la storia a singhiozzi del populismo italiano, dai Gracchi a Grillo, passando per Cesare, Gregorio VII, Cola di Rienzo e così via. Sul punto rinviamo a Fabio Cusin (Antistoria  d’Italia). 
Allora che cosa è successo?  Si è verificata una sciagurata  saldatura sociale  tra populismo culturale, mediatico  ma  dalle profonde  radici storiche,  e populismo politico, anch’esso antico, ma  rafforzato  dalle violentissime correnti antiliberali e antipolitiche che si sono abbattute sull’Italia negli ultimi venti, trent’anni. Si aggiunga a questo una Chiesa cattolica, anch’essa su posizioni populiste,  rafforzate dalla convergenza con il  peggiore moralismo  della  sinistra neocomunista,  ecologista e anticapitalista. Senza dimenticare il ruolo svolto per delega, come unica fonte autorizzata della decisione politica, dalle legioni di medici e scienziati arruolati dal governo populista,  prigionieri però, professionalmente prigionieri - i medici  -  di una visione ultraspecializzata, quindi limitata e impolitica della realtà.
Detto altrimenti:  la tempesta perfetta,  come sommatoria di alcune forme (storiche o meno) di impoliticità: culturali, populiste, religiose, moraliste, scientifiche. Fortificate dalle metodologie del welfare e digitali. Per farla breve: rischia di vincere,anzi sta  già vincendo,  l'antimodernità  armata, tecnologicamente armata,  di tutti i nemici coalizzati della società aperta. 

Ecco perché ha senso parlare, come dicevamo  all’inizio, di   prima epidemia populista-digitale della storia.    
Ora, su queste masse italiane, semi-modernizzate, da  secoli  affamate  di  "pane e giochi",  ammaliate e spaventate al tempo stesso dalla pseudocultura delle “feste, farina e forca”,  che effetto potrà avere l’overdose di provvedimenti assistenzial-autoritari del governo populista? Misure che  non possono non essere fonte inevitabile  di ruberie, imbrogli e prepotenze,  degne dei  reali   borbonici, dotati però di  droni e reti digitali?  
Che dire? C’è un brutto passato nel nostro futuro.  



Carlo Gambescia          



lunedì 30 marzo 2020


L’intervista del Premier  al “País”
Giuseppe Conte “usa” gli italiani…


Amici  lettori,  è il momento di parlare chiaro. Il Presidente del Consiglio non merita alcun trattamento giornalistico speciale.    
La lunga intervista di Giuseppe Conte apparsa  oggi  sul "País" (*) merita un commento accurato e soprattutto fuori dai denti.  Il testo ovviamente  è in lingua spagnola ma non presenta alcuna difficoltà di lettura... 
Innanzitutto Conte  ammette, la sospensione della Costituzione italiana:

Mire [guardi], estamos limitando derechos constitucionales de nuestros ciudadanos y Europa debe reaccionar evitando errores trágicos.

E qui, sembra temere,  la reazioni degli italiani, contraddicendosi, platealmente però.  Perché se  le  misure coercitive fossero state graduali come  asserisce qui ( corsivi, neretti e incisi sono nostri):

Es difícil pronunciarse, solo puedo decirle los criterios que reivindico: máximo rigor en la reacción, absoluta transparencia con los ciudadanos y medidas graduales según los criterios adecuados y de proporcionalidad. Y, sobre todo, seguir siempre las indicaciones de los mejores científicos, aunque luego se tome[prende] la decisión política.

Non ci sarebbe nulla da temere. In realtà,  la ragione è un’altra…

 La razón por la que procedemos gradualmente (sic) es porque la emergencia sanitaria ha sido luego una crisis económica. Ahora el aspecto más importante está siendo social y, sobre todo, de orden público. La gente realiza grandes sacrificios, y crece un gran malestar, también psicológico. No están habituados a asumir esas restricciones de circulación y a confinarse en casa. Empezamos a tener un problema también [anche] material, muchos ciudadanos carecen de sueldos fijos [non hanno salari fissi].

Conte,   come tutti i peggiori politici privi di idee, vuole usare l’ordine pubblico, come arma di ricatto verso l’Ue perché si  capisca che

es el momento de introducir una herramienta de deuda común europea que nos permita vencer lo antes posible esta guerra y relanzar la economía

In buona sostanza, Conte  minaccia di esportare la "rivoluzione" se non si trova “una herramienta [strumento] de deuda [del debito] común europea”. Insomma, se  l’Ue vuole impedire  che  l’ordine pubblico precipiti in Italia, contagiando gli altri paesi, deve finanziare il deficit italiano. Si trovi il modo.   Leninista alle vongole...
Inciso:  Conte le spara anche grosse,  perché promette alla Spagna quel che non abbiamo per noi…

Quiero expresar nuestra cercanía [vicinanza] y solidaridad con el Gobierno español y su población. Es un drama que conocemos muy bien y puedo imaginar las dificultades que atraviesan. Queremos salir cuanto antes de esta crisis para, entre otras cosas, poder ayudar con médicos, respiradores y dispositivos de protección personal a otros países como España.




Singolare, anche l’inversione argomentativa, all’insegna del post hoc ergo propter hoc, dove la crisi economica e sociale prossima ventura viene attribuita  all'emergenza sanitaria   in corso, in larga parte reinventata a tavolino, e non - attenzione -  alle sconsiderate misure economiche prese dal Governo populista che la precedono.

Esto es una crisis sanitaria que ha terminado explotando [ricadendo] en el campo económico y social. 

Di questo passo, altro che "salir [uscire] de la crisis cuanto antes [quanto prima]...  
In conclusione, un’intervista a uso esterno, dove si minaccia l’Ue, promettendo briciole alla Spagna.  E  dalla quale  emergono l’ipocrisia e la spregiudicatezza  di Giuseppe Conte. Che  “usa” gli italiani. Insomma, il populista "duro e puro" che invece "usa" il popolo come un qualsiasi routinier della politica.   
E per quali fini?   Il Potere.  Altro che trasparenza… 

Carlo Gambescia

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domenica 29 marzo 2020

Coronavirus e “ordine pubblico”
Italia in rivolta?  
Per ora, no


Oggi la stampa italiana,  (non solo "Libero"),  alzando troppo il tiro, ipotizza  rivolte sociali. Sul piano delle ipotesi sociologiche e politologiche, ovviamente,  nulla può essere escluso. Però al momento non crediamo possibile alcuna voice (protesta*) generalizzata.
Segnaliamo qui di seguito le  variabili  che sconsigliano, ripetiamo per ora,  di ritenere imminente uno dei fenomeni politici, come vedremo, meno inquadrabili  sotto il profilo delle previsioni: la rivolta sociale.         
Le persone  sono  costrette tra le mura domestiche; minacciate e blandite al tempo stesso mediante una fortissima pressione mediatica;  il consenso nei riguardi del Governo (e per Giuseppe  Conte)  resta altissimo ( i sondaggi parlano di un gradimento al settanta per cento); i rifornimenti di cibo sono costanti; il Governo ha varato un serie di importanti misure assistenziali.  La lealtà (loyalty) per ora sembra garantita.
Inoltre, cosa più importante,  a differenza della casistica classica delle rivolte (parlare per ora di rivoluzione, exit, sarebbe ridicolo), manca, al momento,  un  elemento fondamentale: quello della possibilità organizzativa di  appropriazione  fisica e del successivo controllo  dei luoghi tipici  della rivolta (piazze, strade, sedi del potere, anche di polizia, incluse le caserme,  distaccate e centrali, infine radio e televisione, specialmente se pubbliche). È certamente  vero che i Social hanno un  potere mobilitante,  ma oltre al fatto che sembrano molto divisi sulla questione del consenso politico,  una rivolta non è un flash mob pacifico. Si rifletta su un punto non secondario:  il profilo psico-sociale del  ribelle ( o del rivoltoso)  implica automaticamente  l’accettazione del rischio della vita  e del carcere.  Di regola, quanto più un sistema di controllo riesce a essere “persuasivo” ( o sembrare tale),  tanto più diminuisce il numero del soggetti a rischio voice
La società  è  conservatrice per  eccellenza, di conseguenza nei suoi membri   tende sempre a  prevalere  la loyalty (lealtà) verso il sistema, identificato  con le proprie  - individuali -  garanzie di vita, normalità e  successo.  Soprattutto nelle società di ceti medi come le nostre.

Naturalmente, quando e  se la scelta nel soggetto a rischio (il possibile rivoltoso)  si riduce alla pura  opzione biopolitica  radicale  tra  vita e morte (nel caso: morte per fame o di Coronavirus) le possibilità di voice crescono (ma come poi vedremo non sono esclusi altri tipi di risposta): non dominano più il ragionamento e il calcolo costi-benefici, ma prevale l’istinto di autoconservazione, che può assumere l’aspetto del movimento collettivo di massa, organizzato o meno:  la voice  allora si trasforma in exit, (in uscita dal sistema) che, in alcuni casi,   rimanda alle prove tecniche di rivoluzione:  tecniche nel senso che le rivoluzioni,  dal lato della domanda politica, rinviano al coagulo organizzato di  rivolte successive e permanenti, sempre più unificate politicamente, mentre  da quello dell’offerta politica  la rivoluzione rimanda  al tracollo delle istituzioni e al conseguente  passaggio di figure chiave  politiche  del governo (e dei quadri dipendenti) nelle fila  dei rivoluzionari. Una rivoluzione impone sempre una progressiva crisi del lealismo. Della loyalty.
Come si può intuire, per l’Italia, al momento non si può parlare né di rivolta generalizzata (voice), né tantomeno  di rivoluzione (exit).  Ovviamente, quanto più  le variabili  ricordate all'inizio  vengono meno, tanto più aumentano le possibilità di voice.  Purtroppo la capacità di resistenza delle persone alla costrizione fisica,  come quella imposta  dalle  misure antiCoronavirus,  non  è  misurabile, né esistono precedenti di un tale livello di segregazione, se non di natura bellica, che però risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, precedenti   che sembrano - attenzione: sembrano -  deporre a favore di un notevole spirito di resilienza delle popolazioni.
Come dicevamo, se e quando la scelta si fa radicale, tra   vita e   morte,  e di conseguenza il comportamento degli individui si fa auto-conservativo,  viene meno la  possibilità  previsionale dello scienziato sociale, perché l’istinto di  autoconservazione,  non rimandando al calcolo costi-benefici, ma a scelte passionali, non razionali (o se razionali, rispetto a passioni immisurabili scientificamente), può sfociare sia  in un atteggiamento di  loyalty,  sia  di voice,  sia (se ci sono le condizioni politiche) di exit. Tutti comportamenti difficili da prevedere, perché  in linea teorica tutti compatibili  con la reazione auto-conservativa.
Detto ciò,  il lettore prenda però appunto di queste due parole: per ora.
   
Carlo Gambescia                 
 

(*) Loyalty, Exit, Voice.  Riprendiamo e sviluppiamo  le tesi  di  A.O, Hirschman, Lealtà Defezione Protesta. Rimedi alla crisi delle imprese dei partiti e dello stato, Bompiani 1982.           

sabato 28 marzo 2020

Coronabond
Giuseppe Conte, Angela Merkel e i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse…


Secondo il  “Corriere della Sera” il premier Conte,  sulla questione Mes  avrebbe rimproverato  alla "cancelliera" Merkel di guardare a quel che oggi sta accadendo inforcando gli occhiali di dieci anni fa.
Nulla sappiamo della buona fede o  meno Signora Merkel. Ne ci interessa saperlo, perché il vero punto è un altro.  Quale?  A Conte sfugge una questione importantissima, ignota ai  sovranisti  e coloro  che negli ultimi giorni  si spogliano in tutta fretta  degli abiti europeisti per indossare  gli  stracci populisti, e così presentarsi  pronti all’appuntamento  con la  nuova storia…  Che poi sarebbe quella vecchissima, segnata da un  truce nazionalismo,  apportatore di sventure per l’Italia.
Il punto è  economico, solo economico.   Si tratti di   bond italiani,  eurobond o  coronabond, ziabond, nonnobond,  dal punto di vista dell’oscillazione dei tassi,  il valore dei titoli pubblici emessi sul mercato rinvia sempre  alla qualità delle garanzie che possono essere fornite.  Una  principalmente:  il bilancio in regola degli stati che li emettono. Insomma, la certezza (o quasi, perché con gli stati non si sa mai…)  che il debito sarà ripagato. 
Può piacere o meno, ma l’economia dei titoli pubblici  si regge su un patto fiduciario tra creditore e debitore.  Che, a sua volta, non può non essere corroborato da  garanzie reciproche.  Anche perché se non ci sono queste garanzie il valore dei titoli tenderà a deprezzarsi, e di conseguenza i tassi  differenziali (spread) dei  titoli a crescere, trasformando il debito pubblico in un macigno.
Riassumendo: per la regoletta economica della moneta cattiva che scaccia la buona, quanto più un titolo è privo di garanzie tanto meno vale.

Ora, Conte pretende dall’Unione Europea, e in particolare dalla Bce, di ricevere titoli senza dare in cambio nessuna garanzia. Quei titoli, ammesso e non concesso che la Germania ceda, sono  praticamente già morti ancora prima di nascere o di essere emessi. Una montagna di cartastraccia che secondo Conte dovrebbe andare a  finanziare un’altra montagna di cartastraccia rappresentata   - semplifichiamo -   dai sussidi di disoccupazione somministrati come tachipirina all'Italia a letto per Coronavirus. 
L’idea, può anche essere nobile, come lo è ogni forma di  beneficenza,  ma dal momento che in economia nessun pasto è gratis, se quei titoli pubblici verranno emessi senza garanzie, in un quadro di improduttività, qualcuno, prima o poi, dovrà pagare il conto salato . E come?  Vedendosela con i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse economica e politica: inflazione, disoccupazione,  dittatura e guerra civile.
Concludendo, Angela Merkel, difenderà pure le ragioni dell’economia tedesca, ma difendendole, forse senza neppure saperlo, difende le ragioni dell’economia politica. Che, se inascoltate, si vendicano sempre. Come la verità.

Carlo Gambescia              
    

venerdì 27 marzo 2020

Coronavirus e poteri pubblici
Un solo stile, coercitivo


Roberto Buffagni  in un articolo (*) parla di differenti “stili” di intervento politico nei riguardi del Coronavirus. Semplificando i concetti: tra mondo anglofono in particolare  Gran Bretagna e Stati Uniti e il  resto dell’Europa e del mondo.
Nel pezzo si esprime l'ipotesi  che l’Occidente  anglofono, pur di salvare l’economia capitalistica ( e ovviamente la propria egemonia), di cui è bandiera, si concederebbe   il lusso di qualche morto in più. Per contro il resto del mondo,  in particolare Europa mediterranea e Italia,  pur di salvare tutti i suoi cittadini,  sopprimerebbe persino  il capitalismo. 
Si tratta della solita tesi, magari elegantemente riformulata in chiave weberiana, del “Sangue contro l’Oro”. Che tanto piace alle “frange lunatiche” ,  le stesse  che non vedono l’ora di ballare sulle macerie. 
In realtà, un ottimo articolo de "El País" (**) spiega che, “Perfida Albione” compresa,  il mondo, al di là delle barriere culturali e di religione, dall’India agli Stati Uniti,   si sta trasformando in  carcere a cielo aperto: circa un terzo dell’umanità viene costretta a non uscire di casa. E quel che peggio  a colpi di decreti  governativi.    Segue  il passo che qui interessa particolarmente:

«Hasta el momento, la Covid-19 ha dejado más de 19.000 muertos y ha infectado a cerca de 430.000 personas en unos 175 países, en unas cifras que aumentan por millares diariamente. El foco, originalmente en la provincia china de Hubei —donde se encuentra Wuhan— se ha movido a Europa, y la Organización Mundial de la Salud (OMS) cree que en unas semanas podría desplazarse de nuevo, hacia América. “La pandemia se está acelerando”, ha advertido la OMS. A medida que se extiende, más países adoptan medidas más o menos estrictas para limitar el movimiento de sus habitantes, o confinarlos por completo: al menos 2.600 millones de personas, según los cálculos de la agencia de noticias francesa AFP, se encuentran bajo ese tipo de restricciones. Las escuelas permanecen cerradas en numerosos países, de Chile a Japón.».


Queste cifre non giustificano le misure che sono state prese, indipendentemente  dai presunti stili. Ma provano un’altra cosa. Che a fronte delle emergenze -  reali  o  presunte (qui rinviamo alla legge di Thomas)  -  i poteri pubblici tendono regolarmente  a invadere la sfera della libertà individuale.  Esiste uno studio pionieristico, ricco di eccellenti esempi storici, di Pitirim Sorokin,  su come le emergenze  di ogni tipo (epidemie, terremoti,  guerre,  rivoluzioni, eccetera) provochino inevitabilmente  gravissime restrizioni della libertà. Sono  processi sociali  che una volta avviati, pur avendo limiti legati alla  totale  distruzione delle risorse umane e materiali, si dispiegano senza che nessuno possa far nulla per arrestarli (***).
In questi giorni  stiamo assistendo  alla rapida ascesa di una specie di stato di polizia mondiale, se non  addirittura di assedio, sviluppatosi quasi automaticamente, per rispondere all’emergenza Coronavirus.
Naturalmente non siamo davanti ad alcun  piano organizzato da signori incappucciati, ma più semplicemente a una reazione autodifensiva dei poteri pubblici, che scatta inevitabilmente quando si proclama un’emergenza. Quanto più durerà l’emergenza tanto più i poteri pubblici devasteranno la vita degli individui, rischiando di  distruggere un modello di società civile liberale che ha richiesto alcuni faticosi secoli per essere edificata.
Inutile interrogarsi sul dopo, proponendo magari fantasticherie utopiche o distopiche in un clima da “bar sport”.  La storia umana è contraddistinta,  quasi nella sua totalità,  da sistemi politici coercitivi: l’esperimento liberale è una sorta di eccezione che potrebbe tristemente confermare la regola. Ecco  il nocciolo duro storico e sociologico della questione.
Per spiegarsi meglio: il riflesso condizionato del “politico”, che si trasmette e va oltre l’uomo politico, è quello di comandare ed essere ubbidito.  E quanto più la situazione è emergenziale tanto più si impone il comando. E dove addirittura  è in  gioco la vita -  insomma dove la sfida si fa biopolitica -  il comando si fa assoluto, con tutto quel che ne consegue in termini di crescita asfissiante del  controllo sociale.  Si giunge  però al punto in cui  la società è talmente assuefatta  all’aria viziata dell' obbedienza assoluta  che non è più necessario dare ordini. Ognuno esegue.

Ovviamente le burocrazie sono piene di falle e pasticcione.  Inoltre l’istinto di autoconservazione dell’uomo, quando non si  ha più nulla da perdere,  spinge alla ribellione. Ma sono processi sociali  che richiedono tempo:  decenni (si pensi al sistema sovietico), secoli (si pensi al totalitarismo gerarchico dell’Alto Medioevo), millenni (si pensi alla società egiziana sotto i faraoni o all’universo castale indù).
Dietro la cosiddetta emergenza Coronavirus c’è la mano artigliata dello stato. C’è l’artiglio perché c’è l’emergenza, e l’emergenza perché c’è l’artiglio.
Si doveva allora evitare -  pensiamo  ai politici -  di non  farsi prendere da inutile  panico o comunque di non  assecondarlo.  Ma si può chiedere allo  scorpione  di non pungere la rana?  Se in questa crisi c’è uno stile, si tratta dello stile coercitivo, che, purtroppo, prescinde dalle forme di regime, credo e cultura.  
Carlo Gambescia   

                                           



(***) P.A. Sorokin,  Man and Society in Calamity, Dutton, New York 1942. Di questo notevole volume uscirà a breve  una sintesi  in ebook  nella  neonata  “Biblioteca di Linea”  digitale  diretta da Carlo Pompei.  

giovedì 26 marzo 2020

Da Cavour a Conte
L’Italia  come terra dei furbi?

Si dice che la storia  sia  uguale ovunque  e che nessun popolo abbia un proprio carattere specifico. In realtà, se la cultura (ciò che si pensa, ciò che si fa intorno all’individuo alla nascita),  ha un ruolo nello sviluppo individuale, non può non averlo, per così dire, come somma di idee diffuse (e di comportamenti conseguenti)  sul piano  collettivo.
Esistono inoltre stereotipi che i popoli  usano a vicenda per squalificarsi.  Ad esempio, "cantante   e mafioso",  sono due stereotipi che si usano  nei riguardi degli italiani. E che  hanno origine in due filoni culturali, ben precisi e reali,  sviluppatisi nel “Belpaese” nel Sette-Ottocento: amore per il bel canto e per le associazioni segrete.
Insomma, esiste il fatto e la deformazione di quel fatto. Ora sul piano politico, uno dei principali pregiudizi verso gli italiani, è l'accusa ai nostri uomini politici di essere doppiogiochisti. Pensiamo a una tradizione, che accanto a quella delle associazioni segrete (politiche e criminali), nacque nel Risorgimento. Cavour fu il primo ad essere accusato di doppiezza. 
Insomma, piaccia o meno,  non si può non rilevare una vera e propria tradizione  nazionale incarnata da figure storiche  che vanno da Depretis ad Andreotti, (semplificando). Una linea di comportamento politico  che ha spinto gli osservatori stranieri  a dipingere i politici italiani   come persone poco affidabili, sempre pronte alle giravolte. E qui si rileva anche  il peso di certa  cultura diffusa, tra i diversi ceti sociali italiani,  che del politico apprezzavano e apprezzano  proprio la furbizia. Un atteggiamento collettivo che non ha potuto non  influire sul comportamento dei politici,  "adeguatisi" prontamente  al modello del  "Furbo",   un po' per natura un po' per cultura,  nella speranza di essere ricambiati in voti.  
Non è un atteggiamento del politico in quanto tale, lo però, e  in particolare,  dei politici  italiani costretti comunque  - e qui pensiamo a Cavour e Giolitti, due ottimi statisti -  a muoversi  nel contesto geopolitico  di una media potenza, giunta tardi alla modernità economica, e perciò costretta “ad arrangiarsi”, pur di sopravvivere in un quadro interno ed esterno difficilissimo.
Ovviamente, l’arte della furbizia, come  doppio, triplo gioco,  può essere esercitata bene o male: Cavour unificò la nazione, Mussolini la spezzò. 
Il Duce,  pensando di fare il furbo secondo le “nostre tradizioni”,   entrò in guerra al fianco di  Hitler, per sedersi vittorioso al tavolo della pace, come disse al suo seguito (citiamo a memoria),  "grazie a un pugno di morti italiani sul campo".  E invece finì appeso, dopo aver distrutto l’Italia.  Franco,   dittatore spagnolo,  “astuto galiziano”, che aveva ben  altra tempra rispetto all’ “italianissimo” Mussolini e per giunta  alle spalle la cultura dei “Re prudenti”, si guardò bene dallo scendere in guerra  al fianco di Hitler e Mussolini.
Due tradizioni, due modi  di essere “furbi”…
Dove vogliamo andare a parare? Semplicissimo, che un personaggio come Giuseppe Conte appartiene alla peggiore tradizione della doppiezza italiana, che tanto ci viene rimproverata all’estero, quanto invece apprezzata dagli stessi italiani.
Sta invitando  russi e cinesi a venire in Italia "per aiutarci". Due potenze che  ovviamente non si fidano di noi, e che  quindi  inviano  delegazioni, soprattutto i primi,  piene zeppe di militari e spie.  Al tempo stesso Conte, sentendosi  forte dei "nuovi amici" ricatta l’Europa, alza la voce, non rinunciando a un bel pizzico di retorica (“la Storia ci giudicherà). Il probabile risultato della sua  politica sarà il progressivo isolamento e slittamento dell'Italia  verso forme di  larvata o manifesta  sudditanza, sdraiandosi  ai piedi di  paesi governati da dittature come Russia e Cina.  Sistemi politici e storici che, per severe e spietate tradizione militari, non scherzano con gli alleati riottosi, o comunque con i popoli sottoposti (come oggi  in Crimea e in Mongolia).  

Ma Conte si crede furbo,  e con lui, Di Maio,   il  Ministro degli Esteri.
Diciamo però che il vero  capolavoro (si fa per dire)  di Conte è l’ultimo decreto, che tra l’altro non si riesce ancora a leggere (ma anticipato dai giornali), dove   - e qui ci scusiamo per l’autocitazione:

Una cosa è certa -  anche se il Governo  nega -  che i pieni poteri, perché di questo si tratta,  dureranno fino al 31 luglio, termine, certo,  fissato in gennaio, ma ora ribadito alla luce dei nuovi provvedimenti  e soprattutto  di sempre  possibili ulteriori proroghe. 
Sicché  le misure durissime contenute nel decreto, in questo momento non ancora pubblicato, ma nella sostanza anticipato dai  media,  resteranno in vigore ancora per mesi.  Inoltre l'accenno - si fa per dire -  alla "modulazione" delle misure "secondo l'andamento epidemiologico" è una specie di cambiale in bianco  firmata dagli italiani a un Governo dalle mani completamente libere che ha il monopolio ufficiale delle informazioni sul corso dell'epidemia...    
 (http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2020/03/chi-esce-di-casa-finisce-in-carcere.html )

Qui il punto, e mi rivolgo ai lettori  inebetiti  dalla  valanga di provvedimenti restrittivi degli ultimi giorni, non è  il dito (la “quarantena”) ma la Luna ( il ribadire, cosa non  tecnicamente necessaria, il termine del 31 luglio, per far  passare e accettare il  pericoloso concetto di   “modulazione delle misure”).
Il capolavoro (si fa per dire)  di Conte  è la  definizione  del 31 luglio come “data teorica”. Che teorica non è perché è nelle carte, e proprio perché nelle carte, basterà cambiare un virgola  per  prorogarla con un altro decreto. Il male è nella  decretazione d’urgenza che porta ai pieni poteri e i pieni poteri che portano alla decretazione d’urgenza. Altro che quarantena… Stando così le cose,  Conte, se vuole, può mettere in prigione a vita, dentro casa, gli italiani. Che, poverini,  inebetiti,  lo ringraziano pure…
Eppure, come si dice e si crede, il nostro sarebbe un  “Paese di Furbi".  Ecco,  sarebbe…


Carlo Gambescia

mercoledì 25 marzo 2020

Coronavirus e carcere
Cari italiani al mare non  andrete…

Dal sito del Governo:

«Il Consiglio dei Ministri n. 38 ha approvato un decreto-legge che introduce misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Il decreto prevede che, al fine di contenere e contrastare i rischi sanitari e il diffondersi del contagio, possano essere adottate, su specifiche parti del territorio nazionale o sulla totalità di esso, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al termine dello stato di emergenza, fissato al 31 luglio 2020 dalla delibera assunta dal Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, una o più tra le misure previste dal decreto stesso. L’applicazione delle misure potrà essere modulata in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus, una o più tra le misure previste dal decreto stesso, secondo criteri di adeguatezza specifica e principi di proporzionalità al rischio effettivamente presente. Al termine della riunione il Presidente Conte ha illustrato il decreto-legge»


Si presti attenzione ai miei corsivi.  Una cosa è certa -  anche se il Governo  nega -  che i pieni poteri, perché di questo si tratta,  dureranno fino al 31 luglio, termine, certo,  fissato in gennaio, ma ora ribadito alla luce dei nuovi provvedimenti  e soprattutto  di sempre  possibili ulteriori proroghe.
Sicché  le misure durissime contenute nel decreto, in questo momento non ancora pubblicato, ma nella sostanza anticipato dai  media (*),  resteranno in vigore ancora per mesi.  Inoltre l'accenno - si fa per dire -  alla "modulazione" delle misure "secondo l'andamento epidemiologico" è una specie di cambiale in bianco  firmata dagli italiani a un Governo dalle mani completamente libere che ha il monopolio ufficiale delle informazioni sul corso dell'epidemia...    

In sintesi, se il Governo continuerà a ritenere  che ci sia  "rischio", sulla base di informazioni che i cittadini non possono controllare,  chiunque violerà le norme anticontagio  rischia di pagare multe salatissime e  di finire in prigione (sono previste pene fino a cinque anni per gli "evasori" dalla quarantena, anche se precauzionale). Questo al netto delle "interpretazioni" delle norme  che de facto potranno dare all'atto della contestazione le forze di polizia. Come pure per ora, dell'uso - in termini di "precauzionalità" -  che  il Governo potrà farne nei riguardi dei suoi avversari politici e  degli apoti. 

La china governativa  è veramente scivolosa. Pertanto quest’anno  -  e non è solo una battuta -  consiglio  agli italiani, soprattutto a coloro che "si bevono” tutto quel  che dicono Governo  e  Opposizione (quest’ultima vorrebbe addirittura  i militari)  di non prenotare. Niente vacanze quest’anno. Siate bravi patrioti come  non chiedono ma impongono Maggioranza e Opposizione.
Buona giornata a tutti.     


martedì 24 marzo 2020

Coronavirus e dibattito pubblico
Le quattro correnti di pensiero: anticapitalisti- nazionalisti, sinistra radicale, riformisti  di governo, populisti del #celafaremo



In italia (ma anche altrove),  nel  discorso pubblico sul Coronavirus   si possono distinguere quattro posizioni o correnti di pensiero. Non farò nomi specifici. Lascio ai lettori il piacere dei riscontri.
Gli anticapitalisti-nazionalisti.  Sono coloro che in pratica vogliono il due a zero a tavolino sul 1945. La tesi è semplice, mascherata da discorsi cervellotici da bar sport, segnati da un realismo politico criminogeno, tipo dottor stranamore venati  di neofascismo, all'insegna del  vincere e vinceremo...  Roba vecchia.  La strada politica indicata, ovviamente, è quella del  tanto peggio tanto meglio. Ogni provvedimento del Governo viene criticato su basi autarchiche e illiberali.  L’atteggiamento, in sintesi è quello di chi non vede l’ora  di  ballare sulle macerie. 
La sinistra radicale. Sono coloro che  sognano,  finalmente, di poter  sradicare il capitalismo dalla faccia della terra.  E che, in questi giorni,  “salivano”   appena sentono parlare di aggravamento della crisi economica italiana e mondiale. La tesi è: il capitalismo ha sbagliato tutto, "dopo", dovremo ricominciare, dal socialismo.  Ogni provvedimento del Governo è criticato in nome (a parole) del solidarismo e  dell’assistenzialismo, per poi evocare (di fatto)  la lotta di classe: il  gioco, anche qui, è quello  del tanto peggio meglio. Della passeggiata tra le rovine.
I riformisti  di governo. Sono coloro che criticano i provvedimenti del premier  Conte  dal punto di vista della funzionalismo. La tesi è semplice:  bisogna migliorare l’efficienza, allocare meglio le risorse, il capitalismo ha bisogno di riforme e correzioni sociali altrimenti, e da tempo,  non ci saremmo trovati a questo punto. Ogni provvedimento del Governo è criticato  in base a criteri organizzativi  o  addirittura tecnocratici, del tipo si può  fare meglio oppure si può fare  così… Non amano le passeggiate e tanto meno le rovine.

I populisti del #celafaremo. Sono coloro che appoggiano il governo come il governo dell’uomo giusto al posto giusto e soprattutto invitano gli italiani ad assecondare  le decisioni governative di qualsiasi tipo, anche le più dure,  perché sono prese per il bene   dell’Italia.  Ogni provvedimento del Governo è incensato, come pure  le regole che detta, nascondendosi dietro il paravento dell’emergenza. Non vogliono sentir parlare né di passeggiate né di rovine.
Tutte e quattro le correnti,  non si interrogano più sulla pericolosità reale o meno del Coronavirus, né si avvedono ( o fanno finta di)   della pericolosa deriva   illiberale. Insomma,  del rischio  di perdere le nostre delle libertà politiche ed economiche.  Un pericolo che diventa sempre più concreto man mano che vengono prese decisioni di volta in volta  più restrittive.  Siamo dinanzi a un processo sociale, un vero gioco al massacro,  che una volta avviato (persino  a colpetti inavvertiti...) diventa inarrestabile.  Quindi  un governo prudente, non dovrebbe mai mettersi nelle condizioni di scatenare l'inferno sociale. Non dovrebbe... 
Del resto anticapitalisti-nazionalistisinistra radicale, riformisti di governo, populisti del #celafaremo, sono tutti profondamente antiliberali. Mai, come in questa crisi,  sta pesando  la scarsa o posticcia cultura liberale italiana: della  seria e ragionata difesa della libertà. In giro  leggo cose raccapriccianti scritte da liberali di destra e di sinistra.  A dire il vero anche altrove, dove le tradizioni liberali sembravano più solide,  le cose non vanno meglio. Capisco che non è facile, in certi  momenti,  e per le più disparati ragioni,  tenere alta la bandiera del liberalismo politico, archico, però che delusione…  

In effetti, non esistono stili politici o strategie di lungo respiro  (le azioni sociali hanno esiti  imprevedibili): le tesi che sostengono il contrario sono pure "romanticherie politiche"... Esiste però un differente approccio politico, vecchio come il mondo, affinatosi però negli ultimi secoli)  alle questioni reali: c’è chi parte dall’individuo, chi dalla società. E attualmente tutti i governi dell’Occidente libero, sembrano essere, volenti o nolenti,  dalla parte della società, se si vuole della collettività.  Sicché sono  prese decisioni tese a ridurre la libertà dei singoli in nome del bene collettivo.
Pertanto il dibattito pubblico ora  verte su un punto solo: su come difendere la società dall’ “emergenza”.  Chiunque osi  schierarsi dalla parte dell’individuo e della ragione, mettendo in dubbio la gravità della situazione,  viene additato come un nemico del popolo.
E il popolo che fa? Gli italiani in particolare? Per ora ubbidiscono ( o quasi)  a ciò che impongono i populisti del #celafaremo, prestando magari attenzione, perché chiusi in casa,  anche alle tesi dei riformisti di governo,  intorno alle quali ruotano le tesi ufficiali (populiste e riformiste, semplificando) rilanciate in quantità industriali dai mass media.  Per adesso anticapitalisti-nazionalisti e radicali di sinistra non hanno un gran seguito,  anche sui  Social  dove sono largamente minoritari:   in pratica si rivolgono alle solite nicchie delle “frange lunatiche” . Per fare una battuta: "scemo più scemo"...  

Inoltre  esiste  un altro  pericolo autentico. Per ora in linea di ipotesi. Quale?  Che, man mano che la percezione della realtà  sposterà il suo  baricentro verso la "normalità" o come temo verso l'  "anormalità",  il consenso, soprattutto in quest’ultimo caso,  possa spostarsi in favore  degli antisistemici, per così dire.  Che non cercano altro per saldare  i conti con una storia, giudicata, anche in chiave cospirativa, ingrata e fitta di tradimenti. Insomma, va tenuta d'occhio   la  dinamica a  spirale autoritarismo-ribellismo.
In realtà, e lo ripeto da mesi,  la percezione del pericolo Coronavirus, a mio avviso largamente enfatizzato da una cultura del welfare del piagnisteo (che abbraccia le quattro le correnti ricordate)  sta spingendo l’Italia verso una  dura  riduzione della libertà individuale segnata da un feroce  accentramento dei poteri: ecco il dato sociologico, pesante. E questa non è solo un'ipotesi, come provano gli studi di Sorokin in materia. E' realtà, pura realtà,  come si evince  dalla  pioggia di  decreti che sta polverizzando la libertà dei cittadini.  
Il resto - la chiacchiere sul "dopo"  secondo i desiderata ideologici -  rimanda alle fumisterie degli arruffapopoli. Pavento   una crisi economica, prossima ventura, provocata da misure che i veri  liberali e riformisti di governo, avrebbero dovuto, e da tempo, criticare duramente. E invece, in un modo o nell’altro, ci si getta nelle braccia del costoso e stupido welfarismo del piagnisteo, che deresponsabilizza le persone, tramutandole in bambini bisognosi d’aiuto. Il welfare è il proseguimento dell'infantilismo a vita con altri mezzi.
Vorrei  concludere,  con due parole su “Linea (che potete scaricare  gratuitamente qui: linea.altervista.org/blog/ ). Questa testata storica della destra radicale, sembra oggi tentare di raccogliere le migliori  intelligenze,  inerpicandosi per vie nuove, ragionate e ragionevoli,  in chiave di totale pluralismo delle opinioni:  prospettiva  autenticamente liberale,  che non è sintesi delle quattro tendenze qui delineate,  ma che guarda a  qualcosa  di autenticamente differente. Liberalismo e popolarismo (non populismo), con una attenzione all'idea di patria non in chiave sovranista-nazionalista. Chissà...   
Io come liberale mi sento a casa.  Leggete “Linea”.

Carlo Gambescia
                           


lunedì 23 marzo 2020

Coronavirus e statalismo 
Conte come Diocleziano


Se la situazione non fosse molto  difficile (non a causa del Virus, ma delle pericolose  stupidità inanellate dal Governo Conte) ci sarebbe da ridere. Veramente.  
Il decreto  firmato ieri sera dal Presidente del Consiglio (*), all’allegato 2,  ATECO 32.99.4 (**), autorizza la fabbrica di  casse funebri…
Quel che invece preoccupa è il seguente passo:

b) è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole “. E’ consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza” sono soppresse;

Che va ad aggiungersi ai divieti introdotti con i decreti precedenti. In soldoni si cancella  (rendendola addirittura  perseguibile a norma di legge)  la libertà di movimento.  Una libertà costituzionale.

Segue un  altro passo ( tutti i corsivi in neretto sono nostri), gravissimo, che  in pratica rimette la libertà economica nelle mani di  una autorità politico-amministrativa  che dipende direttamente dal Governo, il   Prefetto:

rrestano sempre consentite anche le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’allegato 1, nonché dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla lettera e), previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite; il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistano le condizioni di cui al periodo precedente. Fino all’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione
resa;

E qui ancora:

h) sono consentite le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale, previa autorizzazione del Prefetto della provincia ove sono ubicate le attività produttive.
2. Il Prefetto informa delle comunicazioni ricevute e dei provvedimenti emessi il Presidente della regione o della Provincia autonoma, il Ministro dell’interno, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le forze di polizia.
 Un giurista, ovviamente  serio, ne sa più di noi.   Però, una cosa è certa, come dicevamo,   libertà  del  cittadino e   libertà economica sono cancellate,   e nel silenzio totale, non solo del Parlamento, ma anche della Magistratura, finora rimasta  completamente  inerte. Altro aspetto gravissimo della nostra  crisi  politica: l’acquiescenza al Potere del Terzo Potere.
In una situazione come questa, macchiata da serie complicità istituzionali (Mattarella dove sei?),  le misure prese ieri  potranno   essere reiterate e prolungate, sempre per decreto, all' infinito  Quindi affermare che sono a tempo, e per giunta limitato,  rappresenta un insulto all’intelligenza delle persone.

Considerata anche la bassa intensità dell’epidemia nel Centro Sud, che a questo ritmo potrebbe durare per mesi (anche dopo superata l’emergenza Lombardia),  la storiella "dei sacrifici tutti uniti", potrebbe a continuare a fare da  potente traino ideologico alle misure liberticide del Governo Conte chissà per quanto tempo ancora. Grazie anche, dispiace dirlo,  all’imbecillità di tanti nostri concittadini (mai dimenticare che un diritto, anche alla salute, non è mai un “obbligo", come invece asserisce un Ministro,   per privare tutti della libertà).
Quanto ai divieti economici (in sé) racchiusi nel decreto, criticarli sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.  Il paragone storico  più facile è quello con l’Editto di Diocleziano  (301 d.C., circa), quando nel tardo Impero Romano, si cercò  di fissare per legge  i prezzi  di tutte le merci, in un contesto, di  progressivo asservimento dei  contadini e artigiani alla terra e agli ordini corporativi.  Si vietò, insomma, ogni movimento di merci e uomini. Fu un totale fallimento: i prezzi andarono comunque alle stelle - tra l’altro grazie anche alla tassazione stellare - e per inevitabile  ricaduta sociale  si uccise ogni spirito di libera iniziativa economica. A quel tempo, a dire il vero,  già latitante...
Solo un punto, tra l’altro affrontato ieri (***), delle “macchine utensili: il decreto, restringe la fabbricazione e manutenzione solo ad alcune categorie (ATECO da 19 a  33); cosa in pratica difficilissima,  se non impossibile,  perché impone sul piano aziendale riconversioni costose e che richiedono tempo. Tradotto:  stampaggio e affilatura  rimandano a macchinari diversi e  produzioni di beni strumentali differenti, lungo linee produttive che hanno tempistiche proprie, anche umane. Quindi non è come chiudere  un rubinetto…
Conte come Diocleziano, non aggiungo altro.  Salvo che  me ne sto, da solo,  seduto alla scrivania  con la testa tra le mani…

Carlo Gambescia



(**) Acronimo che attraverso  una combinazione alfanumerica (numeri e lettere) identifica l’ ATtività ECOnomica di riferimento per ogni categoria. Socialismo linguistico… E dei peggiori.